Venezuela: il governo bolivariano continua a

 

reggere la sfida antimperialista e la Bolivia

 

di Evo Morales ne segue l’esempio.


Cuba è sempre meno sola

 

www.resistenze.org  7.1.06 di Sergio Ricaldone

 

Cosa  che pareva inimmaginabile solo qualche anno fa, l’imperialismo americano, in apparenza invincibile, appare sulla difensiva anche nel “cortile di casa”.   A conti fatti sembra che nella presente congiuntura internazionale sia soprattutto l’America Latina a beneficiare dei tonfi politici e militari della Casa Bianca.  E gli exploit del Venezuela continuano ad occupare molto spazio mediatico e a seminare input incoraggianti alle varie forme di resistenza antiyankee che stanno contagiando il continente sudamericano.

Per capire meglio la reale entità dei cambiamenti in atto in quella parte del mondo, fino a poco tempo fa totalmente infeudato all’imperialismo yankee, conviene partire da quello che appare il punto più alto dell’espansionismo imperiale della superpotenza, squadernato, nel 1997,  con la brutale franchezza del vincitore, nel libro di Zbgniew Brezinski “La grande scacchiera”.   Un libro considerato, a ragion veduta,  la Bibbia dell’imperialismo americano in cui l’autore espone, con lucida razionalità, i passaggi chiave del  nuovo ordine mondiale a gestione unipolare americana, dopo la caduta del suo principale antagonista, l’Unione Sovietica.   La priorità strategica, descritta in quel libro con grande chiarezza e molti dettagli, prevedeva l’assunzione del controllo globale, assoluto e irreversibile, da parte della superpotenza, di tutte le fonti energetiche del pianeta attraverso l’impiego combinato degli strumenti classici usati dall’imperialismo americano fin dai tempi di Theodoro Roosvelt: la potenza militare e finanziaria, la corruzione e il terrorismo.

L’entità del bottino energetico previsto dalla “Grande Scacchiera” era enorme: America Latina, Africa, Medio Oriente, Asia.  La stessa Russia piombata in una fase di disintegrazione balcanica dalla gestione etilica di Boris Eltsin e consegnata nelle mani rapaci della nuova oligarchia, appariva disponibile a rendersi complice del progetto americano.  Il nuovo impero mondiale sembrava cosa fatta dopo che Bill Clinton dichiarò che la Casa Bianca e il Pentagono avevano pianificato la possibilità di sostenere tre guerre in contemporanea, ad alta intensità, in qualsiasi parte del mondo e contro qualsiasi nemico.
 


Uno spettro si aggira per le strade di New York……….
 


Otto anni dopo, apro un giornale ( la Stampa del 7/12/05) e, anziché i segni consolidati di grandeur del nuovo impero mondiale, leggo esterrefatto che nel Bronx alcune autocisterne con la sigla della società petrolifera del Venezuela, la CITGO, stanno distribuendo gasolio pressoché gratuito agli abitanti di questo quartiere di New York che, assiepati a migliaia lungo la 176a Strada, invocano a gran voce il nome di Hugo Havez e di Fidel.   Scene analoghe si erano già svolte qualche giorno prima a Boston e New Orleans.  E per sua fortuna il Dipartimento di Stato ha negato il visto ad un gruppo di medici cubani disposti a curare gratis, almeno una cifra simbolica dei 46 milioni di americani totalmente privi di assistenza sanitaria, altrimenti ne avremmo viste delle belle.

Ho l’impressione che i banali fatti di cronaca del Bronx segnalino che, rispetto alle ambizioni di dominio planetario proclamate otto anni fa dalla superpotenza, qualcosa sia andato storto.  Il prezzo del greggio è più che raddoppiato e il controllo di Washington sulle fonti energetiche non è affatto migliorato.  La rapina a mano armata del petrolio iracheno sta richiedendo dei prezzi politici e militari disastrosi, mentre si palesa sempre più nettamente un fronte di resistenza dei paesi produttori alla testa dei quali emergono la Russia, l’Iran e il Venezuela.   La pur soverchiante potenza militare e finanziaria dell’imperialismo americano non è dunque riuscita ad assumere il controllo globale delle risorse energetiche, pilastro principale del suo nuovo ordine mondiale.   Curioso osservare come sia stata una pedina marginale del grande gioco planetario a scombinare la partita della “grande scacchiera” che gli Stati Uniti erano sicuri di vincere.   Il nome di questa pedina si chiama Venezuela.

La sfida lanciata da Hugo Chavez  al gigante del nord  è di quelle che fanno tremare i polsi al più temerario dei guerrieri.   La sua stretta amicizia con Cuba e le sue coraggiose riforme politiche ed economiche, tutte di segno antiliberista, a partire dal controllo statale sulla produzione e il commercio del greggio, sono andate ben al di là della border line di tollerabilità imposti storicamente da Washington a tutta l’America Latina.   Colpi di stato e sbarchi di marines sono stati compiuti contro governi e paesi molto meno ostili di quello di Caracas.   Non è un caso se tra i molti guastafeste, il Venezuela era stato collocato in una posizione di tutto rispetto nella lista nera degli “stati canaglia”.  Ma le pressioni e le minacce della superpotenza non sembrano avere spaventato molto il governo di Hugo Chavez che continua per la sua strada, e il personaggio sta assumendo lo spessore ed il prestigio di un vero leader della resistenza antimperialista.  Non a caso contro di lui si sbizzarrisce la fantasia complottarda dei consiglieri di Bush.
 


