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19° Seminario Comunista Internazionale:

 

Le conseguenze della crisi economica

e l'intervento dei partiti comunisti

 
 
 
Contributo del Partito Comunista di Cuba
 
L'attuale crisi globale e il suo impatto sull'Unione Europea e sul mondo. Una visione da Cuba.
 

17 maggio 2010 - www.resistenze.org

Bruxelles, 14-16 maggio 2010 - www.icsbrussels.org - ics@icsbrussels.org

 

A partire dalla cosiddetta crisi dei mutui subprime degli Stati Uniti, si è diffuso nel mondo il "fantasma" della crisi, dovuto principalmente alla forte interrelazione tra le economie nel mercato internazionale. Il carattere totalmente liberalizzato del settore finanziario mondiale e l'elevato potere delle variabili speculative hanno cominciato a provocare il crollo delle borse, il fallimento di molte grandi banche e compagnie di assicurazione, con ripercussioni inevitabili e conseguenti sull'economia reale, seminando un sentimento di panico in tutto il mondo alimentato dalla minaccia di una depressione economica diffusa che hanno ulteriormente accelerato il processo di recessione economica mondiale.

 

Tuttavia, l'attuale crisi mondiale non è iniziata con la debacle dei mutui in USA, anche se in linea di principio questo è stato il fattore scatenante del crack del settore finanziario, questo a sua volta è la crisi strutturale profonda del capitalismo. Infatti, le crisi finanziarie ed economiche che ne sono seguite, sono inserite in un sistema di crisi che racchiude, fin dall'inizio, altre strutture e settori di azione umana e relativi ambiti:

- Crisi energetica

- Crisi alimentare

- Crisi finanziaria

- Crisi economica

- Crisi ambientale

- Crisi idrica

- Crisi demografica

- Crisi della cultura politica occidentale

 

Questo ci porta ad affermare che stiamo assistendo non solo ad una semplice crisi finanziaria prodotta da semplici ed ingenui errori umani derivanti dalla inefficacia del controllo e della regolamentazione del sistema finanziario internazionale, ma da una gran Crisi Sistemica del Capitalismo, la più grande e più profonda nella storia del sistema stesso.

 

E’ necessario ricordare la natura ciclica delle crisi insita nel capitalismo come sistema di produzione per sua natura essenzialmente contraddittorio, come descritto dalla teoria marxista.

 

Queste contraddizioni si aggravano periodicamente, le cui crisi sono soluzioni temporanee; ciò nonostante è necessario distinguere le differenze logiche che caratterizzano ciascuna di loro in relazione al momento dello sviluppo o all’evoluzione del sistema.

 

Lo scoppio della crisi finanziaria come innesco per questa grande crisi è strettamente legata al crescente processo di transnazionalizzazione delle economie, prodotto dalla logica di base del sistema capitalistico: il raggiungimento di livelli crescenti di profitto. I capitali si muovono in maniera sempre più libera senza rispondere a governi, frontiere o Stati, ma per la loro propria logica di doversi moltiplicare continuamente su scala sempre maggiore. Per questo, l'applicazione di alcuni principi e strumenti delle teorie neoliberiste ne sono alla base e al consolidamento, generando in taluni casi, bolle speculative, caratteristica essenziale dell'attuale fase del capitalismo.

  

In breve, il sistema capitalista è essenzialmente un ordine politico, sociale ed economico che si basa sulla ricerca del massimo profitto per tutto il capitale che genera reddito. Ottenere quindi un maggiore beneficio per gli investimenti per accumulare guadagni su guadagni. Con questo fine, il grande capitale ha trovato nel settore finanziario il nido ideale per ottenere vantaggi con minori investimenti che nell'economia reale.

 

Per questo motivo, il settore finanziario è stato il settore con la crescita più rapida nell'economia globale. Nei primi anni ottanta, il totale delle attività finanziarie (azioni, obbligazioni, prestiti, ipoteche) è stato pari a circa il prodotto interno lordo globale (PIL), cioè pari a tutte le ricchezze del pianeta. Alla fine del 2005 è stato pari a 3,7 volte il PIL mondiale, ovvero quasi quattro volte la ricchezza globale, il che significa che non ci sono abbastanza aerei, pomodori, scarpe, grano e latte nel mondo, che possano realizzare il valore di tutte le attività finanziarie. Pochi uomini d’affari hanno nelle loro mani l'attuale ricchezza del pianeta e quella che si produrrà nei prossimi quattro anni.

