Reportage Cuba oltre la cortina di fumo. Seconda puntata


La messa di Francois

 nell'isola di Fidel

 

 

Francois Houtart è un sacerdote di 82 anni, tra i fondatori del Forum di Porto Alegre. Ci racconta la sua esperienza a Cuba, i rapporti con Castro, il ruolo della religione nella società. Contro molti luoghi comuni Negli ultimi anni sono aumentati i momenti di incontro tra religione e rivoluzione. La Chiesa cattolica ha aumentato la sua presenza. Un libro di Ignacio Ramonet di «Le monde diplomatique»

 

 

 

| 2 settembre 2006 | Gianni Minà |

 

 

 

L'appuntamento alla chiesa di San Agustin è alle sette e mezza. Il vecchio François avrebbe detto messa per festeggiare monsignor Carlos Manuel De Cespades, discendente dal padre della patria cubana e parroco di quella chiesa, che è ritornato dopo una serie di cure in Svizzera per vincere un male subdolo.
François Houtart ottantaduenne sacerdote del clero secolare, per anni docente di sociologia all'università di Lovanio, in Belgio, è stato tra gli ideatori e i fondatori del Forum sociale di Porto Alegre. E' all'Avana invitato con altri intellettuali per la riunione del movimento In difesa dell'umanità che ha avuto, come ho detto in un altro articolo, il suo battesimo a Caracas nel dicembre del 2004 e che a ottobre terrà un'altra sessione a Roma, alla Fao.
Questo religioso, che in gioventù ha insegnato sociologia anche ad Hanoi sotto le bombe dei B52 USA, costringendo la rigida organizzazione ideologica del partito comunista locale a confrontarsi con la dialettica delle scienze sociali, si è sentito offeso per il modo come l'informazione ha trattato a partire dal 31 luglio, l'infermità di Fidel Castro ma più ancora si è indignato per il piano sul futuro di Cuba, deciso disinvoltamente dal Dipartimento di Stato Usa e ribadito nell'occasione da Bush e Condoleeza Rice.


La sovranità di Cuba
Per questo lunedì 5 agosto ha reso pubblico un manifesto intitolato «La sovranità di Cuba deve essere rispettata» che, in pochi giorni, è stato firmato da più di diecimila intellettuali di tutto il mondo fra cui nove premi Nobel. François che ne ha discusso con Raul Suarez pastore protestante, presidente del Consiglio delle chiese ecumeniche di Cuba, ne vuole parlare con Carlos Manuel De Cespades insieme a Frei Betto, presente anch'egli a l'Avana e che era con François quando, dopo la visita di Giovanni Paolo II nel '98, Fidel Castro invitò quattro teologi di fama mondiale per interpretare dal di dentro le sette omelie pronunciate da Papa Wojtyla nell'isola.
L'incontro nella sagrestia di San Agustin è affettuoso. Carlos Manuel che per linea familiare è discendente anche del generale Menocal, detto el majoral, presidente del paese all'inizio del secolo scorso e che definitivamente accettò la tutela del governo di Washington nella vita politica della nazione, ha avuto una gioventù di militanza cattolica avversata dal nuovo regime socialista e perfino l'esperienza di qualche settimana in un campo di lavoro, ma non ha mai confuso fra gli eccessi della Revolucion e l'intollerabile assedio politico economico, a volte terroristico, degli Stati Uniti.
Nel '97, quando era portavoce dell'attuale cardinale dell'Avana, allora arcivescovo, Jaime Ortega y Alamino, commentò con una frase drastica «queste bombe vengono da Miami» l'improvviso proliferare di attentati alle installazioni turistiche dell'isola. Il vescovo della città simbolo della Florida si risentì moltissimo e chiese un intervento al collega de l'Avana che impose al suo portavoce il silenzio fino al termine del viaggio papale del gennaio '98. Ora, dopo la confessione e la condanna di Ernesto Cruz-Leon, autore materiale degli attentati in uno dei quali morì Fabio Di Celmo, sappiamo che mandante di questo terrorismo era la Fondazione cubana americana di Miami con la regia di Luis Posada Carriles, il Bin Laden latinoamericano del quale il governo degli Stati Uniti ancora non ha deciso cosa fare, se estradarlo ad un paese compiacente o sottoporlo finalmente ad un processo.
È un ricordo che più che amareggiare, ancora adesso spaventa.
François Houtart, che ha visitato l'arcivescovo il giorno prima, commenta con un po' di ironia, che l'amico Jaime, «se suavizo» (si è raddolcito) e che finalmente guarda alla rivoluzione senza pregiudizio "coerentemente con lo spirito del vangelo". Non lo sorprende quindi che la chiesa di Roma, sensibilizzata dalla Curia dell'Avana, abbia chiesto proprio in quei giorni di pregare per la salute di Fidel facendo indignare i cattolici reazionari della Florida e dell'America Latina, «tanto vicini al denaro e tanto lontani da Dio». François che, ad appena trentasette anni, nel Concilio Vaticano II, entrò come esperto in una commissione di studio sociale della quale era componente anche l'allora vescovo Karol Wojtyla, confermava la sua franchezza e il prestigio che a Porto Alegre nel 2005 gli fece chiedere in modo esplicito e fuori dagli schemi al presidente Lula le ragioni del ritardo dell'atteso cambiamento sociale che in Brasile dopo due anni dalla sua elezione avanzava ancora a rilento rispetto alle promesse in campagna elettorale.
«Molte cose sono migliorate nel rapporto fra Vaticano e Cuba dopo la visita di Giovanni Paolo II», rileva Carlos Manuel De Cespades e ricorda con affetto che questa evoluzione è cominciata a metà degli anni '80 con l'impegno di Frei Betto, dopo il libro intervista Fidel e la religione per rompere l'incomunicabilità e favorire il dialogo fra la rivoluzione e il clero locale. Dialogo che poi è continuato autonomamente. Per la prima volta la chiesa cubana respinse il blocco economico imposto all'isola dagli Stati Uniti e il governo dell'Avana cancellò l'ateismo dalla propria costituzione per sostituirlo con il concetto di laicismo. Non sorprende quindi che perfino nel 2003 dopo le fucilazioni all'Avana di tre degli undici componenti il gruppo che, armi alla mano, aveva assaltato i turisti del ferryboat della Bahia di Regla tentando di dirottarlo, il cardinale Sodano, segretario di Stato, abbia dichiarato «La chiesa continua ad avere fiducia che il governo de l'Avana sia capace di condurre Cuba ad una computa democrazia.» Una dichiarazione che all'epoca ebbe il merito di imporre una riflessione più profonda sui metodi dell'assedio USA nei confronti di Cuba e sulle conseguenze nefaste che quella politica scorretta poteva avere sul modo di reagire della rivoluzione.


