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La guerra si avvicina ogni

giorno di più al Venezuela

L’attacco permanente degli Stati Uniti

 

05.04.10 - Eva Golinger su www.aporrea.org (www.lernesto.it)

 

L’impero non smetterà di cercare meccanismi e tecniche per ottenere il suo obiettivo finale, e non potremo scartare la possibilità in un futuro prossimo di un conflitto bellico in questa regione… Se quest’anno il Venezuela fosse inserito nella famosa lista degli “Stati terroristi”, ci troveremmo alla vigilia di un conflitto militare.

L’America Latina continua, da più di duecento anni, ad essere sottoposta ad un’aggressione costante diretta da Washington. Tutte le tattiche e le strategie della guerra sporca sono state applicate ai diversi paesi della regione: colpi di Stato, assassini, uccisioni di presidenti, sparizioni, torture, dittature brutali, atrocità, persecuzione politica, sabotaggi economici, guerra mediatica, sovversione, infiltrazione di paramilitari, terrorismo diplomatico, intervento elettorale, blocchi e persino invasioni militari. Non ha mai importato chi governi alla Casa Bianca – democratici o repubblicani -. Le politiche imperiali sono state sempre conservate.

Nel secolo XXI, il Venezuela è stato uno dei principali bersagli di queste permanenti aggressioni. Dal golpe di aprile 2002 fino ad oggi, abbiamo assistito ad una pericolosa scalata di attacchi e attentati contro la Rivoluzione Bolivariana. Sebbene molti siano stati sedotti dal sorriso e dalle parole poetiche di Barack Obama, basta guardare cosa è accaduto negli ultimi tempi per verificare come l’aggressione al Venezuela si sia intensificata. L’espansione militarista degli USA attraverso la Colombia, la riattivazione della Quarta Flotta dell’Armata e la sua presenza nei Carabi, a Panama e nel Centro-America, si devono interpretare come la preparazione ad uno scenario di confronto bellico nella regione.
 


Scalata delle aggressioni
 


Le dichiarazioni ostili delle ultime settimane rilasciate dai portavoce di Washington, che accusano il Venezuela di essere un paese narcotrafficante, violatore dei diritti umani, che “non contribuisce alla democrazia e alla stabilità regionale”, oltre alle accuse della Direzione Nazionale dell’Intelligence USA che qualificano il presidente Chávez come “leader anti-statunitense nella regione”, fanno parte di una campagna coordinata che cerca di giustificare un’aggressione diretta al Venezuela. Le prossime dichiarazioni riguarderanno i legami con il terrorismo. Se quest’anno il Venezuela fosse inserito nella famosa lista degli “Stati terroristi”, ci troveremmo alla vigilia di un conflitto militare.

Tutto sta ad indicare che si persegua questo fine. Come ben stava scritto nel documento della Forza Aerea USA del maggio 2009 sulla necessità di aumentare la sua presenza nella base militare di Palanquero, in Colombia, Washington si sta preparando ed attrezzando per una guerra “spedita” in Sud America.

Secondo il documento della Forza Aerea, che è stato spedito al Congresso degli Stati Uniti nel maggio 2009 (ma che in seguito è stato modificato nel novembre 2009 per cancellare le espressioni che rivelavano le vere intenzioni che stavano dietro l’accordo militare tra Washington e la Colombia), “lo sviluppo [della base di Palanquero] approfondirà la relazione strategica tra USA e Colombia ed è nell’interesse delle due nazioni… [La] presenza accrescerà anche la nostra capacità di condurre operazioni di
Intelligence, Spionaggio e Riconoscimento (ISR), migliorerà la loro resa globale, supporterà i requisiti logistici, migliorerà le relazioni con gli alleati, migliorerà la cooperazione dei teatri di sicurezza e aumenterà le nostre capacità di realizzare una guerra in forma “spedita”.
 