 

Nello stesso periodo, il valore nominale dei derivati finanziari ha rappresentato tre volte il valore del totale delle attività finanziarie e 10 volte il PIL mondiale. Quello che vediamo chiaramente è che negli ultimi anni i proprietari del capitale non solo hanno accumulato ricchezze sempre maggiori, ma hanno anche ricercato maggiori profitti attraverso la speculazione finanziaria e meno dalla produzione reale.

 

Quando nel mondo esiste fame e altri bisogni primari, ossia in termini economici una domanda reale di prodotti alimentari, abbigliamento e calzature, medicinali, abitazioni, e molti altri beni di prima necessità che potrebbe essere risolta con investimenti nella sfera produttiva, semplicemente questo non avviene, perché investire nella produzione di alimenti per l'umanità è meno redditizio che investire nelle Borse.

 

L'attuale crisi globale è la più complessa nella storia del capitalismo e non soddisfa il modello classico di rapido e forte recupero dopo la fine della fase di crisi. La ripresa sarà lenta e piena di battute d'arresto per quanto riguarda i problemi strutturali, come i debiti che stanno colpendo duramente il Vecchio Continente. Il problema è che il capitalismo si basa sull'indebitamento, e se no, cosa sono le carte di credito se non un'invenzione per stimolare ulteriormente il consumo.

 

L'Unione europea è profondamente preoccupata per i debiti della Grecia, ma nessuno si ferma a pensare che gli Stati Uniti sono il paese più indebitato al mondo. Nessuno dei principali paesi europei ha soddisfatto oggi gli obbiettivi di convergenza. Le misure di salvataggio prese da parte dell'Unione europea (la questione dei pacchetti milionari di salvataggio per le istituzioni finanziarie) non hanno fatto altro che aumentare ulteriormente i livelli di debito dei governi, mentre dall'altra parte, la disoccupazione continuerà ad aumentare e la soluzione sembra essere l'aumento della precarizzazione del lavoro e delle tasse.

 

Le cifre, che tanto piacciono agli statisti, parlano da sole. Nel gennaio 2010, il tasso di disoccupazione in Spagna ha raggiunto il 19,1%, superata solo dalla Lettonia con il 21,7%. Oltre a questi due paesi, altri otto hanno mantenuto, secondo i dati Eurostat , riferiti a febbraio e pubblicati ad aprile, i tassi di disoccupazione superiori al 10%: Francia (10,1%), Grecia (10,2%) Portogallo (10,3%), Ungheria (11,0%), Irlanda (13,2%), Slovacchia (14,2%), Estonia (15,5%) e Lituania (15,8%).

 

Inoltre, nel 2009, sia il deficit di bilancio sia il debito pubblico in percentuale sul PIL, nella zona euro e la EU27, sono aumentati notevolmente, mentre cadeva PIL. Nella zona euro, il disavanzo è aumentato dal 2,0% al 6,3%, nel 2008 e nell'Unione europea dal 2,3% al 6,8%. Per quanto riguarda i debiti dei governi dell’insieme dei paesi dell’eurozona sono aumentati raggiungendo dal 69,4% nel 2008 al 78,7%. Mentre per l'UE nel suo insieme è aumentato dal 61,6% al 73,6%.

  

Nel 2009, il disavanzo più alto di bilancio (% sul PIL) è stato registrato dall’ Irlanda (-14,3%), Grecia (-13,6%), Regno Unito (-11,5%), Spagna (-11,2%), Portogallo (-9,4% ), Lettonia (-9,0%), Lituania (-8,9%), Romania (-8,3%), Francia (-7,5%) e Polonia (-7,1%). Nessuno degli Stati membri ha registrato un segno positivo di bilancio nel 2009.

   

Inoltre, alla fine dello scorso anno, dodici Stati membri hanno i debiti pubblici superiori al 60% del proprio PIL: Italia (115,8%), Grecia (115,1%), Belgio (96,7%), Ungheria (78,3%), Francia (77,6% ), Portogallo (76,8%), Germania (73,2%), Malta (69,1%), Regno Unito (68,1%), Austria (66,5%), Irlanda (64,0%) e Paesi Bassi (60,9%).