Imprevista unanimità per Chavez al Parlamento di Caracas.



E’ curioso notare come nelle ultime elezioni del Parlamento di Caracas, del novembre 2005,  la coalizione bolivariana di Hugo Chavez abbia potuto conquistare tutti quanti, nessuno escluso, i 167 seggi dell’Assemblea Nazionale.  Scandaloso! Urlano indignati i tutori della democrazia yankee.  Non era mai successo altrove, nemmeno nella Mongolia di Gengis Khan.

La spiegazione è semplicissima: tre giorni prima delle elezioni l’opposizione antichavista si è ritirata dalla competizione non fidandosi (così è stato detto) del voto elettronico il cui sistema pare sia stato allestito con ostentata sicurezza da una multinazionale americana.  Lo stesso Josè Albino, il portoghese a capo della missione dell’UE, incaricata di sorvegliare la regolarità del voto, è caduto dalle nuvole: “Per quale ragione si ritirino gli oppositori di Chavez non lo capisco proprio”.  E si è pure arrabbiato in quanto, ligio al suo ruolo super partes, aveva ottemperato a tutte le richieste (anche le più infantili e banali) dei nemici di Chavez.   Era stato persino avallato uno scandaloso squilibrio di mezzi mediatici simile a quello di cui gode Berlusconi in Italia.   In Venezuela infatti la maggioranza delle reti televisive e i principali giornali sono nelle mani dell’opposizione e stabilmente impegnati a diffamare e demonizzare il governo bolivariano.   Ciò nonostante, alla vigilia delle elezioni, i sondaggi annunciavano un'altra solenne sconfitta dell’opposizione antichavista.

E’ stato a quel punto che l’emissario della strategia golpista di Washington e mente storica del terrorismo CIA in America Latina, John Dimitri Negroponte, ha avuto la geniale pensata di sottrarre i suoi agenti di Caracas dalla vergogna di una nuova clamorosa sconfitta, invitandoli a disertare le urne, in modo da fare apparire la vittoria di Chavez cosi plebiscitaria da risultare truccata agli occhi dell’opinione pubblica americana.  Un modo un po’ bizzarro di inventarsi una dittatura e un colpo di stato immaginari costruiti e messi a punto nei laboratori degli stregoni che ispirano l’opposizione contro Chavez per poter ribadire l’esigenza di riportare la democrazia yankee in Venezuela.

Negroponte e Bush sperano ovviamente che il mondo occidentale reagisca con furore contro lo sfrontato sfidante bolscevico di Caracas.  Soffiano sul fuoco i giornali e la TV nelle mani dell’opposizione. Lo ripetono l’ondata di messaggi che inondano i computer delle agenzie di mezzo mondo.   Ma il mondo, soprattutto quello latino-americano, è un po’ cambiato dopo l’avventura irachena e guarda con più disincanto  gli esportatori di democrazia che stanno a nord del Rio Grande.

Anzi, pochi giorni dopo, a Montevideo, Chavez ha firmato in tutta calma l’ingresso del Venezuela nel Mercosur, invitato da Argentina, Brasile, Cile, Uruguay.    Pentagono e Casa Bianca  si domandano come il quinto produttore mondiale di greggio sia potuto sfuggire al loro controllo   Avrebbero una voglia matta di inviare una squadra navale a Maracaibo per regolare i conti con Hugo Chavez, ma sanno che è molto pericoloso accendere un solo fiammifero tra i pozzi off shore del mar delle Antille, ormai passati sotto il controllo del governo venezuelano.  E il petrolio di Caracas è oggi più che mai necessario agli Stati Uniti.  I falchi di Washington devono limitarsi ad osservare con molto disappunto che i punti di carico del greggio venezuelano sono sempre più frequentati da petroliere battenti bandiere e destinazioni diverse da quelle esclusivamente casalinghe di Huston e New Orleans dove finiva praticamente tutto il greggio estratto in Venezuela.
E tra i nuovi clienti figurano – quale orrore! – il più temibile dei competitori strategici, la Cina, e uno dei più odiati “stati canaglia”, Cuba.



Sudamerica:  inizia una fase di profondi cambiamenti geopolitici.