Guerra annunciata
 


Il primo rapporto ufficiale sulle priorità in materia di sicurezza e difesa presentato durante la nuova amministrazione di Obama è stato quello delle “minacce globali” secondo la Direzione Nazionale di Intelligence. Il Venezuela era stato menzionato nel rapporto in anni precedenti, ma non con tanta attenzione ed enfasi come quest’anno. Questa volta, il Venezuela - e particolarmente il presidente Chávez – è stato indicato come una delle principali minacce contro gli interessi statunitensi nel mondo. “il presidente del Venezuela Hugo Chávez si è distinto come uno dei detrattori principali degli USA a livello internazionale, denunciando il modello democratico liberale e il capitalismo di mercato, e respingendo le politiche e gli interessi degli USA nella regione”, diceva il rapporto, collocando il Venezuela nella stessa categoria di Iran, Corea del Nord e Al Qaeda.

Giorni dopo, il Dipartimento di Stato ha presentato il suo bilancio per il 2011 di fronte al Congresso. In aggiunta all’incremento del contributo sollecitato attraverso l’USAID e la NED, per finanziare gruppi politici dell’opposizione in Venezuela – più di 15 milioni di dollari – sono stati richiesti 48 milioni di dollari per l’
Organizzazione degli Stati Americani (OSA) per “la dislocazione di squadre speciali che “promuovano la democrazia” in paesi dove la democrazia è minacciata a causa della presenza crescente di concetti alternativi come la “democrazia partecipativa” promossi da Venezuela e Bolivia”.

E una settimana dopo la
Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) dell’OSA – finanziata da Washington – ha pubblicato un rapporto di 322 pagine che accusa il Venezuela di violare i diritti umani e la libertà di espressione, e di scalzare la democrazia regionale. Sebbene si tratti di un rapporto – e una Commissione – dedicato al tema dei diritti umani ci si è forse ricordati di menzionare gli immensi successi che il governo del Presidente Chávez ha ottenuto in materia? Ci si è limitati ad analizzare aspetti relazionati ai diritti civili e politici – gli unici diritti riconosciuti negli Stati Uniti -, ignorando i diritti economici, culturali e sociali che realmente compongono l’essenza di ciò che rappresentano i diritti umani. I casi evidenziati sono stati ricavati da testimonianze e mezzi di comunicazione dell’opposizione venezuelana, a dimostrazione della parzialità del rapporto del CIDH.

Ma nonostante le loro distorsioni e la loro mancanza di verifiche evidenti, questi rapporti vengono impugnati per giustificare le azioni aggressive di Washington nei confronti del Venezuela agli occhi dell’opinione pubblica internazionale.
 


La macchinazione internazionale
 


Come ha detto il Presidente Chávez, reagendo al bombardamento informativo e alle accuse contro il suo governo, “esiste una macchinazione internazionale contro il Venezuela in questo momento, un’aggressione permanente diretta dall’impero statunitense”. Ma non c’è niente di nuovo. Dal 2005, questi rapporti e dichiarazioni sono andati crescendo in intensità e carattere violento.

Cinque anni fa per la prima volta Washington definì il Venezuela come un paese che non collabora nella lotta contro il narcotraffico nel suo rapporto annuale sul controllo dei narcotici nel mondo. Alcuni mesi prima dell’uscita di questo rapporto nel 2005, il Venezuela aveva sospeso la cooperazione con l’agenzia anti-droga degli Stati Uniti, la DEA, perché aveva scoperto le sue azioni di spionaggio e sabotaggio contro gli sforzi del comando anti-droga del Venezuela. Da allora, il Venezuela ha migliorato in modo significativo i sequestri di droga, le detenzioni di capi narcotrafficanti e la distruzione di laboratori di droghe ubicati alla frontiera con la Colombia – il paese maggiore produttore di droghe del mondo - .

Ciononostante, il rapporto sulla materia del Dipartimento di Stato di quest’anno, pubblicato il primo marzo, classifica il Venezuela come “paese narcotrafficante” e paese “complice” del narcotraffico – accusa completamente senza fondamento né evidenze reali.

