Le reazioni alla pubblicità sul Manifesto del libro contro Cuba di "Reporter sans Frontieres"

 

Invitiamo i nostri lettori a scrivere a lettere@ilmanifesto.it per esprimere le loro valutazioni sulla opportunità di pubblicizzare in prima pagina il libro di

Reporter Sans Frontieres

 

 

1/07/2005 tratto da www.radiocittaperta.it

 

 

"I manager della disinformazione. Il ruolo di Reporter Sans Frontieres"

 
da Il Manifesto del 24 maggio 2005
 
 
Il candore dei cronisti italici
GIANNI MINA'
 
 

Uno spirito caustico come Daniel Chavarría, scrittore e rivoluzionario uruguayano, ha liquidato l'episodio dell'espulsione da Cuba di Francesco Battistini del Corriere della Sera e di Francesca Caferri de la Repubblica, insieme a due o tre politici polacchi, con una battuta crudele «Meno male! A Cuba i giornalisti li espellono, in Iraq invece la truppa d'occupazione nordamericana spara loro addosso». La battuta feroce si basa su una constatazione incontrovertibile e scabrosa: anche Cuba vive da tempo una guerra, quella che gli Stati uniti le hanno dichiarato 45 anni fa con l'embargo economico e mediatico (recentemente inasprito) e che ora, nell'epoca di Bush jr., ha ripreso vigore, come confermano le 450 inquietanti pagine del progetto «Cuba libre», disponibili da maggio 2004 sul sito del dipartimento di stato USA. E' un progetto politico ben preciso che, con tanti saluti al diritto di autodeterminazione dei popoli, punta ad un cambio «rapido e drastico» nell'isola. Così, senza voler giustificare le inutili espulsioni dei giornalisti, si intende come Cuba possa vivere in una sindrome di «castello assediato» che le fa commettere errori. Una condizione in cui la nazione più poderosa del mondo stanzia pubblicamente 53 milioni di dollari l'anno (più 5 per le campagne di propaganda) per costruire un'opposizione alla revolución e cambiarne il destino (per ora meno drammatico del resto dell'America latina).

Perché nel documento della «Commissione per sostenere una Cuba libera» si dichiara senza mezzi termini l'intenzione del governo di Washington di designare fin da ora, per l'isola che si presume sarà liberata, un coordinatore del dipartimento di stato, che si occuperebbe della transizione. Insomma un Paul Bremer che successivamente dovrebbe passare il potere ad un altro Allawi, anche lui, verosimilmente, proveniente dalla CIA. E questo, è ovvio, per ristabilire la democrazia.

«L'assemblea per la promozione della società civile a Cuba», organizzata da Marta Beatriz Roque venerdì 20 e sabato 21 maggio, con un budget di 130 mila dollari, forniti da James Cason, esperto di «guerre sporche» e responsabile dell'ufficio di interessi degli Stati uniti all'Avana, è una delle tappe di questa strategia della tensione. Una politica tesa alla destabilizzazione interna e inaugurata, due anni fa, con i dirottamenti di tre aerei passeggeri e il sequestro fallito del ferry boat di Regla. [...]

La strategia è proseguita quest'anno in occasione della 61° sessione della Commissione diritti umani dell'ONU, nella quale il governo di Washington è riuscito a bloccare la presentazione di una denuncia sulle violenze, gli abusi e le torture compiute dai suoi funzionari, ufficiali e soldati in Afghanistan, nelle carceri irachene e a Guantanamo, ma ha ottenuto di imporre di stretta misura, col voto determinante di alcune nazioni europee come l'Italia, una censura a Cuba, dove non ci sono mai stati desaparecidos, torture ed esecuzioni extra giudiziarie.

L'iniziativa di Beatriz Roque e di René de Jesus Gomez e Felix Antonio Bonne, che, bisogna ricordare, si è svolta regolarmente, con il disappunto di tutti quei politici mestatori e giornalisti che si aspettavano una repressione, è stata però un'iniziativa alla fine autolesionistica.

Perché non solo ha costretto alcuni dissidenti storici come Osvaldo Payá, Cuesta Morua ed Elizardo Sanchez a dissociarsi da una manifestazione organizzata da chi «incontestabilmente prende ordini e soldi dal governo degli Stati uniti», ma perché ha ribadito le divisioni e la possibilità di manipolare l'opposizione alla revolución.

