05/04/2005
di William Blum
Sotto l'amministrazione Clinton, il concetto è stato ripetuto in così tante
occasioni dal presidente e dagli altri leader politici - e debitamente ripreso
dai media - che la tesi "Cuba è l'unica non-democrazia nell'emisfero
occidentale" è divenuta una verità incontrovertibile.
Esaminiamo con attenzione questa tesi perché contiene implicazioni estremamente
interessanti.
Durante il periodo della rivoluzione cubana, dal 1959 ai giorni nostri,
l'America Latina è stata testimone di una terribile serie di violazioni dei
diritti umani - tortura ordinaria e sistematica; intere legioni di 'desaparecidos';
squadroni della morte sostenuti dai governi che eliminavano uno dopo l'altro
individui scelti; massacri di massa di contadini, studenti e altri gruppi,
uccisi a sangue freddo. I peggiori esecutori di azioni di questo tipo, durante
tutto o parte di questo periodo, sono stati i governi e gli squadroni
paramilitari a essi associati di El Salvador, Guatemala, Brasile, Argentina,
Cile, Colombia, Perú, Messico, Uruguay, Haiti e Honduras.
Nemmeno i peggiori nemici di Cuba hanno mai accusato il governo di Castro di
alcuna di queste violenze, e se consideriamo l'istruzione e la sanità - entrambi
garantiti dalla "Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo" delle Nazioni
Unite e dalla "Convenzione Europea per la Protezione dei Diritti Umani e le
Libertà Fondamentali" - settori in cui Cuba ha abbondantemente raggiunto la
vetta o quasi in America Latina, allora è chiaro che negli oltre 40 anni di
rivoluzione, Cuba ha registrato uno dei migliori traguardi per quanto riguarda i
diritti umani in tutta l'America Latina.
Se, nonostante questo traguardo, gli Stati Uniti insistono nel dire che Cuba è
l'unica "non democrazia" nell'emisfero occidentale, non possiamo fare altro che
trarre l'inevitabile conclusione che quella cosa che chiamiamo "democrazia",
vista dall'ottica della Casa Bianca, non ha nulla o quasi a che vedere con molti
dei nostri tanto decantati diritti umani.
Effettivamente, le innumerevoli dichiarazioni rilasciate negli anni dalla
leadership di Washington fanno capire chiaramente che la "democrazia", nel
migliore o nella maggior parte dei casi, equivale solamente a elezioni e libertà
civili. Nemmeno il lavoro, il cibo e la casa rientrano nell'equazione.
Di conseguenza, una nazione con orde di persone affamate, senza casa, malate e
senza assistenza, poco alfabetizzate, disoccupate e/o torturate, i cui cari sono
stati fatti sparire e/o assassinare con la connivenza dello stato, può dire di
vivere in "democrazia" - il significato letterale dal greco "governo del popolo"
implica che questo è lo stile di vita che la gente vuole -, ammesso che ogni due
o quattro anni abbia il diritto di andare in un luogo ben preciso e mettere una
X vicino al nome di un individuo piuttosto che di un altro che promette di
alleviare la loro condizione miserabile ma che, in pratica, non farà niente di
tutto ciò.
E questo ammettendo, inoltre, che in questa società vi sia almeno un minimo di
libertà - la sua quantità dipende in larga misura dalla ricchezza del singolo -
per esprimere le proprie idee in merito al potere in carica e all'operato della
società, senza paure irrazionali di punizioni, e senza curarsi del fatto che
esprimere queste idee abbia una qualunque influenza sul modo in cui stanno le
cose.
Non è un caso che gli Stati Uniti abbiano definito la democrazia in una maniera
tanto ristretta.
Durante la guerra fredda l'assenza di elezioni "libere e oneste" tra più partiti
e di libertà civili adeguate era ciò che connotava il nemico sovietico e i paesi
satelliti. Queste nazioni fornivano comunque ai cittadini uno standard di vita
relativamente decente, che comprendeva lavoro, cibo, assistenza medica,
istruzione, ecc., senza l'onnipresente tortura brasiliana o gli squadroni della
morte del Guatemala.