 

Tuttavia, il Fondo monetario internazionale, la Commissione europea e la Banca centrale europea chiamano "aiuto" il prestito che sarà dato alla Grecia con interessi tali da renderne quasi impossibile l'estinzione, vista la situazione critica dell'economia ellenica. L'UE aspira all'integrazione, ma ora, in tempi di crisi, è sempre più difficile che gli stati si aiutino a vicenda.

 

La cosiddetta ripresa verso la quale tutti i paesi dell'UE si dicono impegnati è mero tecnicismo sulla base di lievi aumenti del PIL. Con questi dati, ai quali indubbiamente corrispondono alcuni segnali positivi in uno scenario piuttosto sfavorevole, i media fanno la loro campagna mediatica generando aspettative positive per contrastare la profonda crisi di fiducia vissuta dai cittadini europei.

 

Anche se il messaggio mediatico dominante sostiene che la ripresa è iniziata negli Stati Uniti e nei paesi sviluppati dell'Europa e dell'Asia, la crisi è ben lungi dall'essere superata, i sintomi di ripresa sono altalenanti e sono mescolati con una pericolosa recrudescenza della speculazione finanziaria che utilizza questi pacchetti di salvataggio elargiti dai governi; infine c'è anche la possibilità di un altro forte calo o stagnazione, con tassi di crescita intorno allo zero, che sarà una malattia cronica per diversi anni.

 

La verità è che questi segnali positivi sono passati inosservati dai disoccupati, dai pensionati e da ogni cittadino che si alza ogni giorno con la paura di perdere il posto di lavoro, accettando così di lavorare in condizioni sempre più precarie ed ingiuste in termini di salario, orario di lavoro, durata del contratto e condizioni di lavoro. Di fatto, la brillante soluzione dei capitalisti consiste nell'aumento dei posti di lavoro part-time in base al principio che, lavorando per meno tempo, più persone possono lavorare, ma l'errore è chiaro: quanti impieghi deve avere un cittadino per ottenere un salario decente che gli consenta di mantenere la sua famiglia?

 

Quella che per il capitalismo è solo una breve crisi finanziaria, ha portato il mondo a sopportare i costi più elevati in termini di umanità:

- Un numero compreso tra 250 e 300 milioni sono più poveri rispetto al dicembre 2008;

- Non meno di 50 milioni di disoccupati in più rispetto ad allora;

- Un aumento di 167 milioni di affamati per raggiungere la cifra di 1.020 milioni di persone rispetto ai 853 milioni registrati un anno fa;

- Soltanto in America Latina la crisi economica ha cancellato in un solo anno la riduzione del numero degli affamati ottenuta negli ultimi 15 anni;

- Una drammatica statistica che unisce la crisi economica, il sottosviluppo e la criminale indifferenza degli opulenti, prevede la crescita della mortalità infantile tra il 2009 e il 2015 - dovuta agli effetti già registrati nella crisi globale - tra i 200 mila e i 400 mila bambini sotto i 5 anni di età, soprattutto in Africa. Ciò significa che moriranno in questo lasso di tempo, tra 1,4 milioni e 2,8 milioni di bambini assassinati dalla crisi del capitalismo, mentre si destinano non meno di 12 mila miliardi di dollari per salvare le banche e fornire svariati milioni di dollari a speculatori falliti.

  

Pertanto, non ci rimane altro che concludere che questi sono i costi che il capitalismo è disposto pagare per garantire la propria sopravvivenza.

 

L'economia cubana è stata anch’essa colpita da questa debacle economica. Nel 2009 hanno recitato un ruolo fondamentale tre aspetti:

 

1. Tra gli altri fattori, la crisi economica globale ha fatto crollare il prezzo del nickel, ha ridotto le entrate del turismo, ha ridotto l’accesso ai finanziamenti esteri, ha aumentato i prezzi degli alimenti;

2. Il persistere del blocco economico, sotto la cosmetica apparenza di un alleggerimento, è rimasto vigente con il suo meccanismo elaborato di divieti, creando difficoltà alla nostra economia;

3. I problemi causati nel 2008 dai tre uragani che ci hanno colpito e per i quali ancora si sostengono spese.

 

In queste circostanze eccezionali, la piccola crescita del 1,4% del PIL, lontano dal 6% pianificato, è da valutare nel contesto di quanto è successo all'economia mondiale ed in particolare in America Latina e nei Caraibi.

