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GIRÓN 50


Due secoli di cospirazione (I)

 

26.10.10 - G.Molina www.granma.cu 

 

L’ostile cospirazione del governo di Washington verso la Rivoluzione Cubana non cominciò nel 1959.

 

Batista sempre riceveva ordini dagli ambasciatori nordamericani.
Batista sempre riceveva ordini dagli ambasciatori USA

Le ragioni e le radici risalgono al 1805, quando il presidente Thomas Jefferson avvertì il ministro inglese a Washington che "in caso di guerra contro la Spagna, gli Stati Uniti avrebbero occupato Cuba per necessità strategica".

 

Nel  1823 John Quincy Adams, segretario di Stato del presidente Monroe, scriveva: "È praticamente impossibile resistere alla convinzione che l’annessione di Cuba alla nostra Repubblica federale sarà indispensabile." (1)

 

E così si disegnò la strategia di aspettare il momento propizio per cogliere la "frutta matura", che fu per il presidente McKinley il 20 maggio del 1902.

 

Nel  dicembre del 1958, la condanna del presidente Eisenhower della lotta  guerrigliera era pubblica. Il noto generale non fu estraneo si tentativi del Dipartimento di Stato e della CIA per evitare che Fidel Castro, leader della lotta armata contro la tirannia del generale Fulgencio Batista, completasse la sua vittoriosa campagna ed intraprendesse un programma rivoluzionario dopo aver conquistato il potere politico.

 

Di fronte all’impetuosa avanzata della guerriglia nelle provincie orientali e centrali, Washington sviluppò il piano di ritirare l’appoggio a Batista, negoziare con un gruppo moderato che neutralizzasse le convinzioni radicali dei  rivoluzionari ed instaurasse una giunta civico militare che mantenesse l’ordine stabilito nel 1902 per l’intervento degli Stati Uniti.

 

Di fronte alla reticenza dell’ambasciatore Earl Smith, che in difesa dei suoi interessi personali si negava di notificare a Batista il "comunicato 292" di Washington, fu incaricato  l’impresario William F. Pawley di farlo e di aiutare la CIA ad organizzare un gruppo  di riserva per rimpiazzare Batista con elementi moderati dell’opposizione e del governo. Con Pawley lavorarono all’impegno William Wieland, capo del Burò della CIA in Messico e nei Caraibi; Roy Rubotton, segretario di Stato assistente, e James Noel, capo della CIA a L’Avana. I selezionati furono Tony Varona, ex Primo Ministro nel governo di Carlos Prío; Manuel Artime Buesa, ex ufficiale dell’Esercito Ribelle; José Ignacio Rasco, del Movimento democratico-cristiano; Aureliano Sánchez Arango, ex ministro di Prío e Justo Carrillo, del Movimento Montecristi.

 

Si pretendeva anche  d’incorporare altri  tipi con  cui la CIA già lavorava, come l’ex colonnello Barquín, che era in prigione  per aver cospirato contro Batista, ed altri membri del Secondo Fronte dell’Escambray. Quasi tutti parteciparono poi ai piani per l’invasione dalla Baia dei Porci.

 

Batista non fece caso a Pawley. Ma le manovre dell’ambasciatore  degli Stati Uniti per mantenere il potere in Batista mediante un prestanome non prosperarono. Il 17  dicembre, Smith fu  obbligato a trasferirsi nella fattoria Kuquine, dove risiedeva Batista, ed ad ammettere che nonostante tutti i suoi sforzi personali per ottenere che fosse sostituto  da Andrés Rivero Agüero, candidato che rispondeva al generale, il governo di Washington "temeva che Cuba sarebbe affogata in un bagno di sangue se continuava  lui come presidente, ma che se Batista agiva rapidamente, il Dipartimento di Stato credeva che  c’erano elementi cubani che avrebbero potuto salvare la deteriorata situazione" (2)

 

Smith si riferiva al fatto che  Washington stava prendendo contatti confidenziali con gli ambasciatori dell’Organizzazione degli Stati  Americani (OEA), suggerendo che trattassero con i ribelli e facessero pressioni sul lo sconfitto regime, per far sì che il gruppo moderato potesse  costituire la progettata giunta di militari e civili.

