GUANTANAMO
Liberi dalle accuse, restano reclusi
Un terzo dei
prigionieri potrebbe andare, ma il Pentagono non sa come rimandarli a casa Di
nuovo in Italia gli operai della ex-Zanon Odissea senza fine Sono 141 i detenuti
liberati rimasti a Camp Delta (ap). Fra questi i famosi uiguri che Hu Jintao ha
chiesto a Bush
F.Della Porta 22 aprile 2006
Un'odissea senza fine. Tale sembra essere
la storia di 141 detenuti di Guantanamo, già accusati di essere «nemici
combattenti», mai accusati e, dopo quattro anni di reclusione, trattenuti nel
carcere sulla base Usa a Cuba perché gli Stati uniti non sono in grado di
garantire il loro ritorno nel paese d'origine. Il Pentagono, che solo l'altroieri
si è dovuto piegare al Freedom of information act e ha infine pubblicato una
lista completa dei prigionieri di Camp Delta, ha ammesso ieri che circa un terzo
dei detenuti non sono più accusati, ma rimangono per il momento a Guantanamo.
Di questi 141 l'Amministrazione Usa non ha però voluto fare i nomi. Non è
neanche chiaro quali siano le ragioni che rendono impossibile il loro rimpatrio.
Alcuni funzionari hanno giustificato la cosa citando la politica ufficiale degli
Stati uniti, che vieta di estradare qualcuno in un paese in cui potrebbe essere
maltrattato o torturato. Ma, detta così, la cosa ha un che di grottesco,
soprattutto se si tiene conto della politica delle «extraordinary renditions»
messa in atto dall'amministrazione Bush, che nel corso degli anni ha spedito
decine di persone in paesi dai metodi poco teneri proprio per farli interrogare
«per bene».
Il Pentagono da parte sua ha solo ammesso l'esistenza del problema, ossia la
propria incapacità di rimandare a casa gli interessati, senza specificare gli
impedimenti (legali o logistici) al loro rimpatrio. Il caso dei detenuti uiguri,
che non possono essere rispediti in Cina perché finirebbero direttamente dalla
padella di Guantanamo alla brace delle galere della Repubblica popolare (e di
cui l'altro ieri il presidente cinese Hu Jintao in visita negli Usa ha chiesto
la consegna), appare quindi tutt'altro che isolato.
A mo' di giustificazione, il tenente Chito Peppler, portavoce militare, ha
detto: «Non parliamo dei movimenti dei detenuti finché tali movimenti non sono
conclusi». Fatto sta che i 141 si trovano ora costretti, dopo anni trascorsi in
una sorta di limbo giuridico (erano definiti «nemici combattenti» e esclusi
dalla Convenzione di Ginevra; sottoposti a sessioni di interrogatori e torture,
nella maggior parte dei casi non hanno ricevuto incriminazioni), a rimanere
rinchiuse nelle famigerate gabbie di Guantanamo.