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LIBERTÀ PER I CINQUE EROI

 

Una visita a Gerardo

in prigione

 

 

20 agosto 2010 - Danny Glover e Saul Landaú* www.granma.cu

 

 

Dall’aeroporto di Ontario, California, a 100 km a est dal centro di Los Angeles, siamo andati in auto verso il nord per l’autostrada 15, in cammino verso Las Vegas.

 

Le auto ed i grandi camion carichi scendono e salgono per le montagne, dove Los Angeles si incontra con i Boschi Nazionali di San Bernardino.

 

Ad est c’è il grande deserto, a 1200 metri sul livello del mare. Tra i ginepri e gli alberi di Joshua abbandoniamo l’autostrada costruita dall’uomo e ci dirigiamo verso un centro commerciale costruito da un burlone, dove passiamo a prendere Chavela, la sorella maggiore di Gerardo.

 

Passiamo per fast-food, parrucchieri, negozi di tatoos, distributori di benzina e minicentri commerciali (una passeggiata per la cultura statunitense), diretti ad ovest, e poi a nord per la 395, fino al Complesso Penitenziario Federale, una prigione di massima sicurezza di 192000 metri quadrati, costruita sei anni fa (costata 101,4 milioni di dollari) e destinata a rinchiudere 960 detenuti.

 

Nel vestibolo dei visitanti, di un grigio istituzionale, una guardia ci consegna un formulario numerato, indica con la testa un libro e guarda verso un mucchietto di biro. Scriviamo, gli restituiamo il formulario e ci sediamo nella stanza grigia con gli altri visitanti, tutti afroamericani o latini.

 

Aspettiamo 20 minuti. Una guardia chiama il nostro numero. Svuotiamo le tasche, eccetto il denaro. Passiamo per una sensibile macchina di detenzione tipo dell’aeroporto, raccogliamo le nostre cinture e gli occhiali controllati a raggi x e estendiamo gli avambracci per farci segnare. Due donne afro-americane ed una coppia latina di età avanzata ricevono lo stesso trattamento.

 

Intercambiamo sorrisi nervosi; visitanti in terre straniera.

 

Lui mette le nostre identificazioni all’interno di un contenitore che comunica anche con l’altra stanza sigillato all’altro lato da una finestra di plastica grossa. Lì una guardia controlla i documenti e spinge bottoni che aprono una porta pesante di metallo. Il gruppo passa a un corridoio esterno. Il sole di mezza mattinata e il caldo del deserto colpiscono i nostri corpi appena usciti dalle stanze con l’aria condizionata. Aspettiamo. Una guardia parla attraverso un piccolo spazio dell’edificio nel quale si trovano i reclusi, su ogni lato torri con armi da fuoco; una massa di fil di ferro copre la parte superiore dei muri. Aspettiamo, passiamo al salone per le visite.

 

Una guardia ci assegna una piccola tavola di plastica circondata da tre sedie economiche di plastica ad un lato (per noi), e dall’altro una per Gerardo.

 

I bambini afro-americani e latini si scambiano i posti tra le braccia dei loro padri, mentre padri in uniformi ocra della prigione conversano con le mogli.

 

Chavela lo vede da lontano 20 minuti dopo, mentre lui, sorridente, avanza a passo svelto attraverso la stanza. Quasi piangendo Chavela dice “Sei dimagrito”. Sembra avere lo stesso peso di quando (Saul Landau) lo ha visto in primavera. Gerardo abbraccia e bacia sua sorella, abbraccia Saul e poi Danny. Lo ringrazia per tutto quello che ha fatto per cercare di tirarlo fuori dal buco, nel quale è stato per 13 giorni alla fine di luglio e a principi di agosto.

 

Gerardo ci fa sapere che due agenti dell’FBI, che investigano su un incidente non relazionato a questo caso, lo avevano interrogato in prigione. Immediatamente dopo, le autorità della penitenziaria avevano sbattuto Gerardo nel buco, pur senza prove che potessero implicarlo nel presunto incidente non vincolato. La temperatura nel buco quasi arrivava ai 40 gradi. “Dovevo bagnarmi la testa con l’acqua che mi davano da bere”, ci ha detto Gerardo. “Non mi ha aiutato molto con il problema della pressione alta. Non potevo neppure prendere le medicine. Ma credo che mi abbiano rilasciato grazie alle migliaia di chiamate telefoniche e lettere di persone da tutto il mondo”.

 

Chavela continua ad accumulare cibo sul tavolo, l’unico disponibile nelle macchinette automatiche. Mangiamo compulsivamente mentre Gerardo ci racconta la sua vita in una sauna per quasi due settimane. “Non c’era aria”, ride come per dire “Non era così grave”.

 

Parliamo di Cuba, è aggiornato sulle notizie per mezzo della lettura, la TV e dei visitanti che lo informano. Si sente felice per le misure prese dal Presidente Raúl Castro per affrontare la crisi. In televisione aveva visto parte del discorso di Fidel e le domande e le risposte nella riunione dell’Assemblea Nazionale.

 

“Ho visto Adriana (sua moglie)” presente tra il pubblico. Il suo sorriso sfuma. “È doloroso, lei ha 40 anni e io 45. Non ci resta molto tempo per formare una famiglia. Gli stati Uniti neppure le concedono un visto per venire a trovarmi. Si è comportata con molto coraggio e dignità durante questa terribile esperienza”.

 

Gerardo Hernández, uno dei Cinque di Cuba, compie l’ingiusta e crudele condanna di due catene perpetue più 15 anni per cospirazione per spionaggio e complicità in omicidio. I pubblici ministeri non hanno presentato nessuna prova di spionaggio nel giudizio a Miami, e l’accusa di complicità supponeva una prova, non dimostrata. I cinque uomini monitoravano e informavano dell’attività di terroristi cubani in esilio a Miami, che avevano pianificato di sabotare e assassinare a Cuba.

 

Cuba condivise le informazioni con l’FBI. Larry Wilkerson (colonnello in pensione dell’esercito ed ex capo del personale dell’ex Segretario di Stato Colin Powell) comparò la possibilità che ai Cinque fosse dato un giusto processo a Miami con le “probabilità che a un israeliano accusato venga garantita giustizia a Teherán”.

 

Beviamo the gelato in bottiglia, troppo dolce. Chavela porta altre patatine fritte. Gerardo rianima l’ambiente raccontando un incidente di quando, negli anni 80, era tenente a Cabina, Angola, e aveva fatto da scorta ad alti ufficiali cubani in una cena con importanti sovietici in visita:

 

“Dissi al mio colonnello che avevo memorizzato un corto poema di Maiakovski in russo (dei suoi giorni da studente) e che avrei potuto recitarlo per gli ufficiali sovietici”. Recitò il poema in russo. Tutti applaudirono. Lui sorride. “Stavano cucinando carne di maiale e stavano bevendo, una festa”. “Recitai il poema. Il colonnello sovietico mi abbracciò, mi baciò sulle guance emozionato. Dovetti ripeterlo un’altra volta. Alla fine il colonnello mi disse che lo avevo tirato fuori da una brutta situazione e me ne andai”.

 

Due ore passano velocemente. Aspettiamo che le guardie ci facciano uscire. Gerardo sta in piedi in attenti contro un muro, assieme ad altri prigionieri, vicino ad una porta che fa muro con le celle. Lo salutiamo con il pugno in alto. Lui risponde allo stesso modo. Sua sorella gli manda un bacio. Lui sorride ampiamente in modo tranquillizzante come per ricordarci: “Mantenetevi fermi”.

 

Danny Glover è un attivista e un attore. Saul Landau è membro dell’Istituto per Studi di Politica