José Martí nel

presidio politico

 

22 ottobre 2009 - Jorge Juan Lozano Roz* www.granma.cu (RHC)

 

Un giro intorno al Sole, aveva realizzato la Terra dall’istante nel quale, nella proprietà La Demajagua, si dichiararono liberi la patria cubana e gli schiavi neri. Era l’ottobre del 1869 e la repressione paramilitare del Corpo dei Volontari aumentava a L’Avana.

 

Nella notte del 4 i gendarmi arrestarono i fratelli Eusebio, Fermín e Valdés Domíniguez nella loro casa. Una lettera incontrata in quell’abitazione condusse a José Martí, che fu catturato il 21 nella sua casa di San Rafael tra Amistad e Industria.

 

Nella spianata di La Punta, si erigeva un imponente edificio di due piani che ospitava il Carcere Nazionale ed il Presidio Dipartimentale. In un consiglio di guerra ordinario, celebrato in quel luogo il 4 marzo del 1870, i giovani furono condannati per infedeltà: Martí ad una pena di 6 anni di lavori forzati in una cava, Fermín a sei mesi di arresto aggravato, e suo fratello Eusebio, alla deportazione in Spagna.

 

Esattamente un mese dopo, il 4 aprile, tagliarono i capelli a Martí e gli adornarono la testa con un cappello nero, lo vestirono con la rozza uniforme del presidio, gli misero la catena al piede destro, e gli cinsero la vita con un’altra catena. Ma le sue ali non poterono essere piegate. Così, lo convertirono nel prigioniero numero 113 della Prima Brigata dei Bianchi, visto che anche nella prigione la divisione razzista continuava.

 

Dell’edificio, oggi si conservano solo la cappella, e quattro celle sotterranee nel centro del Parco situato tra Carcél e San Lázaro. Nel 1941, si decise di installare lì una fontana di marmo, la cui scultura, opera di Rita Longa, evoca la madre Patria in un abbraccio con i suoi figli.

 

 

La scuola del martirio

 

 

Ogni giorno, all’alba e al tramonto, un rumore sordo e continuato, bruciava la tranquillità della Calle Ancha del Norte a L’Avana. Il trascinamento delle catene si confondeva con il rumore delle palle al piede e con i versi di lamento dei prigionieri, stanchi, addolorati o malati, nel loro transitare per la strada già conosciuta come San Lázaro, perché terminava di fronte all’ospedale dei lebbrosi. Lo stesso nome, spettava anche alle Cave del Presidio, collocate tra il Cimitero Spada e la Batteria di Santa Clara.

 

Lì, la vergogna quotidiana del lavoro forzato veniva utilizzata per spingere la pietra necessaria alla pavimentazione urbana e la produzione della calce. I prigionieri politici lavoravano tutti raggruppati in La Criolla, prima sezione della cava.

 

La memoria del nostro Apostolo avrebbe poi ricordato: “Dolore infinito… Il più rude, il più devastante dei dolori, quello che ammazza l’intelligenza e asciuga l’anima e lascia impronte che non si cancellano più…Dante non passò per il Presidio….Orribile, terribile, straziante nulla! La fraternità della disgrazia è la fraternità più rapida”. L’afflitto successivo gli si presentava nel bambino Lino Figueredo, nel vecchio Nicolás del Castello, nel nero pazzo Juan de Dios Socarrás.

 

Per cinque lunghi mesi, tra l’aprile e l’agosto del 1870, José Martí permase quotidianamente dodici ore sotto il sole, realizzando i lavori più duri, insieme ai suoi compagni di prigione. Dalla scuola nella quale studiava letteratura, l’eccellente studente, era passato alla scuola del martirio.

 

 

* Storico, professore e assessore dell’Ufficio del Programma Martiano