DA PROSTITUTE A JINETERAS

 

 

Ilse Bulit * - 23 agosto 2005

 

 

 
Sono arrivata a 10 anni nel quartiere Colon, zona riservata alla prostituzione nell’Avana del 1951. Non si pensi male. A quei tempi la pedofilia non era così alla moda nel mondo e semplicemente seguii la mia famiglia in una casa affittata là perché i prezzi erano molto economici.

 

Mia nonna era sarta e presto si conquistò clientela fra le ragazze di vita. Questa mia nonna, lettrice entusiastica di Zolà, aveva concetti particolari sull’educazione. Sono rimasta al suo fianco mentre le ragazze, fra spilli e forbici, raccontavano le loro pene. Successivamente, mia nonna mi aiutava a trarre le conclusioni che, secondo lei, mi avrebbero preparato per l'università della vita.

 

Nessuna di queste ragazze era dell'Avana.
Provenivano dai paesi o dalla campagna. La perdita della verginità, magari una gravidanza, o il machismo del padre, le hanno espulse di casa. Arrivavano nella capitale di propria iniziativa o a braccetto di un uomo che le orientava verso questa professione. Altre, all'inizio, si collocavano come domestiche factotum, ritrovandosi successivamente  a fare questa vita più sopportabile e più produttiva. Alcune spinte dalla miseria più pura, altre dall’essere omosessuale, per il popolo cubano di allora, significava essere ripudiata dalla famiglia e da tutti i vicini di casa. Ed inoltre ne avevano abbastanza della promiscuità notturna. Alcune, con figli, hanno sognato che un uomo le sottraesse a quella vita.

 

Tutti i venerdì arrivava una barca carica di marines infoiati ed anch’io dovevo far attenzione lungo la strada che mi portava alla scuola.

 

Le prostitute cubane non facevano notizia sulla stampa estera. Era una cosa normale per una città popolosa e dotata di un grande porto. Al massimo qualche reportage dove si descrivevano le movenze varie di un mulatta cubana durante l'apice dell’atto sessuale.

 

Quanto accadde nel 1959 è a tutti ben noto. A queste donne venne offerta la possibilità di studiare e di lavorare. Come la Inesita che alla fine degli anni settanta, riconoscendomi, mi ha chiesto di mia nonna mentre mi serviva una bibita in un bar.

 

Già in quegli anni, nei discorsi e negli articoli di giornale, con toni alti e scrittura presuntuosa, la faceva da padrone il possesso della verità assoluta: a Cuba la prostituzione non esisteva. La maledizione pubblicitaria del marinaio genovese (Cristoforo Colombo –n.d.t.-) con quella frase: “questa è la terra più bella che occhi umani abbiano mai visto”, ci perseguitava. Che DVD spettacolare realizzerebbe la creatività di questo Cristoforo se fosse ancora vivo! Essere "i migliori in tutto" è il nostro male endemico.

 

Quella rivoluzione sessuale che negli anni sessanta del secolo scorso ha attraversato il mondo, è passata felice in questo arcipelago caraibico, sostenuta da una Rivoluzione con la erre maiuscola che ha aperto alla donna tutte le possibilità per la sua liberazione sociale.

 

La rottura dell’imene perse valore. I ragazzi e le ragazze "potevano vivere"; durante gli studi, durante i lunghi lavori volontari, si faceva l'amore e non la guerra. Attenzione! Non nel concetto della filosofia hyppie. Gli studi sul materialismo dialettico hanno sostenuto le idee della libertà orizzontale.

 

Inoltre fu approvata la vendita degli anticoncezionali, l'aborto legale ed una previdenza sociale che hanno sostenuto le donne. I precetti della religione cattolica, come in altre parti del mondo, sono stati dimenticati ed anche i culti sincretici afrocubani non fanno confusione con la copula sessuale.