Resta da chiedersi come abbia fatto il Venezuela bolivariano, nano insignificante dal punto di vista economico e militare, a diventare, in sintonia con Cuba, il soggetto politico trainante delle iniziative che stanno mettendo a dura prova i rapporti neo coloniali di Washington con l’intero Sudamerica. 
Per valutare quale sia l’attuale proiezione geostrategica del Venezuela nella politica internazionale e la sua “forza propulsiva” sui movimenti di resistenza antimperialisti non è superfluo ricordare che tutta l’America a sud del Rio Grande, fino alla Terra del Fuoco, è stata totalmente infeudata per decenni alla sovranità della Casa Bianca e ai suoi apparati repressivi.  Ricordiamo con quale violenza e ferocia furono schiacciati nel sangue i tentativi eroici di molte avanguardie armate (i montoneros, i tupamaros, le guerriglie amazzoniche) ma anche i grandi movimenti di massa e i tentativi democratici e pacifici espressi da Arbenz in Guatemala, da Allende in Cile, da Noriega a Panama.

Credo che dal Nicaragua al Salvador, al Perù, all’Argentina, siano pochi gli Stati sudamericani che non hanno conosciuto la ferocia degli squadroni della morte addestrati nella scuola della CIA di Forte Bragg.  Una pratica tutt’altro che sconfitta purtroppo.   Uno dei suoi istruttori, James Steel, che si è fatto le ossa in Salvador trucidando 70 mila campesinos salvadoregni, si trova attualmente in Iraq (lo denuncia il New Yorker Magazine) per addestrare allo stesso modo e con lo stesso nome – Special Police Commandos -  5000 soldati di elite di Saddam Hussein.  Ossia una nuova tecnologica Gestapo in piena regola, che tuttavia si tiene lontana dall’America Latina dove tira una brutta aria  per i super Rambo di Langley.   Soprattutto dopo che il 6 novembre scorso, a Mar della Plata, il presidente Bush ha deciso di risalire a bordo, piuttosto abbacchiato, del suo Air Force One, abbandonando con un giorno di anticipo il Vertice delle Americhe dopo che era stata respinta la sua proposta di creare una zona di “libero scambio” dall’Alaska alla Patagonia.
“Il grande sconfitto di oggi è Bush. Il suo programma di “libero scambio” è morto e seppellito”  ha dichiarato Hugo Chavez davanti alle 50 mila persone riunite nello stadio di Mar della Plata, che hanno salutato la partenza del presidente americano al grido “Bush fascista, sei tu il terrorista”.


  
Evo Morales aggancia la Bolivia  al treno della liberazione antimperialista.



Con la vittoria del socialista Evo Morales in Bolivia si conferma la volontà di seguire la traccia aperta dalla rivoluzione bolivariana e di restituire al popolo boliviano la piena sovranità sulle sue risorse naturali: il gas, l’acqua, le miniere, l’agricoltura (coca inclusa).  E’ una nuova convincente conferma che dalla fase delle sconfitte i movimenti antimperialisti in America Latina stanno imponendo una inversione di tendenza.  Il 30 settembre 2005, due settimane dopo la sua grande vittoria elettorale, il primo viaggio all’estero del neopresidente socialista boliviano ha avuto come meta Cuba e l’amico Fidel.   Un incontro che lo scrittore e parlamentare argentino Miguel Bonasso ha definito storico ed uno dei primi passi per la costruzione della Patria Grande en America liberata dall’imperialismo nordamericano.   L’accordo di cooperazione bilaterale, siglato solennemente all’Avana, garantirà l’arrivo in Bolivia dei due “prodotti” di esportazione, tipici di Cuba socialista: i medici e gli alfabetizzatori.  Possiamo immaginare quanto sia stato gratificante per il popolo cubano ed il suo leader osservare quali risultati stiano producendo gli insegnamenti della rivoluzione cubana.

Capita spesso di ascoltare, o leggere nella nostra madre lingua, momenti di profonda delusione per la caduta di impegno verticale, in Italia e in Europa, del movimento pacifista e di quello no global.  Ciò che sta accadendo in controtendenza in Sudamerica conferma invece che l’avanzare dei processi di liberazione dal dominio e dalla guerra dipende, oggi come ieri, non da un solo soggetto  contrapposto ad una fantomatica cupola mondiale di potere, ma da un insieme di fattori definiti dalla cultura marxista contraddizioni antimperialiste, rintracciabili, con maggiore o minore intensità, nel dirompente riemergere di entità sociali e interessi  nazionali  di popoli sempre meno disponibili a piegarsi al dominio unipolare della superpotenza.

Contraddizioni le cui dinamiche vengono squadernate con grande efficacia da un autorevole esponente dello stesso movimento antiglobal, Walden Bello, nel suo ultimo libro  Domination:  “I grandi imperi paiono ora, come in passato, imbattibili.  Ma tanto più si espandono quanto più, paradossalmente, si indeboliscono.  E mentre diventano man mano più fragili, necessitano di sfruttare ancora più paesi, aumentando le spese, rendendo più difficili le relazioni internazionali, esponendosi ad attacchi potenzialmente devastanti.  Un circolo vizioso obbligato che, storicamente, accomuna gli imperi all’alba della loro fine.  Benché gli Stati Uniti siano ancora la prima potenza mondiale, il loro sistema di dominio globale è oggetto di un pesante attacco e forse è già iniziato il processo che porterà al suo disfacimento”  
(Ed. Nuovi Mondi Media , 2005, pag. 290)