GUANTANAMO

 


Amnesty: le vite fatte a pezzi dei prigionieri

 

 

6.02.06 di red

 



Io sto morendo lentamente, ogni giorno, mentalmente e psicologicamente. Questo è quello che accade ogni giorno ad ognuno di noi. A parlare è Shaker Aamer, uno dei tanti detenuti di Guantanamo, il centro di detenzione Usa a Cuba che sta condannando «migliaia di persone a una vita di sofferenza, tormento e disprezzo».

 

A dar voci ai diritti di tanti prigionieri, a rivendicare una detenzione più umana e che rispetti la vita di ogni individuo è ancora una volta Amnesty International . L’associazione denuncia, in un rapporto dal titolo[/i]Guantanamo: vite fatte a pezzi, l’impatto della detenzione a tempo indeterminato sui prigionieri e sulle loro famiglie[/i] , i maltrattamenti e la privazione totale dei diritti a cui sono sottoposti quotidianamente i reclusi di questa prigione.

 

Il rapporto contiene le testimonianze di ex detenuti e dei loro familiari e descrive la situazione attuale delle persone ancora recluse a Guantanamo, gli scioperi della fame in corso e i tentativi di suicidio.

 

A Guantanamo i reclusi sono sottoposti a torture fisiche e psicologiche. Uomini che raggiungono la follia tanto da essere spinti al suicidio perché vittime di realtà inimmaginabili. Amnesty denuncia ogni possibile violazione delle norme internazionali sui diritti umani. E basta leggere qualche testimonianza per rendersene conto: «Gli prese la faccia e la fece sbattere contro il pavimento di cemento. C’era sangue dappertutto. Poi lo portarono via dalla cella e aprirono il tubo dell’acqua. La cella era piena di acqua mescolata al sangue. Lo abbiamo visto tutti…». «L’uomo si tolse lo scudo, si levò l’elmetto e, quando la porta fu aperta, prese la rincorsa e diede una ginocchiata proprio tra le scapole di Jumah. Quell’uomo pesava oltre un quintale».

 

Questa è la realtà del carcere di Guantanamo fatta di ingiustizie e soprusi contro prigionieri che quasi mai hanno beneficiato di una revisione giudiziaria legittima della propria detenzione. A parlare sono anche i numeri. Secondo il rapporto di Amnesty cinquecento uomini di 35 nazionalità sono detenuti a Guantanamo Bay, decine di loro sono attualmente in sciopero della fame e nove continuano ad essere rinchiusi anche se il governo Usa non li ritiene più combattenti nemici.

 

Alcuni soldati che erano di stanza a Guantanamo hanno parlato delle torture inflitte ai prigionieri e ne è emersa una situazione allucinante. Un caso tra tutti quello di Jumah Mohammed Abdul-Latif al-Dossari che è stato arrestato in Pakistan alla fine del 2001 e trattenuto per diverse settimane dalle autorità di quel paese. In seguito è stato prelevato da agenti Usa e trasportato in aereo nella base di Kandahar, Afghanistan. Durante il volo è rimasto ammanettato, con le mani dietro la schiena, e incatenato. Quando ha protestato per il dolore, è stato preso a calci e pugni nello stomaco, facendogli vomitare sangue. Al-Dossari è rimasto nella base aerea di Kandahar per circa due settimane, in una tenda gelida che ospitava anche altri detenuti e con un secchio come toilette. Le torture una volta arrivato nella prigione americana, sono continuate e in maniera anche più atroce. È stato rinchiuso in una cella frequentemente visitata da topi e serpenti, costretto a subire gli abusi dei militari che erano soliti spegnere le sigarette sulla sua pelle ed urinargli addosso, preso a calci in faccia, costretto a camminare a piedi nudi sul filo spinato con la faccia su un pavimento pieno di vetri rotti.

 

Queste sono solo alcune delle torture a cui i prigionieri sono costantemente sottoposti, ma secondo il rapporto e le testimonianze raccolte, lo stato di inciviltà che si respira in quel posto non è comprensibile neanche tramite questi racconti. Anche se conoscere certe verità aiuta a capire che il numero dei suicidi, in notevole crescita, secondo il rapporto, non è un’ invenzione come non lo sono le atroci descrizioni di chi quelle torture le ha subite sulla propria pelle ed ha avuto la fortuna di uscirne vivo per poterle raccontare. Si tratta dei detenuti rimandati nei propri paesi, vittime di detenzioni illegali che portano cucita addosso l’umiliazione di quei giorni a Guantanamo e i segni indelebili delle torture subite.

 

Il rapporto di Amnesty International è dedicato anche alle famiglie dei carcerati, testimoni di pesanti verità. Nel documento si leggono le parole di una donna, Nina Odizheva, madre di Ruzlan Odizhev, detenuto russo a Guantanamo, che ha raccontato come il tempo trascorso nel centro di detenzione Usa abbia irrevocabilmente trasformato il figlio: «È cambiato! Ora è completamente malato. Deve prendere medicinali per tutti i suoi organi principali. Cerca di non mostrarmi o di non dirmi particolari in modo che io non mi preoccupi, non ha mai appetito, è una persona diversa da prima».

 

Amnesty chiede «giustizia anche per queste madri e per quelle famiglie che ormai da tempo non hanno più notizia dei loro cari, per il rispetto delle persone umane». Amnesty chiede agli Usa di pubblicare la lista di tutte le persone detenute a Guantanamo e in altri centri di detenzione, di processare e di rilasciare tutti i detenuti della prigione americana, di chiudere Guantanamo e consentire verifiche indipendenti in tutti i centri di detenzione Usa per indagare su ogni denuncia di maltrattamenti e torture ai danni dei detenuti.