| 2 gennaio 2007 | Fr.Pi. www.ilmanifesto.it |

 

 

 

 

 

 

L'energia val bene un Chavez

 

 


Più dell'onor poté il digiuno. A dispetto della temperatura incandescente delle polemiche reciproche, Stati uniti e Venezuela stanno consolidando i propri rapporti commerciali. Nessuno dei due può fare a meno dell'altro, anche se è chiaro che la posizione di forza è paradossalmente appannaggio del paese sudamericano.
Appena 4 anno fa il volume degli scambia tra i due paesi valeva 20 miliardi di dollari; ora ha superato i 47. Il merito principale,naturalmente, va all'impennata dei prezzi petroliferi, che hanno gonfiato oltre ogni misura passata la «bolletta energetica» di tutti i paesi del mondo. Degli Stati uniti più che degli altri, comunque, visto che la patria di Bush consuma da sola il 25% della produzione mondiale, Mentre ne produce ormai soltanto il 7%.
E di petrolio è fatto il 90% delle esportazioni venezuelane verso gli States, anche se non mancano derrate alimentari e prodotti tessili. In questi 4 anni la crescita media del Pil di Caracas è stata del 9%, provocando un aumento dei redditi interni che ha gonfiato anche la domanda di automobili, scarpe e beni elettronici come non si era mai vista prima. E almeno un terzo delle importazioni provengono dagli Stati uniti.
Lo stesso viceministro degli esteri, Jorge Valero, ammette che «alla fine della fiera, gli Usa sono il nostro principale partner commerciale». E non ci si può rinunciare tanto facilmente.
Crescono le relazioni di Chavez con il sudest asiatico, a partire logicamente dal colosso cinese, particolarmente affamato di prodotti energetici per alimentare la sua crescita inarrestabile. Ma per quanto alta sia la domanda proveniente da Pechino e dai paesi dell'area, resta ancora ben al di sotto di quanto assorba il mercato statunitense.
Almeno per i prossimi dieci anni - salvo catastrofici cambiamenti degli assetti attuali - la situazione non dovrebbe mutare di molto: Venezuela e Stati uniti sono insomma condannati a tenersi ben stretti i propri contratti. Ma è chiaro che in una prospettiva temporale abbastanza lunga, sono gli Usa ad avere un disperato bisogno di accesso privilegiato (a qualsiasi prezzo) alle risorse petrolifere di Caracas. Mentre il «venditore» potrà cercare clienti differenti: vuoi per diminuire ulteriormente la dipendenza del paese dalla «sfera di influenza» di Washington, vuoi per massimizzare le entrate. Magari inaugurando a usa volta un mercato del greggio prezzato in euro, come sta per fare ora l'Iran.