Il decaduto Batista cercò inutilmente d’insister che si poteva fare la giunta, presieduta da Rivero Agüero, perchè era  stato "eletto".

 

Smith gli disse  che nel suo ultimo viaggio a Washington, al principio del mese, aveva finito tutte le sue risorse, cercando d’ottenere un appoggio per Rivero. Tutto era stato invano perchè il suo governo era convinto che il generale aveva già perduto il  dominio della la situazione e che le guerriglie avanzavano mentre la sua autorità  diminuiva.

 

Di repente, Batista domandò se lo avrebbero lasciato andare  negli Stati Uniti, nella sua residenza a Daytona Beach. Smith gli rispose  che era meglio se  al principio chiedeva asilo in un altro paese  come la  Spagna. Era  liquidato. Il cammino era  già  pavimentato per la "soluzione nazionale" che sarebbe stata presieduta   dal magistrato Manuel Piedra. Ma la determinazione del giovane leader rivoluzionario era ferrea. La giunta preparata per succedere a Batista, denunciata da Radio Rebelde, non ebbe alcuna considerazione : al suo posto, Fidel a Santiago chiamò allo sciopero generale, dopo la su avanzata vittoriosa con Almeida e Raúl dalla Sierra Maestra.

 

La forza degli invasori ribelli che  veniva dalla Sierra, comandata da Che Guevara e Camilo Cienfuegos, come qualal dell’Eroe della Patria Antonio Maceo nel 1895, prendendo Santa Clara precipitò la fuga di Batista e dei suoi più vicini collaboratori, il 31 dicembre. Il Comandante  ordinò di andare sino a L’Avana ed occuparla. L’audace passo contò sull’appoggio popolare che significava la paralisi del paese per lo sciopero. La perfetta sincronizzazione impedì al generale Eulogio Cantillo d’impadronirsi del governo mediante un colpo di Stato, appoggiato dall’ambasciata degli Stati Uniti.

 

Nei  primi mesi del 1959 i rivoluzionari vittoriosi  cercarono di  sviluppare il loro programma senza ostilità verso  Washington e senza complicità con il cruento periodo di sette anni di Batista. Ma il colore conservatore del settore guidato dal Presidente Manuel Urrutia e dal Primo Ministro José Miró Cardona nel nuovo governo de L’Avana, stimolato dagli Stati Uniti, tendeva verso l’immobilismo politico, economico e sociale. Nello stesso  governo, i rappresentanti del Movimento 26 di Luglio (M-26-7) notificarono a Fidel che con quel gruppo non si poteva avanzare  se il leader della Rivoluzione non lo capeggiava.

 

Il 13 febbraio del 1959, Fidel s’incaricò  di guidare il Governo, in sostituzione di Miró Cardona, sino ad allora  Primo Ministro, che prontamente abbandonò l’incarico d’ambasciatore negli Stati Uniti che gli era stato affidato e  passò agli ordini del vicino del Nord, al quale realmente apparteneva.

 

(1) United States House. Exec. Doc.,32nd Cong., 1st Sess. 1851-52 Doc. núm 21, pp. 6-7.

(2) John Dorschner & Roberto Fabricio. The Winds of December. Coward, McCann & Geoghegan, Nueva York, 1980, pp. 190.

(3) Domanda del popolo  cubano contro il governo degli Stati Uniti. Editora Política 2000, pp.6
 

 

Nixon e la baia dei Porci (II)

El finado ex presidente de Estados Unidos Richard M. Nixon es uno de los iniciadores de la guerra contra la Revolución cubana

 

3.10.11 - G.Molina www.granma.cu 

 

Desde abril de 1959, cuando como vicepresidente recibió a Fidel Castro, el apoyo brindado por Nixon al derrocado dictador Fulgencio Batista —a quien visitó en 1955, dos años después del asalto al Cuartel Moncada—, y sus alianzas con intereses oligárquicos, lo llevaron a demandar tan tempranamente la remoción del joven líder guerrillero. Las medidas adoptadas culminaron con la invasión por la bahía de Cochinos el 17 de abril de 1961. Ambos ex presidentes enfocaron el tema de la Revolución cubana como si fuese un problema nacional en las elecciones de 1960.