Allo stesso tempo, un magistrato spagnolo ha accusato il governo venezuelano di appoggiare e collaborare con le
Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) e con l’ETA – due organizzazioni considerate terroriste da USA e Spagna – creando una polemica internazionale attraverso i mezzi di comunicazione e provocando tensione tra i governi di Spagna e Venezuela. Il Presidente Chávez ha ripetuto numerose volte che il suo governo non ha nessun legame né con le FARC né con l’ETA, né con alcun gruppo terrorista. “Questo è un governo di pace”, ha dichiarato Chávez, spiegando in seguito che la presenza di alcuni membri dell’ETA in Venezuela è dovuta a un accordo realizzato quasi 20 anni fa dal governo di Carlos Andrés Perez per favorire un trattato di pace tra il governo spagnolo e il gruppo irregolare.
 


La politica imperiale non ha colore
 


Nel suo giro in America Latina, la Segretaria di Stato Hillary Clinton ha lanciato dardi contro il Venezuela in diverse dichiarazioni ai mezzi di comunicazione. Ha manifestato la sua “grave preoccupazione” per la democrazia in Venezuela, accusando il governo del Presidente Chávez di non contribuire “in modo costruttivo” allo sviluppo regionale. Cinicamente, Clinton ha consigliato al Venezuela di guardare “più a sud” invece di relazionarsi tanto con Cuba.

Il giro della Clinton è dovuto a una strategia già annunciata dall’amministrazione di Obama che si propone di creare divisioni tra la sinistra “progressista” e quella “radicale” in America Latina. Non è certo una coincidenza che il suo viaggio nella regione – il più lungo dall’inizio del governo di Obama – si sia realizzata appena dopo il Vertice dell’Unità di Cancun, dove si è trovato un accordo sulla creazione di una Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi senza la presenza di Stati Uniti e Canada.

L’ex Segretaria di Stato del governo di George W. Bush, Condoleeza Rice, dichiarò nel gennaio 2005 che “Hugo Chávez rappresenta una forza negativa nella regione”, dando inizio a una politica di ostilità e aggressione nei confronti del Venezuela. Clinton continua le stesse politiche della sua predecessora, cercando di isolare e screditare il governo venezuelano e la figura di Hugo Chávez. La sua intenzione è di avviare il piano di “cambiamento di regime” nel paese con le maggiori riserve di petrolio del mondo.
 


La guerra che si avvicina
 


Non è da un giorno all’altro che si prepara un conflitto bellico. E’ un processo che implica innanzitutto il condizionamento dell’opinione pubblica internazionale – demonizzando un leader o un governo avversario per giustificare l’aggressione - . In seguito, si procede ad attrezzare e a dislocare le forze militari nella regione per assicurare l’efficacia e la possibilità di riuscita di un’azione militare. Allo stesso tempo, tattiche come la sovversione e la contro-insorgenza vengono impiegate per indebolire e destabilizzare il paese bersaglio dall’interno, collocandolo così in una posizione di maggiore vulnerabilità e rendendolo meno preparato a difendersi.

Tutto questo si sta compiendo contro il Venezuela ormai da diversi anni. Il consolidamento dell’unità e dell’integrazione regionale minaccia ogni giorno di più il recupero del controllo imperiale sull’emisfero. E i progressi interni della Rivoluzione Bolivariana impediscono l’ “autodistruzione” che le forze imperiali, operando all’interno del territorio venezuelano, cercano di provocare. E’ certo comunque che l’impero non smetterà di cercare meccanismi e tecniche per ottenere il suo obiettivo finale, e non potremo scartare la possibilità in un futuro prossimo di un conflitto bellico in questa regione.

evagolinger@hotmail.com

 

 

Washington punta i suoi cannoni contro il Venezuela

 

30.03.10 - di Hedelberto López Blanchsu www.rebelion.org www.lernesto.it

 


Le campagne degli Stati Uniti contro il governo venezuelano, con il sostegno di tutti gli strumenti di comunicazione dominati dai grandi gruppi del potere capitalista mondiale, si sono intensificate oltre misura negli ultimi mesi.

Non passa un solo giorno che da Washington o da qualche capitale alleata degli Stati Uniti vengano diffuse informazioni diffamatorie, preparate dai centri dell’intelligence nordamericana, con l’obiettivo di mantenere un’immagine sfavorevole del governo bolivariano del presidente Hugo Chávez e creare le basi per un futuro golpe contro questa nazione sudamericana.