Chi potrebbe fidarsi, infatti, di un progetto di cambio politico che afferma: «Bisognerà processare i funzionari e i membri del governo, del partito, delle forze di sicurezza, delle organizzazioni di massa e anche quelle di cittadini favorevoli al governo rivoluzionario (e quindi ufficialmente tutti) e forse pure di molti membri dei Comitati di difesa della rivoluzione»? Perché, sia chiaro «la lista potrebbe essere molto ampia». Questa sarebbe la strategia per restituire Cuba alla libertà e alla democrazia? E i cronisti dei nostri più prestigiosi giornali invece di informarsi e di allarmarsi per questa guerra sotterranea in corso, vanno, in zona di operazione, con visti da turisti. Lo farebbero in Iraq o anche solo in Palestina? E perché insieme ai candidi partiti «democratici» italiani dimenticano per esempio che, proprio in questi giorni, George W. Bush ha, come ospite a Miami, il famigerato terrorista Luis Posada Carriles, al quale potrebbe concedere «asilo politico»?

Ma in Italia queste inquietanti realtà, che spiegano la «sindrome da assedio» in cui talvolta cade Cuba, non interessano a molti esponenti di partiti che si dichiarano ancora di sinistra. Figuriamoci ai giornalisti, che certamente non hanno pensato di andare in Florida (consiglierei con un visto giornalistico ufficiale) per fare un reportage negli ambienti da cui parte il terrorismo verso Cuba.

Ma l'informazione embedded che trionfa attualmente ignora queste quisquilie. La guerra mediatica cara al dipartimento di stato si fa con le provocazioni, magari come quelle familiari ai Reporter sans frontières, il cui fondatore, Robert Menard, recentemente ha dovuto ammettere di essere stato sovvenzionato dal National Endovement for Democracy, l'agenzia della CIA che sovrintende a queste operazioni di discredito delle nazioni non allineate agli interessi del governo degli Stati uniti.

 

 
da Il Manifesto del 24 maggio 2005

Diritto di informazione

In relazione all'articolo di ieri, «Il candore dei cronisti italici» a firma di Gianni Minà vogliamo precisare che Reporters sans frontières (RSF) ha ricevuto, nel 2005, una sovvenzione di 39.900 dollari dalla National endowment for democracy (Ned), nel quadro di un progetto destinato a « sostenere i giornalisti arrestati, carcerati o minacciati in Africa ». Questo progetto concerne l'Africa, e unicamente l'Africa. E il montante rappresenta soltanto lo 0,95 per cento del bilancio dell'organizzazione. E' il colmo accusare RSF in modo così errato, mentre tre giornalisti polacchi e due italiani sono appena stati espulsi da Cuba e 21 giornalisti cubani - alcuni dei quali sono stati condannati a più di vent'anni di carcere - sono sempre dietro le sbarre. RSF non è né pro né contro Castro. Il suo campo di intervento sono le violazioni della libertà di stampa, e questo dappertutto nel mondo. Perché l'affermazione del diritto di tutti alla libertà di informare non soffra di nessuna eccezione.
Robert Ménard, RSF

 
 
da il Manifesto del 28-5-2005

Senza frontiere

Sempre per diritto di informazione e riguardo al mio articolo «Il candore dei cronisti italici», è mio dovere segnalare a Robert Menard, di Reporters sans frontières, che il National Endowement for Democracy (Ned), come Menard-Biancaneve ha dimenticato di ricordare nella sua lettera di mercoledì scorso, è un'agenzia della CIA che ha il compito proprio di disinformare il mondo riguardo ad argomenti, situazioni, politiche non convenienti al governo degli Stati uniti. Era il Ned che dava i soldi negli anni `90 ai famosi «Comitati per i diritti umani a Cuba». Ed è il Ned, ora, che deve, come sta facendo molto bene in questi giorni, fare propaganda e appoggiare la politica da «strategia della tensione» che il presidente Bush ha deciso di incrementare nei confronti di Cuba, con un budget di 53 milioni di dollari l'anno più 5 per le campagne di disinformazione mondiali. E questo per facilitare un cambio «rapido e drastico» nell'isola. Il «Seminario per la promozione della società civile a Cuba», messo in piedi da Beatriz Roque, dichiaratamente con il budget dell'incaricato d'affari nordamericano James Cason, è uno degli esempi di questa strategia, tant'è vero che i dissidenti storici dell'isola non vi hanno voluto partecipare per non prender parte a una manifestazione di persone che «incontestabilmente prendono ordini e soldi dal governo degli Stati uniti». E' singolare che Menard si faccia sovvenzionare proprio da un'agenzia della CIA per «sostenere i giornalisti arrestati o minacciati in Africa», cioè i giornalisti che quasi sempre sono vittime, nel proprio lavoro, degli interessi che la CIA difende. Ma forse non c'è da sorprendersi se i Reporters sans frontières, hanno avuto come partner, via via, Saatchi & Saatchi, il gigante mondiale della pubblicità, Publicis, concessionaria delle strategie di promozione delle forze armate USA, e perfino la Bacardi, la ditta di rum che sovvenziona, in Florida, le attività eversive per annientare il turismo a Cuba. Insomma, reporter proprio senza frontiere di spregiudicatezza.