Foto: Archivo (febrero de 1955)

 

 

 

Nixon en 1955 en La Habana, haciendo un brindis con el tirano Fulgencio Batista por el mantenimiento de las estrechas relaciones entre los Estados Unidos y Cuba, y junto a ellos el embajador Gardner.

 

 

 

 

Nixon fue uno de los políticos que utilizó el anticomunismo como forma de sobresalir. Nació en Yorba Linda, en 1913 y con una beca en la Universidad Duke de Carolina del Norte, se licenció en Derecho en 1937 e ingresó en la firma Winger & Bewley, hasta llegar a socio. Al estallar la II Guerra Mundial se alistó en la Marina y después se dedicó por entero a la política. Fue elegido a la Cámara de Representantes sobre Jerry Worheer, a quien acusó de ser un instrumento de Moscú.

Entre 1948 y 1949, fue figura principal en la Cámara del Comité de Actividades Antiamericanas del senador Joseph McCarthy, donde se distinguió nacionalmente haciendo condenar a Alger Hiss, antiguo oficial del Departamento de Estado. Así se le designó para participar en el Plan Marshall y evitar el avance del socialismo en Europa occidental. En 1950 lo eligieron senador por California, en 1952 vicepresidente de Eisenhower y presidente de 1968 a 1974, cuando fue obligado a renunciar.

Fidel Castro recuerda su histórico encuentro con Nixon: "En fecha tan temprana como el mes de abril de 1959 (el día 19) visité Estados Unidos invitado por el Club de Prensa de Washington. Nixon se dignó recibirme en su oficina particular... No era un militante clandestino del Partido Comunista, como Nixon con su mirada pícara y escudriñadora llegó a pensar. Si algo puedo asegurar, y lo descubrí en la Universidad, es que fui primero comunista utópico y después un socialista radical, en virtud de mis propios análisis y estudios, y dispuesto a luchar con estrategia y táctica adecuadas.

"Mi único reparo al hablar con Nixon era la repugnancia a explicar con franqueza mi pensamiento a un vicepresidente y probable futuro Presidente de Estados Unidos, experto en concepciones económicas y métodos imperiales de gobierno en los que hacía rato yo no creía."(1)

Años más tarde Granma publicó, en un artículo de Luis Báez, otros pormenores de la reunión con Nixon que Fidel relató en entrevista con periodistas norteamericanos.

"Fue una entrevista muy franca por mi parte, porque le expliqué cómo veíamos la situación cubana y las medidas que teníamos intención adoptar. En general, él no discutió, sino que se mostró amistoso y escuchó todo lo que tenía que decirle. Nuestra conversación se limitó a aquello. Tengo entendido que él sacó sus propias conclusiones de aquellas conversaciones. Creo que fue después de aquello cuando comenzaron los planes para la invasión."

La reunión con Nixon duró poco más de dos horas y media y el criterio del vicepresidente de Estados Unidos fue desclasificado años después: "en lo concerniente a su visita a Estados Unidos, su interés fundamental no era lograr un cambio en la cuota azucarera ni obtener un préstamo del gobierno, sino ganar el apoyo de la opinión pública estadounidense para su política... Debo reconocer que en esencia apenas encontré en sus argumentos motivos para discrepar.

"Con mucho tacto traté de insinuarle a Castro que Muñoz Marín había hecho un magnífico trabajo en Puerto Rico en lo que respecta a atraer capital privado y en general a elevar el nivel de vida de su pueblo, y que Castro muy bien podría enviar a Puerto Rico a uno de sus principales asesores económicos para que conversara con Muñoz Marín. Esta sugerencia no lo entusiasmó mucho y señaló que el pueblo cubano era ‘muy nacionalista’ y sospecharía de cualquier programa iniciado en un país considerado como una ‘colonia’ de los Estados Unidos... Cabe destacar que no hizo ninguna pregunta sobre la cuota azucarera y ni siquiera mencionó específicamente la ayuda económica."