I nuovi seminari
Non sono stati inaugurati nell'isola solo nuovi seminari, luoghi di culto o non sono sorti solo centri di attenzione sociale della chiesa cattolica, come quelli della Comunità di S. Egidio e delle suore Brigidine, sono anche diventati più chiari e frequenti i momenti di incontro fra le varie religioni e la rivoluzione. La chiesa cattolica in particolare ha aumentato la sua presenza nella vita del paese perfino in quel settore sanitario dove Cuba è un esempio per tutto il continente con i suoi trentamila medici presenti in molte delle nazioni socialmente sofferenti nel mondo, da Haiti, all'Angola, al Pakistan. E' su questo terreno che si è sviluppata una intesa fra Vaticano e Cuba che porta Papa Ratzinger a essere, sugli auguri per la salute di Fidel, più generoso di Pietro Ingrao. E ha spinto il collega Cotroneo sul Corriere della Sera a vaneggiare perfino su una presunta "conversione" del leader maximo.


Il libro di Ramonet
L'infermità di Fidel Castro, ha messo inizialmente in crisi i tempi della ristampa del libro Cento ore con Fidel di Ignacio Ramonet, (pubblicato in Spagna col titolo di Fidel Castro: biografia a due voci) e prossimamente in stampa in Francia, Inghilterra, Italia, Germania, Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, Brasile, Colombia, Venezuela e perfino in Giappone e Cina. La prima edizione, subito esaurita a Cuba e in Spagna, dove era uscita a maggio, aveva suggerito però a Fidel alcune aggiunte, ampliamenti, precisazioni, che stava apportando sulle bozze quando è stato costretto all'immediato intervento chirurgico per l'ormai famoso papilloma allo stomaco.
Il libro del prestigioso direttore di Le Monde Diplomatique , frutto di vari incontri nel corso di tre anni, segue due decenni dopo, ancora più estesamente, (633 pagine, oltre a una settantina di note e di indice) la traccia del racconto che Castro mi fece per due documentari diventati storici, nell'87 e nel '90, poi trascritti in due pubblicazioni. Il lavoro fatto con Ramonet è una sorta di autobiografia, un bilancio della propria vita pubblica più che privata, sulla soglia degli ottant'anni, quando si possono rischiare anche rivelazioni inedite, giudizi politici fuori da ogni diplomazia, autocritiche, confidenze.


S.Ignazio di Loiola
Ramonet, come feci io allora, nella sua introduzione pur ricordando le aggressioni costanti che Cuba subisce dall'esterno e addirittura citando S.Ignazio di Loiola «in una fortezza assediata ogni dissidenza è considerata tradimento» non fa sconti alla rivoluzione per i trecento prigionieri di opinione che sono nelle sue carceri e per la pena di morte. Con molta onestà intellettuale, il direttore di Le Monde Diplomatique non tralascia di ricordare però che la pena di morte soppressa nella maggior parte dei paesi evoluti è in vigore, oltre che a Cuba, ancora negli Stati Uniti e in Giappone e sottolinea anche come, nei suoi rapporti critici, Amnesty International non segnala a Cuba casi di tortura fisica, di desaparecidos, di assassini politici e di squadroni della morte, di manifestazioni represse con la violenza dalla forza pubblica, al contrario di stati per esempio dello stesso continente latinoamericano, considerati «democratici» come Guatemala, Honduras, Messico; senza dimenticare la Colombia dove «sono assassinati impunemente sindacalisti, oppositori politici, giornalisti, sacerdoti, sindaci, leader della società civile, senza che questi crimini periodici suscitino eccessiva emozione nel mondo dei media internazionali».
E' un approccio onesto, che non giustifica nessuna illiberalità commessa a Cuba ma che impone una riflessione sulla violazione permanente nel mondo, oltre che dei diritti civili, anche dei diritti economici, sociali e culturali, fenomeni sconosciuti nell'isola. La pronta ripresa fisica di Fidel Castro ha però tolto dalle ambasce gli editori della biografia che il leader maximo alla fine non è riuscito a scrivere ma ha fatto in modo di lasciare alla storia.
Pedro Alvarez Tabio, «l'altra memoria di Fidel», da trent'anni rigoroso custode del patrimonio letterario e storico della rivoluzione cubana, già poco dopo ferragosto riceveva due capitoli al giorno corretti di proprio pugno dal comandante convalescente. Così la seconda edizione rispetterà i tempi di pubblicazione previsti. C'è chi giura addirittura che Fidel si materializzerà in un giorno qualunque dall'11 al 16 settembre al Palacio de las Convenciones durante il summit dei Paesi non allineati che concentrerà all'Avana più di 100 capi di stato delle nazioni del chiamato terzo mondo.

 

(fine - prima parte)