L'allarme dengue a Cuba

e i blog anticastristi
 

 

 

 

| 12 ottobre 2006 | G.Minà |

 

 

 

E' bastato un insistito tam-tam di blog degli esiliati anticastristi di Miami e di agenzie nordamericane, più o meno credibili, sull'insorgere nell'isola di un focolaio di dengue, per sbattere nuovamente Cuba in prima pagina. La dengue, infermità trasmessa da insetti ematofagi, generalmente zanzare che sviluppano una forma di influenza accompagnata da invalidanti dolori alle ossa, e che può causare anche la morte, non è la prima volta che compare nell'isola della revolución e finora è sempre stata domata grazie a un'efficienza comprovata nella protezione civile e un sistema sanitario unico nel continente.
Il pessimismo dei toni sull'«emergenza in atto a Cuba» è così accentuato da suggerire perplessità. Perché solo un paio di settimane fa, è scoppiato negli Stati uniti (non ripreso stranamente dai nostri media) lo scandalo dei dieci giornalisti ingaggiati dal Dipartimento di stato, con cifre consistenti (uno addirittura con una prebenda di 171 mila dollari), per inventare e divulgare notizie false o dannose su Cuba.
L'amministratore del prestigioso Miami Herald, per esempio, per questa vicenda ci ha rimesso la testa. La proprietà, molto sensibile al violento mondo degli esiliati cubani della Florida, lo ha infatti dimesso ma non perché coinvolto in questo spregiudicato mercato, al contrario perché, dopo un'indagine interna durata alcuni mesi, aveva individuato e licenziato due editorialisti e un cronista che avevano accettato di farsi comprare. La proprietà ha invece giudicato i soldi che questi «giornalisti liberi» ricevevano dal Dipartimento di stato come il pagamento delle collaborazioni da loro fatte a Radio e TeleMartì, le stazioni anticubane create dal governo di Washington. E quindi ha assolto il loro comportamento e licenziato il povero amministratore che credeva nell'etica del mestiere.
Una certa cautela quindi nel cavalcare determinate notizie tanto insistite negli ambienti dell'esilio cubano sarebbe certamente auspicabile, perlomeno alla luce di inquietanti precedenti che sollevano parecchi dubbi.
Nel 1997, per tentare di allontanare dall'isola i turisti e atterrare l'industria più fiorente del paese si puntò sugli attentati terroristici organizzati da Luis Posada Carrilles per la fondazione cubano-americana di Miami, in uno dei quali morì l'imprenditore italiano Fabio Di Celmo. Adesso non sarebbe sorprendente se, per ottenere gli stessi risultati, quello stesso mondo perverso avesse puntato su un'insistita campagna di allarme sulla dengue.
Oltretutto i contro rivoluzionari di Miami, massimi destinatari dei 60 milioni di dollari stanziati dal Congresso (unitamente agli 80 del budget personale del Presidente) per favorire un «cambio democratico» a Cuba, devono, in qualche modo, giustificare questi soldi del contribuente nordamericano del quale fanno un uso disinvolto e spesso inquietante.
E poi la storia dell'uso della dengue e di armi biologiche nell'insensata guerra di questi gruppi alla Revolución c'è chi non l'ha dimenticata. Uno di questi è William Blum, ex funzionario del Dipartimento di stato che lasciò per protesta dopo gli eccessi nordamericani nella guerra in Vietnam. Blum, dopo aver fondato il Washington Free Press, è diventato uno degli storici più attenti della politica estera Usa degli ultimi 50 anni.
Nel suo saggio La rivoluzione imperdonabile pubblicato nel libro «Il terrorismo degli Stati uniti contro Cuba», ricorda, per esempio, che nel 1971 la Cia consegnò agli esuli cubani un virus in grado di scatenare la peste suina africana (Psa) e che nel giro di sei settimane nell'isola esplose un focolaio della malattia che costrinse ad abbattere mezzo milione di maiali per impedire il dilagare dell'epidemia in tutto il paese. Blum segnala anche che dieci anni dopo, probabilmente, lo stesso infame metodo per favorire un'epidemia fu messo in atto proprio con la dengue: 300 mila casi, 158 morti, dei quali purtroppo 101 bambini.
Allarma sapere, come sottolinea Blum, che già nel '67 la rivista Science informava che presso i laboratori di Fort Detrick nel Maryland la dengue figurava tra «le infermità oggetto di costanti ricerche nell'ottica, a quanto risulta, di un possibile utilizzo nel quadro di una guerra biologica». Ed è ancora più agghiacciante apprendere che nel 1984, un esule cubano, Eduardo Arocena, dirigente dell'organizzazione terroristica anticastrista «Omega 7» sotto processo a New York abbia dichiarato davanti al giudice, che, negli ultimi mesi dell'80, una nave era salpata dalla Florida alla volta dell'isola con l'incarico di «trasportare batteri da introdurre sul territorio cubano nel quadro di una sorta di guerra chimica per colpire le strutture sovietiche nell'isola». Una trama criminale poi abbandonata perché gli stessi esuli si resero conto che quella strategia non avrebbe nuociuto solo ai sovietici ma anche ai connazionali, quindi a parenti o amici rimasti in patria.
Possibile che questi metodi (compresa la speculazione mediatica di una emergenza sanitaria) siano ancora di moda nell'assurda e incessante guerra degli Stati uniti a Cuba? E che diversi mezzi di comunicazione l'accettino senza sentirsi offesi?

g.mina@giannimina.it