"Mi valoración de él como hombre es de cierta forma ambivalente. De lo que sí podemos estar seguros es que posee esas cualidades indefinibles que lo hacen ser líder de los hombres. No debemos considerarlo, ilusoriamente, como un rebelde furibundo al estilo de Bolívar, por lo cual hay que obrar en consecuencia.

"Independientemente de lo que pensemos sobre él, será un gran factor en el desarrollo de Cuba y muy posiblemente en los asuntos de América Latina en general. Parece ser sincero, pero o bien es increíblemente ingenuo acerca del comunismo o está bajo la tutela comunista".

"Pero como tiene el poder de liderazgo al que me he referido, lo único que pudiéramos hacer es al menos tratar de orientarlo hacia el rumbo correcto."(2)

Richard Nixon fue después conocido como Dirty Dick (el tramposo Dick), por la ausencia de escrúpulos de los que hizo gala para conseguir sus objetivos con sucios métodos, como los falsos plomeros que envió para espiar a los candidatos del partido demócrata en el edificio Watergate, encabezados por el oficial de la CIA Howard Hunt, uno de los jefes de la invasión a Cuba en 1961. Ese episodio resultó ser la chispa que incendió su presidencia hasta hacerlo renunciar cuando cumplía su segundo mandato.

El Watergate fue un merecido resbalón en la carrera de Nixon. Dirty Dick había ganado la presidencia de Estados Unidos en 1968, en gran parte a consecuencia del asesinato de Robert Kennedy, quien investigaba el magnicidio cometido contra su hermano John en Texas en 1963. Sin embargo, no se ha relacionado ese crimen con Nixon, a pesar de que había sido reportado como presente en Dallas el día del magnicidio del mayor de los Kennedy.

Pero sí se le reconoce su responsabilidad por las masacres en Chile, ya que desde la elección de Salvador Allende como presidente, en septiembre de 1970, organizó el complot de la CIA que, aliada al sanguinario general Augusto Pinochet, derrocó al gobierno de la Unidad Popular elegido en las urnas y preparó el camino para extender el terror en toda la América del Sur.

Las recomendaciones de Nixon llevaron a que Eisenhower decidiese derrocar a Fidel y que, a solo siete meses de la entrevista en Estados Unidos, en un famoso memorando fechado el 11 de diciembre de 1959, el jefe de lo que poco después se tituló División del Hemisferio Occidental de la CIA, J. C. King, exhortase a: "Analizar minuciosamente la posibilidad de eliminar a Fidel Castro:

[... ] Muchas personas bien informadas consideran que la desaparición de Fidel aceleraría grandemente la caída del gobierno... " La bahía de Cochinos fue uno de los resultados.

 

1 Fidel Castro Ruz: Reflexiones,Granma, 8 de julio del 2007
2 Richard Nixon: Seis Crisis.

GIRÓN 50

Béisbol y Guerra Fría (IV)

 

18.11.10 - G.Molina www.granma.cubaweb.cu

 

Ni siquiera el béisbol escapó a la implacable guerra iniciada por Estados Unidos contra Cuba, desde hace medio siglo.

 

 

 

El equipo cubano ganó el campeonato de la liga Internacional y después se coronó también en la Pequeña Serie Mundial, al vencer al Minneapolis Millers, campeón de la otra liga Triple A, la American Association. Gene Mauch, manager de los Millers, quien aparece entre Fidel y Guerra Matos, desmintió versiones de que jugaron intimidados.

 

 

El 26 de julio de 1959, a seis meses del triunfo de las armas, el 6to. aniversario del Asalto al Cuartel Moncada coincidió con un juego de la Liga Internacional, categoría Triple A, entre los Cuban Sugar Kings y Alas Rojas de Rochester. Oleadas de campesinos fueron invitados a la capital para conmemorarlo y Fidel llamó a asistir al de la víspera.

El Ejército Rebelde compró 10 000 entradas para los campesinos y soldados. Pero en la euforia de la conmemoración, a las 12 de la noche, algunos dispararon tiros al aire y una bala al descender —se dijo—, rozó a Frank Verdi, del Rochester, coach en tercera base y otra a Leo Cárdenas, torpedero local. Los jueces suspendieron el encuentro. Muchos en Cuba pensaron que la suspensión fue parte de la conjura, pues el gobierno de Eisenhower ya había comenzado a tomar medidas hostiles.