 

 

Dall'assemblea nazionale riunita a Roma

per il Convegno del Comitato 28 Giugno

"Lasciate in pace Cuba"



I partecipanti al convegno "Lasciate in pace Cuba" e al presidio davanti all'ambasciata USA, indetto sabato 25 giugno dal "Comitato 28 Giugno" e che raggruppa varie realtà associative di solidarietà con Cuba, tra le quali l'Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba, l'"Associazione La Villetta" e Radio Città Aperta, con riferimento alla pubblicazione su Il Manifesto del 22 giugno, in prima pagina, di un annuncio che pubblicizza "Il libro nero di Cuba", osservano:


- "Il libro nero di Cuba" è a cura di "Reporters Sans Frontieres", un'associazione che per sua stessa ammissione si fa finanziare da istituti statunitensi impegnati nella destabilizzazione e nelle aggressioni a paesi che rifiutano il dominio dell'imperialismo;


- "Il  libro nero di Cuba" è farcito di falsità e diffamazioni in perfetta e rivelatrice sintonia con la propaganda d'odio del governo USA che per decenni ha alimentato e istigato campagne terroristiche contro il popolo cubano, come ampiamente documentato nel recente convegno mondiale all'Avana "contro il terrorismo, per la verità e la giustizia" che Il Manifesto ha preferito ignorare.


- "Il libro nero di Cuba" si inserisce in una manovra imperialista  a vasto raggio tesa ad aggiungersi al terrorismo anticubano e al blocco economico genocida, per liquidare non solo la rivoluzione cubana e la sua quasi cinquantennale resistenza, ma tutto il grande movimento antimperialista e contro la guerra che sta conoscendo una fase di grande forza soprattutto in America Latina e che in Iraq esprime una vincente resistenza di popolo che merita tutta la nostra solidarietà;


- Alla luce di queste considerazioni ci sembra assolutamente sbagliato e davvero grave che un giornale considerato espressione di idee e posizioni definite nella testata "comuniste", abbia potuto offrire spazi - seppure a pagamento e il fatto non è affatto un'attenuante - a un'operazione che si inserisce in modo abietto nella strategia di aggressione alla sovranità dei popoli, oltre che alla verità e alla dignità dello stesso giornale.


Il Comitato 28 Giugno, l'Assemblea Nazionale riunita a Roma il 25 giugno

 

 

Sbigottita per la pubblicità del "libro nero di Cuba"

sul Manifesto
di Marilisa Verti

Sono una collega, nonché lettrice del manifesto. Ho sempre sostenuto il manifesto in vari modi, perché lo consideravo una voce pura. Sono rimasta letteralmente sbigottita per la pubblicità del «Libro nero su Cuba» a cura di Reporters sans frontières (RSF). Una volta si usava rifiutare la pubblicità, se non era in sintonia con la testata. Adesso anche voi siete caduti così in basso? Oppure siete in sintonia con il libro? Ma perché invece, una volta per tutte, non dite chi è RSF, come vive, quanti soldi dedica Menard all'attività di aiuto ai colleghi e quanti alle sue trame? Se non lo sapete, i fondi per l'attività verso i giornalisti rappresentano solo il 7% del bilancio. Gli stanziamenti del 2003 destinati a RSF raggiungevano i 3.472.122 di euro. Secondo i rendiconti annuali, l'11% proviene dallo stato, il 12% dal mecenatismo, il 4% dalle quotazioni e dalle donazioni, il 15% dalla Commissione europea, il 10% da operazioni e il 48% dalle pubblicazioni dell'organizzazione. Quest'ultima cifra sorprende per la sua consistenza. La somma di 1.984.853 euro si dice provenga soltanto dalla vendita dei calendari. Ognuno di questi costa circa 8 euro, il che equivale a dire che RSF vende più di 248.106 calendari all'anno, cioè 680 al giorno. Cosa abbastanza fuori misura per essere ritenuta credibile. Per quanto riguarda le spese relative all'anno 2003, i conti dimostrano che solo il 7 per cento dei finanziamenti viene destinato agli aiuti diretti ai giornalisti in difficoltà. Cosa succede con il rimanente 93%? Lo si utilizza nel lavoro di propaganda e disinformazione al servizio degli interessi di coloro che finanziano RSF, cioè lo stato francese, i grandi gruppi economici e finanziari, l'estrema destra cubana della Florida e il Dipartimento di stato nordamericano. Con questi finanziamenti RSF è molto ricca e può permettersi di pagare 50 mila dollari a Catherine Deneuve (come lei stessa ha ammesso), nonché ad altre star per farle partecipare a una serata dal titolo «Cuba sì, Castro no». Se si ragiona sul fatto che il gigante pubblicitario Saatchi e Saatchi, uno dei pilastri della Publicis (con campagne per Mc Donald's, Coca-cola, Citibank, Walt Disney e Us. Army, per citarne solo alcuni, ma anche la Bacardi, uno dei maggiori finanziatori delle attività anticubane e i cui legali hanno anche preparatol'elaborazione della legge Helms Burton), offre «gratuitamente» i suoi servizi a Menard, forse si legge meglio il concetto di indipendenza di questo signore e il tipo di battaglie che conduce. In più, come scrive Salim Lamrani, ricercatore alla Sorbonne: «Secondo il bilancio del 2004 di RSF "almeno 53 professionisti dell'informazione hanno perso la vita nell'esercizio delle loro funzioni o per esprimere le proprie opinioni". L'Iraq è, sempre secondo questo rapporto, il paese più pericoloso per i giornalisti, con 19 inviati assassinati. L'esercito statunitense, che occupa il paese dal 2003, è il maggior responsabile di questa barbarie, visto che controlla il territorio. RSF, lungi dall'accusare le autorità nordamericane, si limita a riprendere le dichiarazioni degli ufficiali di Washington, qualificando gli spari che hanno causato la morte di diversi giornalisti come `accidentali'. Nonostante tutto, l'Iraq non rappresenta una priorità per il signor Menard. Nel continente americano, secondo RSF, "12 giornalisti hanno perso la vita" in Messico, Brasile e Perù. Tuttavia, l'obiettivo dell'organizzazione parigina è ancora una volta Cuba, dove, bisogna rimarcarlo, nessun giornalista è stato assassinato dal 1959. Anche il Venezuela si trova nel mirino, nonostante non vi sia stato commesso nessun assassinio.(...)».