Allo stesso tempo, molte delle nazioni povere alleate dell'America nella guerra
fredda - membri di quello che Washington ama chiamare ancora "Il Mondo Libero" -
erano aree disastrose per i diritti umani, e che si potevano vantare di essere
una democrazia e di essere tolleranti verso le opinioni divergenti, fintanto che
queste non arrivassero troppo vicino all'osso o minacciassero di trasformarsi in
un movimento.
Naturalmente, l'unico modo per vincere i punti della propaganda della Guerra
Fredda con schieramenti di squadra come questi, era quello di glorificare il
marchio di virtù di se stessi e maledire la sua mancanza da parte del nemico,
definendo il primo come "democrazia" e il secondo come "totalitarismo".
Inutile dirlo, le libertà civili e le elezioni non prendono alla leggera le
qualità dell'umanità. Moltissime persone hanno subito torture e sono morte
durante questa ricerca. E nonostante il paraocchi della guerra fredda, che
ancora oggi limita la visione statunitense di quella cosa chiamata democrazia,
ci sarebbe ancora ampio credito per Washington se di fatto, nel periodo
successivo alla Seconda Guerra Mondiale, avesse usato la sua posizione
predominante nel mondo, il suo status schiacciante di "superpotenza", per
diffondere queste qualità - per agire come infallibili campioni globali di
elezioni libere e belle, pluralità di partiti, stampa libera, movimento di
lavoratori liberi, habeas corpus, e altre icone di libertà civili. I precedenti
storici, comunque, indicano la posizione opposta.
Le due potenze della guerra fredda hanno presentato al mondo facce disoneste. La
linea di partito dell'Unione Sovietica ha regolarmente glorificato "le guerre di
liberazione", "l'antiimperialismo" e "l'anticolonialismo", anche se Mosca ha
fatto ben poco per contribuire di fatto al successo di queste cause, nonostante
la propaganda americana. I sovietici hanno tratto giovamento dall'immagine di
campioni del Terzo Mondo, ma facevano poco oltre a "tsk, tsk" mentre i movimenti
e i governi progressisti, anche i partiti comunisti, in Grecia, Guatemala,
Guiana inglese, Cile, Indonesia, Filippine e altrove finivano al muro con la
complicità americana.
Allo stesso tempo, le parole "libertà" e "democrazia" prorompevano liberamente
come di consueto dalla bocca dei leader americani, mentre la politica americana
sosteneva le dittature. Sarebbe difficile nominare una brutale dittatura di
destra della seconda metà del ventesimo secolo che non sia stata supportata
dagli Stati Uniti - non solo sostenuta, ma spesso elevata e mantenuta al potere
contro i il volere della popolazione.
Come hanno dimostrato numerosi interventi, il motore della politica estera
americana è stato alimentato non dalla devozione alla democrazia, ma dal
desiderio di:
1) rendere il mondo sicuro per le corporation transnazionali americane;
2) accrescere gli estratti conto finanziari degli imprenditori della difesa in
patria;
3) evitare l'ascesa di qualsiasi società che potesse servire come esempio
alternativo al modello capitalista;
4) estendere l'egemonia politica ed economica sul maggior numero di aree
possibili, come si addice a una "grande potenza";
5) combattere una crociata morale contro quello che, come i combattenti della
guerra fredda convinsero se stessi e il popolo americano, potesse essere una
Cospirazione Internazionale Comunista del Male.
Durante gli ultimi cinquanta anni, nello sforzo di creare un mondo popolato da
governi compatibili con questi scopi, gli Stati Uniti hanno - a parte una
monumentale cascata di parole - dato scarsa priorità a quella cosa chiamata
democrazia.
William Blum in Italia ha pubblicato "Il libro nero degli Stati
Uniti" (Fazi, 2003) e "Con la scusa della libertà" (Net, 2005)
Fonte:
http://www.globalpolitician.com/articles.asp?ID=421
Traduzione di Elena Mereghetti