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La guerra mediatica

degli USA
 

 

 

 

| 30 novembre 2006 | S.Annericchio |

 

 


A pagina 10 del quotidiano italiano La Stampa del 17 agosto scorso si legge la sorprendente notizia che a Cuba "si ammalano di Aids per contestare il dittatore Castro" e che, per far quadrare il drammatico panorama, "i dissidenti raccontano che un quinto dei giovani in una scuola a La Habana si è infettato di proposito". Si è scoperto in seguito che la notizia era oltre che assurda, infondata, ossia una falsa notizia. Paranoia giornalistica? Non proprio.


Nestor Baguer , l'agente dei servizi segreti cubani che sotto il nome Agente Ottavio riuscì ad infiltrarsi nel cuore della stessa CIA, e fedele alla rivoluzione cubana per ben 40 anni, svelò l'importanza per le amministrazioni nordamericane di controllare il giornalismo e l'informazione pubblica in quella guerra dichiarata unilateralmente contro l'Isola, una delle tante azioni del governo Usa contro Cuba, sin dal 1960.


Dopo quasi mezzo secolo di permanente aggressione contro il popolo cubano, questo indirizzamento del giornalismo si sta rafforzando, cosi da coprire i numerosi crimini commessi nell'Isola da parte dei differenti governi statunitensi. La strategia belligerante degli Usa sin dall'inizio della Rivoluzione cubana, infatti, fu quella di rafforzare il ruolo strategico del giornalismo su scala internazionale. Un ruolo essenzialmente servile ma, e soprattutto, capace di mantenere l'opinione pubblica scientificamente disinformata, o male informata, al riparo da ogni possibile reazione nel caso di atti criminali o di terrorismo.


Sono passati oltre 45 anni da quando Baguer rilevò l'efficacia di questo giornalismo servile che, sottomesso a una buona busta paga, riesce a essere abile nel produrre menzogne incredibili. Da allora quasi tutte le testate fedeli agli interessi degli Stati uniti si sono accordate in un unico canto corale, e tra queste è emersa l'associazione Reporters Sans Frontières. La stessa CNN, lo scorso 8 settembre, riprendendo la notizia da Miami, (AP) scrisse che "Dieci giornalisti del sud della Florida sono stati pagati migliaia di dollari dal governo federale per trasmissioni che avevano lo scopo di danneggiare il presidente cubano Fidel Castro". Tra questi figura il noto editorialista e conduttore di programmi di Radio Martí, Pablo Alfonso, che ha incassato dal 2001 ad oggi 175 mila dollari per produrre notizie anticastriste, oppure la giornalista freelance Olga Condor, che ricevette 71 mila dollari per simili servizi giornalistici. Persino Juan Manuel Cao, il reporter che acquistò notorietà per aver contestato Fidel Castro nel recente vertice del Mercosur in Argentina, dichiarò di essere "indipendente" quando Castro gli chiese da "chi riceveva lo stipendio"; Cao figura nel libro paga di Radio Martí con una succulenta busta di 11.400 dollari dall'inizio anno per i soliti servizi da giornalista "indipendente".


Un giornalismo così "professionale" è stato capace di immettere nell'opinione pubblica una marea infinita di fandonie che superano il grottesco, sfiorando a volte la comicità: come quella di ammalarsi di Aids apposta, solo per protesta. Comiche da ridere, se non fosse che con questo modo di fare notizia si distrae l'opinione pubblica dai responsabili dei numerosi crimini commessi in ogni angolo della terra.


La rivista Forbes (il cui proprietario, Malcon Forbes, è anche direttore della Commissione speciale per la ricostruzione economica di Cuba, se nell'Isola ritornasse il capitalismo), nel mese di maggio del 2006 ha pubblicato che "Fidel Castro è il settimo governante più ricco al mondo" attribuendogli ammassi di fortune a Cuba e all'estero. Notizia, questa, ritrasmessa dalle maggiori testate del mondo (violando una delle regole basilari del giornalismo, quella della verifica), come fanno i pappagalli quando sentono la voce del padrone. Fidel Castro, senza farsi attendere, sfidò Forbes promettendo le proprie dimissioni da ogni carica se qualcuno nel mondo avesse dimostrato la veridicità della notizia. Forbes ha dovuto ammetterne l'infondatezza. Persino l' Herald Tribune di Miami, giornale anticastrista, riconobbe che "il metodo adottato da Forbes, quando si tratta di Castro, non è eccessivamente rigoroso". La stessa Forbes ha dichiarato che il suo metodo di valutazione della ricchezza dei potenti è "più arte che scienza".
(http://www.miami. com/mld/elnuevo/news/ma gazine/14623973.htm)


Ma i pappagalli della stampa 'indipendente' mondiale si sono 'dimenticati' di riportare che la notizia non era una notizia, era una frottola, una falsa notizia.


