Nessun "colpo di Stato"

 

 

 9 marzo 2009 - M. Casagrandi www.aprileonline.info

 

I retroscena del recente mega-rimpasto di governo nell'isola caraibica. Richiamano l'attenzione i cambiamenti nei dicasteri economici, in particolare quello di Josè Luis Rodriguez, Ministro dell'Economia, un uomo che conosce molto bene lo stato delle finanze cubane, e certamente fra i principali assertori delle misure "liberali" prese a metà degli anni '90

Non bisogna credere che i cambiamenti nel governo cubano che hanno tanto richiamato l'attenzione dei media internazionali, siano espressione di un giro verso una politica diversa nei confronti degli Stati Uniti. Nessuno dei sostituiti era contrario ad un avvicinamento, anzi, la politica estera cubana è stata costantemente, nel tempo, aperta ad un diverso rapporto con gli Stati Uniti.


Colui che sarebbe stato il maggior "ostacolo" ad un eventuale approccio, Felipe Perez Roque, il ministro degli Esteri, era sempre stato un fedele esecutore, pur con una personalità propria, della politica tracciata da Fidel Castro di aprire agli Stati Uniti senza mai accettare, però, le pretese americane che Cuba andasse previamente a Canossa, pentendosi della sua Rivoluzione e della sua società socialista.


In realtà nell'ambito della dirigenza cubana chi si è sempre occupato degli Stati Uniti è stato fino ad oggi - e non è detto che non lo sia in futuro - Ricardo Alarcòn de Quesada, attualmente presidente del Parlamento, dopo essere stato a lungo Ambasciatore a New York presso le Nazioni Unite e Ministro degli Esteri fino all' avvento di del predecessore di Felipe Perez, Robaina.


Tutte le conversazioni ed i contatti governativi bilaterali sostenuti tra i due paesi negli ultimi 20 anni sono stati capeggiati, per la parte cubana, da Ricardo Alarcòn. Che non è stato toccato nel recente rimpasto, e che rimane il dirigente cubano che meglio conosce gli Stati Uniti. C'è da dire, comunque, che solo l'Assemblea Nazionale può destituirlo formalmente dal punto di vista istituzionale. Se poi d'ora in avanti la politica verso gli Stati Uniti sarà soltanto condotta dal Ministero degli Esteri e quindi dal nuovo ministro Bruno Rodriguez, sarà da vedere.

 

Un'altra tesi è che il rimpasto risponde all'esigenza di Raul Castro di avere uomini di sua fiducia nei posti chiave, prima suppostamente occupati dagli uomini del fratello. Fidel Castro ha smentito subito, e personalmente, questa versione. Nella sua Riflessione di oggi 4 di marzo, pubblicata al solito dal Granma, l'organo ufficiale del PCC e trasmessa da radio e televisioni, ha scritto che la maggioranza dei ministri rimpiazzati non li aveva proposti lui. Poi dopo un freddo "non ho mai sottostimato l'intelligenza umana, nè la vanità degli uomini", e dopo aver ribadito che su tutti i nuovi nomi era stato chiesto il suo parere, ha emesso il giudizio definitivo e tranciante sui due principali sostituiti, il Ministro degli Esteri Felipe Perez ed il Segretario del Consiglio di Stato ed in pratica primo ministro per 20 anni, Carlos Lage, con un "il miele del potere che hanno raggiunto senza conoscere sacrifici, ha risvegliato in loro ambizioni che li hanno condotti ad un comportamento indegno". Fine della questione e chiuso l'argomento sul supposto "colpo di Sato" paventato dalla stampa internazionale.

 

Richiamano comunque l'attenzione i cambiamenti nei dicasteri economici, in particolare quello di Josè Luis Rodriguez, Ministro dell'Economia, un uomo che conosce molto bene lo stato delle finanze cubane, e certamente fra i principali assertori delle misure "liberali" prese a metà degli anni 90 per salvare l'economia cubana dal disastro della scomparsa del campo socialista europeo. Mentre la fusione di certi ministeri economici con altri - per esempio quello del Ministero del Commercio Estero con quello della Collaborazione Estera - risponde ad un criterio di razionalizzazione dell'apparato statale, la rimozione di Josè Luis Rodriguez può avere anche una valenza politica per quanto riguarda il giudizio sulla bontà di un determinato approccio alle grandi sfide economiche cui deve far fronte il governo cubano: la produttività in tutti i settori (agricolo, servizi ed industria, il grande debito estero, e quindi la dipendenza dall'estero per i principali consumi della popolazione).


Il potere di Raul Castro è saldo e non ci sono problemi di instabilità; è rispettato dalla popolazione che accoglie questi cambiamenti con tranquillità considerandoli adeguati al vero cambio epocale che sembra avvicinarsi a grandi passi: il nuovo rapporto con gli Stati Uniti, questione fondamentale per il paese e per la vita di ogni singolo cubano.

 

Stati Uniti che, nel frattempo, stanno muovendosi come ci si aspettava: la Camera dei Rappresentanti, ha appena approvato un disegno di legge che rimuove le restrizioni imposte da Bush nel 2004 ai viaggi a Cuba e che permette di utilizzare nel paese caraibico il credito per le esportazioni statunitensi. Inserito in un più ampio contesto legislativo, sarà discusso in Senato venerdì 6 marzo, e, secondo le previsioni, dovrebbe passare illeso. Sarebbe l'inizio di un grande cammino che rivoluzionerà i rapporti fra i due paesi, e la premessa necessaria per un nuovo rapporto degli Stati Uniti con tutta l'America del Sud che chiede a viva voce la soppressione dell'embargo americano, vecchio (ed inefficace) ormai da 50 anni.