Non bisogna dimenticare che il Piano di Bush nei confronti di Cuba prevede uno stanziamento di cinque milioni di dollari per le Ong che realizzano attività volte a dissuadere i turisti dal recarsi sull'isola, e che come esempio da seguire pone proprio il nome di RSF che già ha aggredito in Francia i dipendenti dell'ufficio del turismo cubano. E se questa è la premessa, che dire del libro? Io l'ho letto per informarmi e sono stata colpita dalle menzogne e dalla manipolazione. Gli avessero fatto pubblicità Il Giornale, oppure Libero, capirei, ma che proprio il manifesto si presti a queste operazioni mediatiche non l'avrei mai pensato.

Marilisa Verti



 

Caro direttore,


sono da anni un lettore del Manifesto e non avrei mai pensato che sul giornale che ha segnato la mia vita e le mie idee fosse pubblicata in prima pagina una pubblicità su un libro riguardante Cuba, messo insieme dalla CIA e intitolato “Il libro nero di Cuba”. E sì, perchè è ormai noto a tutti che i famigerati Reporters sans frontieres sono sovvenzionati dall’agenzia di spionaggio del governo USA, attraverso il NED, National Endowment for Democracy, come ha dovuto ammettere Robert Menard, presidente di questa associazione di disinvolti giornalisti, in una dichiarazione ripresa da Gianni Minà in un articolo, pubblicato proprio dal Manifesto. Ora è chiaro come i RSF abbiano deciso di svolgere il lavoro che è stato loro richiesto al momento dell’elargizione del contributo. Devono inquinare ogni informazione su Cuba, per creare un clima che giustifichi qualunque atto futuro del governo degli Stati Uniti contro l’isola. Ma doveva essere proprio il Manifesto a prestarsi a questa esigenza?
Un saluto preoccupato.
Federico Mastrogiovanni


Caro direttore,


certo che la pubblicità di prima pagina del Manifesto sia riservata al "Libro nero di Cuba", opera degli spregiudicati Reporter senza frontiere, mi risulta per lo meno sorprendente. Specie considerando che il prologo al libro è di Michele Farina, una delle colonne dell'informazione dei vari Feltri o Belpietro. Senza contare che, per gente come me (sono di origine latinoamericana), Cuba non è assolutamente un "sogno in frantumi", ma l'esempio di un orgoglio e di una resistenza che continua a far ben sperare il continente. Non nego che anche Cuba commetta i suoi errori, ma la dignità e il rispetto umano della revolucion non ha eguali nel continente straziato dall'economia neoliberale e dalle prepotenze delle multinazionali e degli Stati Uniti, che stanno dietro a queste campagne di stampa e di prodotti editoriali. Ma forse il nostro mondo visto dai salotti europei ha una apparenza diversa. Speravo per una certa parte di persone, non per il Manifesto.
Quando ci racconterete chi sono veramente i Reporters sans frontieres?
Un lettore stupito