Pierluigi Battista, sul Corriere della Sera del 2 agosto, scrisse un articolo dal titolo "Rivoluzione e dinastia" in cui dichiarava che "quella di Castro (la Rivoluzione, n.d.r.) fosse una dittatura era una cosa nota [.] Con grande sconcerto di chi, credendo di assistere a una grande rivoluzione, ha finito per assistere alla degenerazione personalistica di una delle ultime intoccabili dinastie.". Sicuramente Battista prima di sostenere queste affermazioni ha confrontato accuratamente Fidel Castro con Taufa'ahau Tupou IV, il monarca di Tonga (entrato nel 1976 nel Guinness dei primati con i suoi 209,5 chilogrammi) e che sosteneva che "Troppa democrazia fa solo danni". Morto lo scorso 10 settembre, ha lasciato in eredità una dinastia che dura dal 1845, con 172 isole della Polinesia, al figlio Tupouto'a. Centosettantadue isole popolate da una "plebe" che fatica a superare la soglia della povertà, prevalentemente analfabeta, costretta a mettersi a dieta insieme al re, quando lui lo ha fatto, e senza un bloqueo che l'asfissia, come accade a Cuba. Senza uscire dall'eurocentrico concetto geografico di Battista, su dove si trovi l'Occidente in questo mondo, è opportuno ricordare al giornalista del Corriere della Sera alcune delle "ultime intoccabili dinastie", quelle secolari e ancora rimaste in Europa: Olanda, Spagna, Portogallo, Danimarca, Principato di Monaco, Regno unito, Belgio. Ma anche le fantasie dinastiche degli eredi della Casa Savoia, coinvolta in fatti di corruzione, droga e prostituzione. Per semplificare il lungo elenco delle ultime dinastie intoccabili dell'Occidente, quelle non citate da Battista, è necessario scrivere in coda un "eccetera, eccetera". Curiosamente il Corriere della Sera, così puntuale e critico sulle eredità sanguinee, quali le dinastie, applaude con fervore la nascita dell'erede della dinastia nipponica "Il Giappone è in festa" scrive il Corriere della Sera il 9 settembre e aggiunge, "dopo quarant'anni ha il suo erede: nella notte è nato il figlio del principe cadetto Akishino e della consorte Kiko, il primo erede maschio al trono dell'impero del Sol Levante dopo nove femmine" Povere femmine, che nelle "buone" dinastie del Corriere della Sera, come quella nipponica, sono escluse. Così come in quelle della 'dinastia' Bush, con padre e figlio presidenti e il terzo, Jeb Bush, capo della Florida e amico di personaggi, a dir poco 'discutibili'. Le fantasie del giornalista del Corriere della Sera non finiscono qui, ma nello stesso articolo, con un accurato riassunto letterario, Battista elenca tutti gli argomenti che i mezzi d'informazione, come quelli citati da Baguer, sono abituati a scrivere su Cuba " sull'oppressione che il castrismo ha inflitto al suo stesso popolo", scrive "sulle rotte disperate in mare dei cubani in fuga dall'inferno della repressione dell'Avana, sulle carceri stracolme di dissidenti, sull'economia alla rovina in omaggio ai dogmi della pianificazione rivoluzionaria, sugli omosessuali rinchiusi nei campi di concentramento (costruiti con la collaborazione di Ernesto Che Guevara, racconta la storia e non il mito), sui giornali vietati, i libri proibiti, gli scrittori in esilio, sull'onnipotenza spionistica della polizia politica al servizio di un potere sempre più prigioniero della paranoia e della sindrome del sospetto generalizzato". Se non fossimo allenati ad ascoltare in tutte le salse questa sfilza di menzogne, rimarremmo senza fiato solo a leggerle.


