Plácido, il cigno

del Yumurí

Storia di un crimine del 1844

 

1 giugno 2009 -  I.L.Marrero www.granma.cu (giron)

 

Plácido non era un elemento chiave nel campo delle ostilità, per sostentare o derogare la schiavitù, e nemmeno un precursore di ideali politici, o un profeta delle libertà, anche se nel suo intimo ardeva un misterioso fuoco alimentato dalle ingiustizie sociali.

 

Circostanze inevitabili del decadente regime sociale regnante, lo trasformarono nel filo conduttore coerente e nella figura trascendentale di una tra le più scabrose trame ordite dagli interessi schiavisti cubani e spagnoli di Cuba, quasi al fine della prima metà del XIX secolo. 

 

Fu intrappolato rapidamente nell’apocrifa manipolazione antischiavista nota poi come la “Cospirazione della scala”, il cui obiettivo supremo provato quasi immediatamente era prolungare la sottomissione coloniale, consolidare la classe dominante con le sue ricchezze e gli affari derivati dallo zucchero, con la tratta negriera. 

 

La sola evocazione di questo poeta obbliga allo studio di quel massacro, a circa 164 anni dal sanguinoso avvenimento.

 

Anche se i fatti avvennero nel territorio di Matanzas, dalla fine del 1843 e per  tutto il 1844, la repressione ebbe tocchi di tragedia proprio nel giugno del 1844, quando un gruppo di presunti infedeli, tra i quali il giovane poeta mulatto di 35 anni, Gabriel de la Concepción Valdés, residente nella città di Matanzas dal 1826, fu fucilato da un plotone d’esecuzione, dopo un odioso  e manipolato processo.

 

Mai, né allora né dopo, qualcuno  portò prove concrete di contatti, dentro o fuori dall’Isola, di nessuno degli elementi che si dicevano “implicati in una cospirazione di negri per ammazzare i bianchi”, come si mormorava.

 

Non esisteva nessuna organizzazione per cospirare e non c’erano leader;  non esistevano ramificazioni o ripercussioni in altre province o città.

 

Tutti i fucilati erano residenti nella stessa città e nei condomini dove si scatenò il massacro.

 

L’ingiustizia avvenne pubblicamente, di fronte alla folla muta, in un tratto dello sbocco delle fognature nel lato ovest della Baia di Matanzas, dove oggi c’è la popolare Calle Paseo de Martì, (prima di Santa Cristina), oggi porta d’uscita e d’entrata nord per, o dalla capitale del paese, con la moderna Via Blanca.

 

Il massacro non avvenne nel Cimitero di San Carlos come erroneamente si scrisse alcuni anni fa: in quell’epoca non c’era quel cimitero anche se in alcuni luoghi della zona detta El Naranjal, varie ricche famiglie avevano già comprato dei terreni dove si edificarono monumenti funerari che esistono ancora.

 

Il Cimitero fu creato nel 1872, periodo in cui comunque i resti di un Placido  screditato, fucilato e satanizzato, non sarebbero mai stati accolti.

 

Resta nascosta nella storica la causa giudiziaria la vile incriminazione che per 165 anni ha mantenuto l’intellettuale, nato a L’Avana il 18 marzo del 1809  (sono passati 200 anni) sotto il sospetto di tradimento, anche se non si sa e non è mai  stato confermato a chi, o che causa fossero stati traditi, creando  l’odiosa immagine di un individuo licenzioso, immerso nell’indigenza e nel disordine, che vendeva i testi delle sue poesie...

 

“Con ogni gran poeta se ne va dalla Terra qualcosa del nostro cuore”,  ha scritto Martì, e questa sua percezione universale è sufficientemente profonda per non dimenticare mai Placido, il cigno del Yumurí