Quella simpatica canaglia di Chavez


di Jacopo Venier  12/12/05


 

“Ed ora vincerò le prossime elezioni presidenziali con 10.000.000 di voti!”. Dopo aver conquistato quasi tutti i seggi alla Assemblea Nazionale, nelle elezioni politiche dello scorso 4 dicembre, Chavez ha già lanciato la nuova sfida per il 2006 ed è sicuro di vincerla. Del resto dopo avere trionfato in tutte, tutte, le ormai innumerevoli elezioni a cui ha partecipato, il Presidente del Venezuela Bolivariano si appresta ora alla più impegnativa di tutte le sfide. Vuole ottenere la sua terza elezione diretta con un mandato ancora più chiaro e netto.

 

L’obiettivo è dimostrare una volta per tutte al mondo intero che il popolo venezuelano è pronto al salto in avanti, alla trasformazione profonda ed irreversibile della società nel solco della Rivoluzione bolivariana. Di fronte alla forza di questo processo politico, democratico e popolare, l’opposizione ha dimostrato, anche in questa occasione, la sua vocazione golpista e la sua totale subalternità agli USA. Invece di accettare la sfida del voto, Azione democratica, Copei (Partito socialista cristiano) e Progetto Venezuela (scissione di Copei) (partiti che direttamente o indirettamente controllano ancora quasi tutta l’informazione del Venezuela) hanno invece deciso, all’ultimo momento e visti i sondaggi, di boicottare il processo elettorale spaventati da una certa, ennesima, sconfitta sul campo. Così mentre i poveri del Bronx a Manhattan facevano il tifo per Chavez (che ha deciso di fornire sotto costo il combustibile necessario per l’inverno alle cooperative sociali delle zone più povere degli USA), nei quartieri alti di Caracas si facevano pressioni e minacce sui candidati perché decidessero di ritirarsi. Solo 516 candidati su oltre 5000 hanno accettato “l’invito” ma la stampa internazionale ha trovato immediatamente il modo di tornare a mettere in discussione la legittimità di un processo politico e del suo Presidente salvo poi dimenticarsi di informare che tutti gli osservatori internazionali (tra i quali quelli delle missioni dell’Unione Europea e dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA)) hanno dichiarato corretto il processo elettorale. Il boicottaggio in realtà è l’ennesima dimostrazione dell’inconsistenza politica della opposizione anti-chavista, ancora sotto shock per aver perso brutalmente il referendum revocatorio dello scorso anno. Questa opposizione (senza idee ma ben decisa a ristabilire i privilegi di cui godeva prima dell’arrivo di questo negro e indio) è oggi capace solo di farsi strumento dell’aggressione esterna cercando in ogni modo di fornire pretesti ed alibi ad un eventuale, possibile, intervento militare statunitense. “L’aver vinto le elezioni non rende il governo Chavez un governo legittimo!”, tuona senza pudore il Dipartimento di Stato che ha appena inserito il Venezuela nella lista dei paesi canaglia. Ovviamente per questi cantori della democrazia e della libertà a senso unico la legittimità di un governo non viene dal popolo ma dalla patente che solo gli USA possono fornire. In realtà i dati elettorali ci dicono che la percentuale di partecipanti al voto per le elezioni parlamentari, il 26% degli aventi diritto, è decisamente superiore a quella con cui venivano eletti i parlamenti (legittimissimi in quel caso) dove dominavano un tempo la destra ed i corrotti. Con una percentuale simile (e con in più qualche broglio) poi viene eletto il Presidente degli Stati Uniti e nessuno ha mai posto il problema della sua legittimità. Ma Chavez non si accontenta ed ha chiamato ad una mobilitazione totale per ridurre strutturalmente la percentuale dell’astensione in vista delle prossime elezioni presidenziali. Conquistare 10.000.000 di voti su 14 milioni significa infatti mirare ad un voto di quasi tutto il corpo elettorale attivo. Evidentemente il Presidente punta ora ad una ancora maggiore mobilitazione della società venezuelana (tradizionalmente invece molto passiva) per dare avvio ad una nuova tappa del processo rivoluzionario in corso. Il Venezuela è infatti il solo esempio attuale di un paese “capitalista” dove non è dato, non si accetta, in premessa, che il processo politico non possa travalicare le compatibilità sociali ed economiche definite dal Fondo Monetario e certificate da questo conformi al “Pensiero Unico”. Il Venezuela è una realtà dinamica dove parole come Rivoluzione, Socialismo, Trasformazione stanno ritrovando la loro forza. Le vittorie elettorali di questi anni vengono infatti da una profonda rabbia per le condizioni disperate in cui le “elitè” precedenti (tanto simpatiche anche a parti importanti della sinistra italiana in cerca di voti tra gli emigranti-benestanti) avevano lasciato il paese e da una grande speranza di poter cambiare, dal basso e profondamente, questa realtà. E Chavez può cantare la sua ennesima vittoria perché questi risultati sono venuti e le speranze non sono state tradite. In pochi anni e con scontri durissimi è stato riconquistato il controllo delle risorse nazionali, a partire dal petrolio; è stata ridata dignità e funzione all’apparato dello Stato con la prima riforma della Costituzione; è stato ristabilito un ruolo internazionale sia per lo stato venezuelano che per il processo politico bolivariano. Nel contempo grandi progetti di intervento sulle emergenze sociali hanno già cambiato la realtà del Venezuela. La nascita dei mercati di quartiere ha significato infatti la possibilità per milioni di venezuelani di accedere a beni di prima necessità a prezzi calmierati; la realizzazione del piano di alfabetizzazione ha cancellato in pochi anni dal Venezuela una piaga storica ed ha lasciato in eredità una serie di strutture didattiche di grande qualità; la rete di medici cubani ha fornito per la prima volta al popolo venezuelano la sicurezza di potersi curare a prescindere dal proprio reddito. Per non dire della legge sulla gioventù, della nascita di un sindacato di classe e così via…. Rispetto al recente passato il Venezuela oggi è un altro paese pieno di dignità, di orgoglio, proiettato con fiducia verso il futuro.     