 

In termini economici l'anno 2009 è stato teso e difficile per il nostro Paese, tuttavia abbiamo registrato un lieve ma importante progresso: permane la stabilità del paese, le conquiste sociali sono state mantenute, l'ALBA, di cui Cuba è membro fondatore, si è rafforzata, si sono rafforzati gli ottimi rapporti con la Cina, la cui economia ha mostrato la propria forza per affrontare la crisi mondiale, e un numero crescente di paesi si è reso disponibile a stabilire o ampliare rapporti economici, politici e relazioni culturali con Cuba.

 

E' sorprendente il doloroso impatto sociale che la crisi mondiale ha scaricato sul mondo, ma non è meno impressionante il fatto che la Rivoluzione cubana, combattendo in condizioni di gravi difficoltà finanziarie, abbia protetto il nostro popolo e ha impedito che Cuba fosse teatro dei disastri sociali che si sono verificati nei paesi sviluppati e in via di sviluppo. Nel momento in cui l'economia cubana ha affrontato la difficile sfida di operare nel bel mezzo di un duro rigore finanziario, le priorità sono state: proteggere la popolazione, assicurare la stabilità del paese, preparare le condizioni per riprendere la crescita economica in circostanze più propizie, e farlo adottando decisioni di valore permanente, sia per affrontare la crisi economica, sia per progettare lo sviluppo economico-sociale a medio termine.

 

Solo in America Latina il numero dei poveri ha raggiunto i 9 milioni e i 5 milioni di indigenti, mentre i disoccupati sono cresciuti di 2,5 milioni raggiungendo la cifra di 18,4 milioni. A Cuba, nel 2009 gli occupati nell'economia sono aumentati del 2,5% rispetto al 2008, principalmente per l'attività pianificata. Il tasso di disoccupazione è solo del 1,7%. Inoltre, il salario medio mensile è cresciuto del 2,9%, da 415 pesos nel 2.008 ai 427 pesos di quest'anno.

 

Altri risultati positivi del 2009, ottenuti lottando duramente, sono stati l'aumento del 4,3% nella produzione del latte che, partendo dallo stimolo alla produzione, ha consentito un risparmio delle importazioni di 2.300 tonnellate di latte in polvere; la diminuzione del 4% del consumo di carburanti e le misure intraprese per il risparmio di energia elettrica nel settore statale, ha evitato di spendere 70 milioni dollari; il miglioramento delle esportazioni e l'alta produttività della biotecnologia e l'industria farmaceutica, la maggiore densità telefonica e la digitalizzazione del paese, il proseguimento del programma idraulico, il soddisfacente inizio dei corsi presso tutti i livelli di istruzione, la crescente diffusione della cultura in tutto il paese e la celebrazione di importanti eventi culturali.

 

Altrettanto importante, anche in considerazione dell'assalto della crisi globale e il copioso elenco delle disgrazie sociali verificatesi l’anno scorso in tutto il mondo, sono il tasso di mortalità infantile che è stato del 4,7 per ogni mille nati vivi e la speranza di vita di 78 anni. Inoltre, lo Stato, non ha risparmiato alcuno sforzo o spesa per la lotta contro l'influenza A H1N1 e il dengue.

 

Nel 2010, nel quale abbiamo intenzione di realizzare una crescita del 1,9% del PIL, leggermente superiore a quella dell'anno in corso, lo scenario dell'economia mondiale è dominato dall'incertezza sul possibile corso della crisi globale. A titolo esemplificativo, nel pianificare il bilancio 2010 dello Stato, il quale ha dovuto subire alcuni significativi tagli a causa delle devastazioni dovute alla crisi globale e al suo impatto sull'economia cubana, il nostro governo comunista destinerà 1.980 milioni di pesos per favorire, anche in condizioni estremamente difficili, la necessaria vendita alla popolazione dei prodotti che fanno parte del paniere familiare a prezzi inferiori al costo di produzione e vendita.

 

Tutto questo non è nient’altro che la via che il governo di Cuba ha adottato per far fronte agli effetti della crisi in un contesto pieno di avversità politiche ed economiche e nel quale permane il bloqueo voluto dagli Stati Uniti e che è costato all'economia cubana più di 90.000 milioni di dollari.