 

Molte cubane gradiscono definirsi figlie di Ochun, l'orisha dolce e cultore dell’orgasmo. Negli anni ottanta era di moda la cosiddetta titimanía. Cinquantenni di potere, con soldi ed automobile, si intrattenevano con giovincelle. Naturalmente, poteva essere amore. Ma anche una sorta di "anch’io per un giorno sono stato protagonista". Per la ragazzina intraprendente non era forse un derivato moderno della prostituzione?

 

Quindi, nell'ultimo decennio del secolo XX, già quasi nessun padre alzava la voce quando la figlia passava la notte in casa del fidanzato o se lo portava direttamente da lei. Il pericolo dell’AIDS aveva aumentato la propaganda sulla sessualità responsabile, anni prima le scuole avevano avviato corsi di educazione sessuale ai vari livelli di formazione. Sui giornali, alla radio ed alla TV, gli psicologi parlavano apertamente dell'accoppiamento. Le gravidanze sono diminuite, sono aumentati i divorzi e le unioni di fatto, il sesso ha perso i suoi tabù senza però ottenere l'assimilazione totale dei suoi pro e contro all'interno della società.

 

Il famoso periodo speciale tirò fuori le sue unghie affilate. Il sapone e l'olio si elevarono di categoria: divennero articoli di lusso. Abituarsi ad uno squallido panetto e ad un tè di erbe del giardino non era facile, pensò una ragazza… ed un’altra, ed un’altra ancora. Si guardarono allo specchio della matrigna di Biancaneve che le giudicò adatte per il commercio. I nuovi turisti non erano come i marines degli anni ‘50. Né le ragazze erano come quelle di allora. Come minimo queste ragazze hanno una nuova situazione rispetto a prima, la salute e la formazione sono sempre state gratuite. Anche i nuovi ruffiani sono differenti.

 

La cattiveria con l’istruzione può generare reti molto bene tessute maggiormente in una società che ritiene l’essere umano capace della perfezione. I cambiamenti influenzarono anche famiglie e quartieri. Quel vicino che al suo ritorno serale dal lavoro trovava dei ragazzi a fare sesso nell’angolo scuro delle scale non si stupiva sapendo che la tizia faceva per dollari quel che prima faceva per piacere.

 

In alcune famiglie i nuovi codici sul sesso hanno contribuito ad abbassare la morale, fino a vantarsi dei regali portati dalla figlia. Di fronte a delle realtà così differenti, si rese necessario un nuovo nome: da prostitute, a jineteras. Ed allora, soltanto allora, l’intrico mediatico le lanciò alla fama mondiale. Non le parigine, maestre del sesso orale; né quelle della vecchia Londra, né quelle in bella vista nelle vetrine in Germania, né le tailandesi, e neppure le geishe. Niente di paragonabile ad un jinetera.

 

L’eiaculazione mediatica si vendicava così della volontà politica dello stato cubano che continuava imperterrito a portare avanti un progetto socialista, allora fra l’incudine e il martello. "Non pensate di esser finiti nell'ultimo angolo del paese con l’ultima prostituta? Non siete "i migliori" in tutto?", Le multinazionali dell’informazione si burlavano di noi. Non facevano notizia gli altri giovani, quelli che andavano in bicicletta all'università, quelli che rammendavano il completo da tennis con i vecchi vestiti della nonna inventando le camicette descotadas.

 

Erano colpi bassi contro uno dei punti più fragili del discorso propagandistico cubano: sottovalutando il fatto che ogni uomo o donna è un universo a sé con la propria vita e le proprie risposte, che è impossibile pianificare le risposte di ogni cittadino davanti a fatti simili; che anche se il piatto preferito è il maiale arrosto, alcuni preferiranno la farina. A Cristo hanno perdonato di avere un prostituta nel suo albero genealogico. A Cuba, non perdoneranno mai  le sue jineteras.
 

 

*Giornalista dalla lunga esperienza nei media più importanti del paese,
rimasta cieca nel 1992 lavora alla radio a L’Avana.
 
Traduzione Enzo Di Brango