12 gennaio 2007 -  D.F.Mexidor www.granma.cubaweb.cu

 

 

GUANTANAMO

"Ho un figlio in questo orribile posto" dice in un'intervista a Granma la madre di un prigioniero nel centro di detenzione e torture

 

 

"Io vengo per esigere la chiusura della prigione e la libertà dei detenuti che stanno nella base di Guantánamo", dice, con voce emozionata, Zohra Zewawi a Granma. Ha più di una ragione per questa richiesta, perché uno dei suoi figli, Omar Deghayes, si trova da anni confinato "in una prigione che neppure gli animali meritano", nel territorio, che contro la volontà dei cubani, il governo degli Stati Uniti occupa in questa orientale porzione di suolo nazionale.

Non gli rimangono lacrime a furia di piangere. Il suo Omar "è un giovane nobile, intelligente e buono, nato in Libia, ma da piccolino fu allevato in Inghilterra", spiega. Fu sequestrato in Pakistan, alla sua vita misero un prezzo.

Zohra arrivò a Cuba dal lontano Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, con un altro dei suoi figli Taher Deghayes, come parte di una delegazione internazionale di pacifisti e difensori dei diritti umani che richiedono la chiusura di questo centro di detenzione e torture, compiendosi un lustro da quando é stato aperto. "Vi assicuro che mio figlio ha sofferto moltissimo, per questo motivo chiedo ad ogni madre ed ogni padre, in nome dell'amore, che c'aiutino per chiudere immediatamente la prigione di Guantánamo".

Come ci spiega, Omar è religioso, come milioni di musulmani nel mondo, che non è un delitto e che non ha mai incitato alla violenza, perché l'Islam significa pace.

Ha avuto recentemente contatto con suo figlio Omar? Che cosa sa circa le condizioni in cui si trova in Guantánamo?

Solamente ho ricevuto una piccola lettera piccola che era completamente cancellata, come censurata. Io invio le mie lettere alla Croce Rossa da tempo, ma le risposte non mi arrivano.

A lui gli permettono di mandare solo una ogni sei mesi, appena leggibile, molte volte vi è perfino un ritardo di quattro mesi per le sue missive.

Quando mio figlio scrive non può dire niente circa la sua situazione nella prigione, gli permettono esclusivamente frasi di saluto, nient'altro.

Noi siamo riusciti a sapere qualcosa di Omar—che ha già compiuto i suoi 38 anni—attraverso il suo avvocato chi ci ha raccontato che ha fatto lo sciopero della fame per 40 giorni per protestare per le condizioni di incarceramento che soffre che gli hanno danneggiato un occhio; non gli permettono nessun tipo di movimento, neppure può pettinarsi, neppure può cambiarsi il vestito che è completamente rotto e con buchi.

Come tortura l'hanno collocato anche in una stanza a basse temperature per varie ore fino a finché non può resistere e deve gridare per il tanto freddo.

Ha famiglia Omar?

Sì. Quando l'arrestarono il suo piccolo bambino aveva solo tre mesi.

" Io chiedo giustizia — sottolinea —. Questi detenuti hanno padre, madre, famiglia di che cosa li accusano?, non sono colpevoli di nulla. Perché non li liberano? È la richiesta di una madre che ha un figlio in questo orribile luogo e che non è colpevole".