Ostruendo la giustizia

non impediranno

la vittoria della verità

L.PÉREZ NAVARRO - 4 novembre 2005

 

Se c’è un paese che non può parlare di un impegno serio nella lotta al terrorismo sono gli Stati Uniti. Le recenti sentenze – diametralmente opposte – emesse nei processi giudiziari al noto terrorista Luis Posada Carriles e ai nostri Cinque Eroi prigionieri dell’Impero da un lato e le prigioni segrete amministrate dalla CIA in otto paesi dall’altro, lo confermano.

 

I rappresentanti del Dipartimento di Sicurezza Territoriale degli USA, lasciando trascorrere i termini per presentare appello contro la sentenza del giudice d’Immigrazione William L. Abbott nel processo simulato contro Posada Carriles, hanno sgombrato gli ostacoli che impedivano di ospitare il terrorista matricolato in questo paese, a meno che non appaia una nazione terza dove trasferirlo (cosa assai improbabile), o che arrivi l’atteso "perdono presidenziale" di Bush figlio, così come anni fa arrivò per Bosch quello di Bush padre.

 

La risoluzione del caso Posada è un inganno, uno schiaffo alla comunità internazionale. Non è stato argomentato il perchè del rifiuto all’estradizione in Venezuela. A Cuba viene negata per "praticare la tortura sistematica dei suoi detenuti", è la cinica e spudorata "argomentazione" del Governo statunitense, in complicità con la mafia controrivoluzionaria di Miami.

 

Come hanno assicurato giovedì i giornalisti Arleen Rodríguez, Lázaro Barredo e Reinaldo Taladrid nella Tavola Rotonda, se c’è un paese nel mondo che non ha i titoli morali per parlare di tortura sono gli Stati Uniti d’America che, secondo inchieste realizzate e pubblicate da ‘The Washington Post’, possiedono otto prigioni segrete in Afghanistan, Tailandia e altri paesi, due dei quali ex socialisti.

 

Si assicura che in questi centri penitenziari clandestini amministrati dalla CIA e costati più di cento milioni di dollari, sono rinchiuse decine di persone alle quali viene negato ogni diritto e garanzia legale.

 

Il Procuratore Generale degli USA, intervistato da un canale televisivo del suo paese, non ha negato né confermato l’esistenza di queste prigioni, tuttavia segue la linea della campagna portata avanti dal vicepresidente Dick Cheney nel Congresso ed in Senato, a favore dell’approvazione di un protocollo legale che autorizzi la tortura dei sospetti. In questo modo gli Stati Uniti violano i principi dell’Accordo Internazionale delle Nazioni Unite contro la tortura ed altri trattamenti crudeli e inumani, del quale sono firmatari, ma che sbandierano solo quando gli conviene e non per arrestare, accusare ed estradare – come sono tenuti a fare – un riconosciuto torturatore come Posada Carriles.

 

Frattanto continuano, prolungando l’ingiusta detenzione dei nostri Cinque compatrioti, a frapporre ostacoli alla possibilità del loro immediato rimpatrio.

 

La Corte di Atlanta ha come noto accolto l’appello della Procura ed ha riconsiderato la sentenza emessa il 9 agosto scorso. Secondo l’avvocatessa Nurys Piñero, legale del collegio di difesa, "questo non significa che ciò" (il contenuto della prima sentenza) "non venga già tenuto in conto; è molto chiaro e contiene elementi di molto peso di ordine tecnico-giuridico". Richard Klugh, avvocato di Fernando González, ha affermato che "la verità contenuta nelle sue 93 pagine non può venire nascosta, il mondo la conosce già".

 

"Quando si riunirà in seduta plenaria per fare la sua analisi, la Corte dovrà tener conto del contenuto di questa sentenza", dice Nurys Piñero e aggiunge che "nei giudici deve esistere la vocazione alla giustizia e quando questi valuteranno le argomentazioni che apporterà nuovamente la difesa si affermerà la verità: non esiste a Miami l’imparzialità che assicuri un processo giusto".

 

Nel programma radiotelevisivo è stato reso noto che i nostri compatrioti, di fronte alla sentenza emessa il 31 ottobre, hanno reagito con la dignità, il decoro e la nobiltà che li caratterizza ed hanno espresso la determinazione di continuare a lottare per dimostrare la loro innocenza e l’essenza antiterroristica della missione che li portò negli USA.