Le lettere a Saddam Hussein

 

Frammento del Capitolo 25 del libro Cento ore con Fidel

 

 

5 gennaio 2007 - www.granma.cubaweb.cu

 

 

Secondo Lei, la guerra in Iraq era inevitabile?

Nel febbraio del 2003, alcune settimane prima della guerra, mi trovavo in Malesia al Vertice dei Non Allineati e lì, a Kuala Lumpur, conversai a lungo con i membri della delegazione irachena, e con l'allora vicepresidente Taha Yassin Ramadán. Dissi loro:"Se veramente avete delle armi chimiche, distruggetele, per facilitare il lavoro degli ispettori dell'ONU." Era per loro l'unica possibilità d’evitare l'attacco. E credo che lo fecero, se realmente le hanno avute. Anche se non le avessero possedute, l'attacco era già deciso.

 

Cosa pensa di Saddam Hussein?

Nel 1991, dopo l'invasione del Kuwait, si rinchiuse in una logica che conduceva ad una seria crisi. Noi votammo la risoluzione dell'ONU che condannava quell'invasione. Gli inviai due lettere con emissari personali, raccomandando di negoziare e di ritirarsi in tempo dal Kuwait.

Nella prima missiva, datata 2 agosto 1990, gli scrissi:

"Mi rivolgo a Lei con gran dolore per le notizie ricevute oggi riguardanti l'entrata di truppe del suo paese nello Stato del Kuwait.

Indipendentemente dai motivi che condussero a una tanto drammatica decisione, non posso esimermi dall’esprimerle la nostra preoccupazione per le gravi conseguenze che possono arrecare, in primo luogo, all'Iraq ed al Kuwait ed a tutti i paesi del Terzo Mondo. Cuba, nonostante i legami d’amicizia che la uniscono all'Iraq, non può esimersi dall’opporsi ad una soluzione militare del conflitto sorto tra Iraq e Kuwait.

L’immediata reazione dell'opinione pubblica internazionale, informata dalle multinazionali della stampa, crea una situazione molto pericolosa e di vulnerabilità per l'Iraq.

Considero molto probabile che gli Stati Uniti ed altri alleati colgano l'occasione per intervenire militarmente nel conflitto e colpire con forza l'Iraq. Washington, inoltre, cercherà di consolidare nel Golfo la propria auto-designata figura di gendarme internazionale.

In questa situazione, il fattore tempo è decisivo, e mi appello a Lei, affinché, utilizzando i buoni uffici della Lega Araba o del Movimento dei Paese Non Allineati, a cui ci rivolgiamo, esprima la sua disposizione a ritirare le truppe irachene dal Kuwait ed a cercare immediatamente una soluzione politica e negoziata della controversia. Tali passi contribuirebbero a rafforzare la posizione internazionale dei paesi del Terzo Mondo nei confronti del ruolo di gendarme degli Stati Uniti, rinvigorendo nel contempo la posizione dell'Iraq di fronte all'opinione pubblica internazionale.

In questo momento, l’essenziale è evitare l'intervento imperialista, col pretesto di difendere la pace e la sovranità di un piccolo paese dell'area. Tale precedente sarebbe funesto tanto per l'Iraq quanto per il resto del Terzo Mondo.

Una posizione chiara dell'Iraq e le sue decise ed immediate iniziative a beneficio della soluzione politica, ci aiuteranno a prevenire ed a vanificare i piani aggressivi ed interventisti degli Stati Uniti.

Cuba è disposta a dare il suo contributo in qualsiasi attività volta a raggiungere quel tipo di soluzione.

Sono sicuro che i punti di vista che le trasmetto, esprimono in questo momento l'opinione di decine di paesi nel mondo che hanno sempre guardato al suo paese con rispetto e con stima."

Si concludeva così quella nostra esortazione ad una soluzione giusta e ragionevole.

Poco dopo, il 4 settembre dello stesso anno, in risposta ad un messaggio inviato dall'Iraq, confermai la posizione di principio espressa precedentemente e richiamai ad una soluzione politica di quella difficile congiuntura, che poteva diventare ancora più complessa, cupa e con gravi conseguenze per il mondo intero.

Insistemmo nuovamente. Uno dei paragrafi della seconda lettera diceva:

Mi sono deciso a scriverle questo messaggio, che le chiedo di leggere ed analizzare, sebbene, per il suo contenuto, mi vedo costretto a condividere con Lei le mie riflessioni su realtà sicuramente amare, però con la speranza che possano essere d’utilità in questo momento in cui deve prendere delle decisioni drammatiche.

Più avanti segnalavo:

È mia opinione che la guerra scoppierà inesorabilmente, se l'Iraq non è disposto a raggiungere una soluzione politica negoziata, basata sul ritiro dal Kuwait. La guerra può comportare per la regione un’enorme distruzione, in special modo per l'Iraq, indipendentemente dal valore con cui il popolo iracheno sia disposto a lottare.

