I non allineati a Cuba

cercano un rilancio

 

 

Si apre nell'isola caraibica il XIV vertice dell'organizzazione nata nel '61 a Belgrado. Presenti 116 paesi dal sud del mondo. India e Cina osservano, a caccia di nuovi mercati e aree di influenza

 

 

| 12 settembre 2006 | E.Giordana |

 

 



Cosa resta dello «spirito di Bandung» 50 anni dopo? Devono essere in tanti a chiederselo al XIV vertice del Movimento dei non allineati che si è aperto ieri all'Avana. A mezzo secolo dal primo incontro dei paesi afroasiatici e a 9 lustri dalla sua fondazione come organismo internazionale nel '61 a Belgrado, il bilancio è quello di una scatola vuota. Una parte di bei discorsi, una dose di terzomondismo, uno spriz di attacchi a Stati uniti e Israele, tante buone intenzioni: miscelare tutto e versare in bicchieri ghiacciati il cocktail del nulla. Ma adesso lo scenario è cambiato. Non solo non esiste più la Guerra fredda, ma il mondo è diventato unipolare. E se non è più una «terza via» quella da cercare, questi forum che non hanno il crisma del salotto buono, possono, chissà, quantomeno indicare strade alternative a quella ormai un po' consumata dei G-8 e dei suoi corollari governati da europei e americani.
Per adesso tutta l'attenzione è sul lider maximo. Per sapere se e quando apparirà. Se effettivamente ci sarà al pranzo in agenda venerdì prossimo, se sta bene e si farà fotografare in pubblico. Notiziole un po' da gossip per un vertice che riunisce 116 paesi e una cinquantina di presidenti o capi di governo. Cosa bolle in pentola bisognerà scoprirlo oltre le buone intenzioni espresse nella conferenza stampa dal capo della diplomazia cubana Pérez Roque, che rappresenta il paese ospitante e quello che, per tre anni, avrà la presidenza del Movimento. Cuba infatti porta già a casa una vittoria e Roque per ora ha lasciato da parte i toni forti: dice che i principi del movimento sono più attuali che mai e che il mondo ha bisogno del diritto internazionale, di autodeterminazione e indipendenza, di un commercio giusto e della pace. Come dargli torto? E non attacca, come forse tanti si aspettavano, il diavolo stellestrisce. Dice anzi che l'appuntamento dell'Avana non è contro nessun paese in particolare anche se, precisa, «alzerà la voce» contro le guerre preventive.
Accanto ai paesi ci sono i forum regionali e gli organismi internazionali, sorti come funghi nel campo sempre più aperto, benché controllato soprattutto da un solo paese, dell'arena internazionale. E non solo le attempate Nazioni Unite (per cui comunque si scomoda Kofi Annan), la Lega Araba o l'Unione Africana ma, ad esempio, il giovane e potente Gruppo dei 77, quello, per intendersi, che ha dato battaglia e filo da torcere dentro l'Organizzazione mondiale del commercio, quella dove si entra solo a pagamento. Con biglietto salato e approvazione del FMI. Il piatto forte degli attori «secondari», quelli che stan fuori dal G-8, che devono far la fila al WTO o i cui bilanci pendono dalle decisioni del Fondo, è tutto qui. India e Cina per cominciare. La prima da socio fondatore, la seconda da «osservatore» stabile e molto speciale visto che, da Bandung in poi, gli occhi a mandorla non hanno mai smesso di osservare. Eppoi l'iraniano Ahmadinejad per il quale ogni palco è una buona scena mediatica o il roboante Hugo Chavez che, tanto per metterlo in chiaro, il Fidel ammalato ha già ricevuto tre volte.
Cina e India, i due veri colossi, stanno probabilmente osservando con attenzione gli sviluppi delle varie grandi e piccole arene in cui possono esercitare la loro influenza. Facendo buoni affari. Manmohan Singh intanto, il premier di Nuova Delhi, prima che all'Avana è andato a Brasilia, paese non membro ma di sicuro rilievo. È la prima visita bilaterale di un premier indiano in Brasile in 38 anni dopo che ci andò nientemeno che il Mahatma nel '68. Un disinteresse che adesso non paga più. C'è in ballo un accordo sullo sviluppo delle energie alternative (etanolo) e su quelle tradizionali con Petrobras, mentre l'interscambio commerciale, che viaggiava sui 200 milioni di dollari alla fine degli anni '90, è già volato oltre i tre miliardi e conta di superare i dieci nei prossimi 3-5 anni, dice la stampa indiana.
L'America latina si presenta ancora divisa. L'Argentina è paese membro dal '73 ma, da allora, non ha fatto molto. E il Cile, che pure è della partita, si limita a una delegazione e a qualche distinguo. Sono i venezuelani e i boliviani quelli che, con Cuba, ci credono di più. Se son rose fioriranno. L'Africa c'è ma, come accade quasi sempre, rischia di non vedersi affatto. Forse spera in un effetto trascinamento da parte di due continenti, l'America e l'Asia, che stanno tirando la carretta. Locomotiva su cui puntare? Chissà che non temano, gli africani, di dover fare i conti con un nuovo neo-colonialismo economico che, nel continente nero, sta avanzando invasivamente a colpi di accordi commerciali con il sigillo del Celeste Impero.
La Cina guarda sorniona. Ogni passo che compromette l'assetto unipolare del mondo gioca a suo favore. Come sempre, senza sbilanciarsi troppo, si limita per ora a sorridere. Il tempo gioca dalla sua parte.

*Lettera22