Il Venezuela si è trasformato nel bersaglio della politica statunitense, allo scopo di piegare la resistenza che si è manifestata in tutta l’America Latina contro le politiche egemoniche e imperiali che le diverse amministrazioni nordamericane attuano nella regione da oltre un secolo.

Chávez con la sua politica nazionalista e antimperialista a vantaggio del popolo, è riuscito insieme a Cuba (che per 50 anni ha offerto un insuperabile esempio di resistenza, indipendenza e aiuto solidale disinteressato) a sollevare i popoli della regione che stanno conducendo la battaglia per l’autentica indipendenza sognata da Bolívar, O¨Higgins, San Martín, Martí e altri grandi figure.

L’odio della Casa Bianca aumenta per il fatto che il Venezuela possiede una delle più grandi riserve petrolifere del mondo, che ha recuperato tale fonte di ricchezza che prima veniva estratta dalle multinazionali e indirizzata principalmente verso gli Stati Uniti, destinandola ora a numerosi programmi sociali che hanno drasticamente ridotto la povertà nel paese e offrendo alla popolazione educazione, sanità e altri servizi gratuiti.

Gli Stati Uniti rappresentano il principale consumatore di petrolio del mondo con una media giornaliera di 12 milioni di tonnellate e, per mantenere la loro attuale debilitata economia e l’egemonia mondiale, hanno bisogno irrimediabilmente di questo combustibile. Per ottenerlo non hanno esitato ad invadere l’Iraq e l’Afghanistan ed ora a puntare i loro cannoni contro il Venezuela.

Contro Caracas si sono utilizzate le azioni più svariate, dal dare impulso all’opposizione di destra interna, dal fallito colpo di Stato e dal tentativo di portare al collasso la produzione petrolifera, fino alle accuse di presunte violazioni dei diritti umani, di mancanza di democrazia, ecc.

Nei suoi piani, la Casa Bianca accusa il Venezuela di essere un paese “terrorista”, di partecipare al “narcotraffico”, di appoggiare i guerriglieri colombiani e di tutto quanto possa contribuire a ledere il prestigio internazionale del governo bolivariano.

L’obiettivo fondamentale è il rovesciamento del governo di Hugo Chávez. Gli analisti politici affermano che per realizzare tale obiettivo, la Casa Bianca ha messo in campo tre progetti.

In primo luogo ha ipotizzato l’uccisione del presidente, che non è stata possibile per il forte sostegno sociale e politico che conserva Hugo Chávez, nonostante le feroci campagne scatenate dai mezzi di stampa occidentali con il beneplacito di Washington.

La seconda ipotesi prevede una soluzione simile a quella dell’Honduras, che presuppone il fatto che il presidente perda la maggioranza alle prossime elezioni parlamentari. Così verrebbe adottato il metodo utilizzato contro Manuel Zelaya. Tale azione non conterebbe sui militari venezuelani che appoggiano Chavez, ma alla lunga potrebbe indebolire il governo.

La terza formula, che Washington sta mettendo in pratica con la creazione di basi militari vicino al Venezuela, prevede l’utilizzo di uno degli alleati nella zona allo scopo di dare avvio a un conflitto limitato che conduca ad una guerra e permetta alle truppe nordamericane di entrare in azione contro Caracas.

Dopo aver destabilizzato il Venezuela, gli Stati Uniti si lancerebbero con tutte le loro forze contro Bolivia, Ecuador e Nicaragua nel tentativo di isolare Cuba, che ha resistito a tutti gli attacchi imperiali per più di mezzo secolo.

Ma come dice l’adagio, una cosa è suonare la chitarra, un’altra il violino. I tempi dell’America Latina non sono gli stessi degli anni 70 e neppure 80, quando gli Stati Uniti organizzarono e fomentarono dittature militari o attuarono misure neoliberali che garantivano il controllo economico e politico nella regione.

In America Latina e nei Caraibi, i colpi sofferti hanno svegliato i popoli e i dirigenti e oggi un’onda di sovranità e indipendenza si estende come una valanga che sarà difficile contenere. Il Venezuela, il suo popolo e i suoi militari non solo resisteranno agli attacchi, come ha affermato il presidente Hugo Chávez Frías, ma può contare anche sulla solidarietà delle nazioni dell’America Latina.