Gli Stati Uniti sono riusciti a formare una grande alleanza militare che comprende, oltre alla NATO, forze arabe e musulmane, e nel terreno politico hanno creato nella stragrande maggioranza dell'opinione internazionale un'immagine enormemente negativa dell'Iraq, dovuta alla successione dei fatti menzionati, ognuno dei quali ha prodotto una forte reazione e l’ostilità nelle Nazioni Unite ed in gran parte del mondo. Ossia, si sono prodotte le condizioni ideali per i piani egemonici ed aggressivi degli Stati Uniti. Al contrario, l'Iraq non potrebbe iniziare una lotta in condizioni militari e politiche peggiori. In queste circostanze, la guerra dividerebbe gli arabi per molti anni; Stati Uniti ed Occidente manterrebbero una presenza militare indefinita nella regione e le conseguenze sarebbero disastrose non solo per la nazione araba, ma per tutto il Terzo Mondo.

L'Iraq si espone ad una lotta impari, senza una giustificazione politica solida e senza l'appoggio dell'opinione mondiale, con eccezione, naturalmente, delle simpatie mostrate in molti paesi arabi.

Così si riassumeva la nostra percezione del tema e non smettemmo di chiedere con forza a Saddam di cambiare la propria posizione:

Non deve permettere che tutto ciò che il popolo iracheno ha costruito in molti anni, così come le sue grandi possibilità future, siano distrutte dalle armi sofisticate dell'imperialismo. Se esistessero ragioni giustificate ed irrefutabili, sarei l'ultimo a chiederle di evitare quel sacrificio.

Acconsentire alla richiesta dell'immensa maggioranza dei paesi membri delle Nazioni Unite che sollecitano la ritirata dal Kuwait, non deve essere considerato in nessun caso un disonore, né un'umiliazione per l'Iraq.

Indipendentemente dalle ragioni storiche considerate dall'Iraq nei confronti del Kuwait, è sicuro che la comunità internazionale, in modo quasi unanime, si oppone alle procedure utilizzate. E di quell'ampio consenso internazionale s’avvale il proposito imperialista di distruggere l'Iraq e di impadronirsi delle risorse energetiche di tutta la regione.

Nessuno di quegli sforzi dette però risultato.

 

Ha conosciuto Saddam Hussein personalmente?

Sì, nel settembre del 1973. Mi trovavo ad Algeri, ad un Vertice dei Non Allineati, e stavo recandomi ad Hanoi invitato dal governo vietnamita. Il Vietnam non era ancora completamente liberato. Saddam Hussein venne a ricevermi all'aeroporto di Baghdad. In quel periodo era vicepresidente, non era ancora presidente dell'Iraq; era a capo del partito Baat. Mi sembrò un uomo corretto, fu gentile, visitammo la città, molto bella, con ampi viali, i ponti sul Tigri e l’Eufrate. Vi rimasi solamente un giorno. A Baghdad, vengo a conoscenza del golpe militare in Cile contro Allende...

 

Da un punto di vista militare, come giudica il sistema di difesa utilizzato dalle forze irachene durante quella guerra?

Abbiamo seguito con molta attenzione quella guerra da marzo a maggio 2003. Perché l'Iraq non resistette? Mistero. Perché non fece saltare i ponti per ritardare l'avanzata delle forze nordamericane? Perché non fecero saltare i depositi d’approvvigionamento, gli aeroporti, prima che cadessero nelle mani degli invasori? Tutto ciò è un gran mistero. Ci furono senza dubbio dei comandanti che tradirono lo stesso Saddam.

 

Alla vigilia della guerra, tutti i paesi chiusero le loro ambasciate in Iraq, tranne voi. Fino a quando siete rimasti a Baghdad?

La nostra Ambasciata fu l'ultima che rimase a Baghdad. Bene, insieme a quella del Vaticano. Perfino i russi se ne andarono. Solamente dopo l'entrata delle forze nordamericane nella capitale irachena demmo l’ordine di uscire da Baghdad. Non potevamo chiedere alle cinque persone che si trovavano nella nostra Ambasciata di difendere l’immobile contro due eserciti. I nostri diplomatici ottennero dei salvacondotti e poterono uscire dall'Iraq senza alcun problema. I documenti furono consegnati da un'organizzazione internazionale, non dai nordamericani.

 

Come vede l'evoluzione della situazione in Iraq?

A mio giudizio, la resistenza popolare continuerà ad aumentare finché non cesserà l'occupazione dell'Iraq. Sarà un inferno e continuerà ad esserlo. Perciò, il primo obiettivo deve essere l’immediato passaggio del reale controllo alle Nazioni Unite, l’inizio del processo di recupero della sovranità dell'Iraq e l’insediamento di un governo legittimo, frutto della decisione del popolo iracheno. Però una decisione autentica, legittima, e non nate da elezioni realizzate nel pieno di un’occupazione militare neocolonialista. Deve inoltre cessare immediatamente la scandalosa ripartizione delle ricchezze irachene.

 

 

Dichiarazione MINREX sull'esecuzione di Saddam Hussein