Dalla Svizzera, per citare un altro paese europeo, si sono più o meno alzate voci su quel vento della "transizione alla democrazia a Cuba" pianificato e finanziato dal Dipartimento di Stato USA. Il telegiornale della Televisione Svizzera Italiana, TSI, delle 12.30 del 1° agosto, nel riportare la notizia che Fidel Castro comunicava ai cubani e al mondo che necessitava di un intervento chirurgico delicato, si sforzò di dare la notizia con inutili fronzoli, privi di contenuto e veridicità circa una presunta repressione degli omosessuali a Cuba, ignorando completamente il recente progetto di legge cubana a loro favore e lasciando in un secondo piano la notizia, quella del ricovero di Fidel Castro.


Fidel Castro, in una intervista al direttore di Le Monde Diplomatique, Ignazio Ramonet, spiega chiaramente cosa c'è dietro questa scientifica pianificazione delle notizie, (che non è una epidemia di scadente giornalismo o di semplice ingenuità): "non sono la stessa cosa una bugia e un riflesso condizionato; la bugia danneggia la conoscenza" sostiene Fidel Castro "e il riflesso condizionato la capacità di pensare" e, aggiunge, "non è la stessa cosa essere disinformato e perdere la capacità di pensare".


I riflessi condizionati citati da Fidel creano pensieri a catena sulle popolazioni dove la falsità, ripetuta di bocca in bocca, diventa l'unica verità e condiziona l'opinione pubblica. Nel caso della falsa notizia di Forbes, per esempio, rimane nella memoria dei lettori delle maggiore testate al mondo che Fidel è un ricco dittatore comunista. Secondo il Corriere della Sera c'è una corrotta dinastia che governa Cuba, dalla TV Svizzera emergono le sofferenze degli omosessuali, e così via in tutte le testate senza uscire dal riassuntivo elenco del giornalista Battista: quelle sulle barbarie del regime cubano. Tutte queste variabili fantasie giornalistiche hanno un denominatore comune nell'utilizzo delle parole chiave: regime e dittatura.


L'utilizzo sistematico della parola "dittatore" che, con tanta solerte semplicità viene usata ogni volta che Fidel Castro viene nominato, ha una ragione che risponde a un progetto politico degli Stati uniti ben definito: quella di aggredire Cuba senza essere disturbati dall'opinione pubblica. Solo resta il sospetto di sapere quanti siano i giornalisti che si muovono nel campo della pura ingenuità e quanti coloro che operano nel campo del premeditato condizionamento, certamente stipendiati, su quella fetta della popolazione mondiale così da rassegnarla a eventuali avvenimenti bellici che gli Stati uniti ipotizzano su Cuba.


Dietro questa macchina perfetta che controlla l'informazione esiste un assioma che si deduce riassumendo il contenuto implicito di tutte le notizie. Emerge dunque che Fidel Castro è un dittatore e, per di più, un dittatore comunista e, se non bastasse, un comunista miliardario, al comando di un regime dinastico. Quindi di un regime non in linea con la "comunità internazionale" ossia non in regola "democratica" secondo le definizioni di questa stessa comunità.


Diffondendo questo assioma in quella parte dell'opinione pubblica già impregnata dai riflessi condizionati di cui parlava Castro, ossia quella priva della capacità di pensare, il gioco è fatto: abbiamo un'opinione pubblica pronta a condividere immobile le eventuali risoluzioni che la "Comunità Internazionale" può emanare, visti i "fatti", e per favorire la "transizione alla democrazia" (voluta dall'Amministrazione statunitense), consentendo persino il massacro del popolo cubano, come già accaduto in Somalia, Kossovo, Afghanistan, Iraq, Palestina e Libano, solo per citare i casi più eclatanti.


Le false notizie, cresciute esponenzialmente in questi ultimi mesi, sono in realtà il carrello per trasportare l'assioma citato (la punta dell'iceberg) in un momento in cui il Dipartimento di Stato degli Stati uniti dichiara e finanzia ulteriormente il programma per destituire il "dittatore" cubano e ristabilire la "democrazia", quella capitalista (sono 454 le pagine sulla Commission for assistence to a free Cuba, Cafc - elaborate dal Dipartimento di Stato nordamericano nel maggio del 2004, per far cadere il governo cubano, in palese violazione dei diritti internazionali). Sotto la regia della presidente del Cafc e Segretario di Stato, Condoleezza Rice, firmato da Bush il 10 luglio 2006 in concomitanza al criminale bombardamento su Beirut, infatti, è uscito un nuovo rapporto con l'obiettivo dichiarato di "rompere l'ordine costituzionale vigente a Cuba" e lo stanziamento di 80 milioni di dollari solo per il 2007 e 2008. Un finanziamento che copre anche le spese del giornalismo omologato.