 

Non potendo negare la realtà i “critici” cercano di infangarla accusando Chavez di populismo pagato con i soldi del petrolio. Noi sappiamo bene però la differenza tra il populismo (dietro la cui facciata c’è il nulla) ed un processo politico che, come hanno visto le migliaia di giovani che hanno partecipato al Festival Mondiale della Gioventù questa estate a Caracas, coinvolge, mobilita, ed è controllato da milioni di “nuovi militanti politici” e dalle loro organizzazioni oggi riunite nel “blocco per il Cambiamento”.    

 

Comunque chiediamo a costoro che accusano Chavez di guadagnare voti perché distribuisce cibo, salute, sapere ai più poveri perché nessuno, negli anni doro del sacco delle risorse nazionali, avesse invece pensato di usare almeno parte di quei dollari per il proprio Paese e non per i propri profitti personali.   Il Venezuela non si ferma. Non si ferma sul piano interno dove deve essere attuata ad esempio una profonda riforma agraria che cambierà strutturalmente i rapporti di proprietà; non si ferma sul piano latinoamericano con l’ingresso nel Mercosur dopo aver contribuito decisamente alla cancellazione del progetto USA dell’ALCA; non si ferma sul piano internazionale con la nascita di Telesur, Petrosur e di molte altre reti di relazione economica e politica di coloro che non si piegano ai signori della Guerra mondiale in corso. Il Venezuela non lo fermeranno. Non lo fermeranno le manovre interne e non lo fermeranno le aggressioni esterne. Chavez insomma sarà pure una canaglia ma, per noi, per chi si batte per “l’altro mondo possibile e necessario” è una simpatica canaglia.