 

Il blocco è una piovra con tentacoli extraterritoriali, che viola il diritto internazionale, in particolare la Convenzione di Ginevra, e che si qualifica come genocidio. Qualsiasi prodotto che contiene qualche componente cubana non può entrare negli Stati Uniti, e, a sua volta, ogni prodotto contenente un componente degli Stati Uniti, non può entrare nel territorio cubano. Inoltre, tali limitazioni sono estese ai paesi terzi. Imprese, banche e cittadini che mantengono rapporti economici, commerciali o finanziari con Cuba sono perseguitati. Inoltre il blocco applica restrizioni agli scambi culturali, accademici e umani tra i due paesi. Allo stesso modo, sono state imposte restrizioni per il flusso delle informazioni: il governo degli Stati Uniti blocca siti Internet relazionati a Cuba. Tuttavia, il governo usamericano finanzia ogni anno i programmi di emittenti radiotelevisive pirata per innondare il nostro popolo di assurde calunnie contro la Rivoluzione cubana.

 

È impressionante come in modo aperto e chiaro la relazione del Segretario Generale dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1996 indichi come l'obiettivo del blocco sia di "conseguire il collasso totale dell'economia del paese, che porterebbe la popolazione a fermare il processo rivoluzionario". Anche la relazione all'Assemblea generale nel 2002, afferma che il blocco, sulla base della "decisione di portare la fame, le malattie e disperazione tra il popolo cubano come strumento per raggiungere l'obiettivo di dominazione politica, non solo è stato mantenuto, ma si è intensificato".

 

In contrapposizione, l'ultima condanna del blocco da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha raggiunto un livello senza precedenti: 187 nazioni hanno votato per la sua eliminazione immediata e incondizionata. Il Gruppo di Rio, il Movimento dei Paesi Non Allineati, diversi vertici dell'ALBA e altri forum multilaterali, respingono con fermezza la guerra economica contro Cuba.

 

Ciò nonostante, l'attuale amministrazione statunitense ignora le richieste della comunità internazionale e dei settori più importanti del suo paese, sempre più favorevoli ad un cambiamento nella politica americana verso Cuba. A caro prezzo il governo cubano è riuscito ad aprire piccole brecce nel blocco, quali l'acquisto di prodotti alimentari negli Stati Uniti.

 

Tuttavia, le società venditrici si trovano di fronte ad una burocrazia enorme, soprattutto perché il mercato deve passare attraverso la mediazione di un paese terzo, in quanto il blocco vieta rapporti diretti tra gli Stati Uniti e Cuba. L'acquirente è tenuto a pagare in anticipo e non può vendere i propri prodotti agli statunitensi, quindi le navi ritornano vuote ai loro porti di origine.

 

D'altra parte, e non per ultimo, dobbiamo ricordare le devastazioni dei recenti uragani Gustav e Ike che hanno causato pesanti perdite per il paese. Ampie zone agricole sono state danneggiate, 444 mila case colpite, di cui, 67 mila completamente distrutte. In totale, i fenomeni ciclonici sono costati a Cuba circa 18 mila 771 milioni di dollari dal 2001 ad oggi. Di questi, più della metà si sono accumulati solo nel 2008 (più di 9 miliardi di dollari), equivalenti al 20% del nostro PIL.

 

Neppure in quell'anno, l'amministrazione Bush ha risposto alla nostra richiesta che le imprese statunitensi potessero venderci eccezionalmente materiali per le costruzioni, tegole per i tetti distrutti e la disponibilità a prestiti privati.

 

Immerso in tutte le limitazioni che ci vengono imposte dal blocco e colpiti da devastanti fenomeni naturali, il nostro paese continua a condurre missioni umanitarie in tutto il mondo. Le brigate mediche cubane hanno raggiunto le più intricate zone del mondo, incluse le aree e le comunità sprovviste di servizi sanitari.

 

In totale, dal trionfo della Rivoluzione, Cuba ha mantenuto la cooperazione medica con 42 paesi africani, 38 del continente americano e con 28 paesi appartenenti all'Europa, Asia e Oceania; tutto ciò rende ancora più meritevoli gli sforzi che il nostro paese continua a realizzare per affrontare gli impatti dell'attuale crisi globale.