Los revolucionarios triunfantes en enero de 1959 habían tratado de llevar a cabo su programa sin hostilidad hacia Washington. Pero el tinte conservador del gobierno presidido por el juez Urrutia tendía a impedir medidas radicales, y en febrero 13 de 1959 Fidel Castro asumió el cargo de Primer Ministro, en sustitución de José Miró Cardona, quien poco después sería designado como uno de los líderes de la oposición que organizaba Washington.

La radical Ley de Reforma Agraria que el nuevo gobierno promulgó a los tres meses, en mayo 17, atrajo enseguida una serie de represalias de Washington, ya que lesionó sobre todo intereses de la United Fruit. Desde abril de 1959 ya el vicepresidente Nixon había convencido al Presidente de que Fidel era "peligroso" para los intereses de Estados Unidos. En julio, ante la actitud de Urrutia, Fidel renunció. El 23 un paro general del país obliga en pocas horas a la renuncia del presidente, quien es sustituido por Osvaldo Dorticós y Fidel se reintegra al premierato.

Días antes, el 20 de julio, un diario de Rochester ya se unía a las campañas con un editorial titulado "El desmoronamiento de Castro", donde se afirmaba que los turistas y empresarios se estaban alejando de este país. Que los Sugars perdían dinero y que Maduro planeaba venderlo. Fidel reiteró su promesa de sufragar las deudas para mantenerlo en la Liga, pues era importante para el deporte y la recreación de Cuba.

Entretanto, Washington ya había concebido un plan subversivo y la CIA pasó a reclutar agentes masivamente en Cuba y por doquier, para sabotear la Revolución. Una semana antes del juego, el 21 de julio, George Beahon, que cubría al equipo para el diario Rochester Democrat and Chronicle, pretendía adivinar: "el domingo 26 de julio, fecha de aniversario de la revolución, promete ser excitante si no azaroso. El jefe Castro ha llamado a 50 000 ciudadanos a invadir La Habana desde las provincias y viajar con sus machetes. El sentimiento general de los cubanos es que los americanos son hipercríticos del gobierno revolucionario en una medida tal que un poco de ron y afilados machetes empuñados, pueden crear un serio incidente internacional".(1) Era el aspecto propagandístico del plan.

Al ocurrir el incidente en la madrugada del 26 de julio, George Sisler, director general del equipo hizo un precipitado llamado al presidente del club, Frank Horton, quien les ordenó regresar.

El escritor Howard Senzel, testimonia que la prensa de Estados Unidos, lejos de reconocer esta actitud, hacía creer que se trataba de cambiar al fútbol las preferencias del pueblo cubano. Investigó el incidente y llegó a sospechar que fue preparado y se exageró su importancia, a pesar de que nadie fue herido seriamente y de las disculpas enviadas por Felipe Guerra Matos, director de Deportes.

El cinco de septiembre del mismo 1959, Horton anunciaba que no volvería a Cuba y otros seis clubes dijeron lo mismo. Sin embargo, el campeonato continuó hasta el final a despecho de la campaña.

El aliento brindado por la Revolución al béisbol fue mucho. Los Cubans terminaron en primer lugar en la Internacional y después, en octubre, se coronaron campeones en la Pequeña Serie Mundial. No se podía admitir tal éxito. La Guerra llegó al béisbol: el 8 de julio de 1960, el nuevo Secretario de Estado, Christian Herter hizo presión y tras una reunión en Washington con Ford Frick, comisionado de las Grandes Ligas, se decidió transferir la franquicia de La Habana a Jersey City, pues "el clima en Cuba ya no es saludable para nuestro pasatiempo nacional". (2) Al dar a conocer la noticia, Horton se justificó con la necesidad de proteger a los peloteros por la situación allí. Cuando un periodista le preguntó a cuál situación en Cuba se refería respondió: Bueno, lo que dicen que pasa en Cuba.

Senzel considera ingenuo pensar que los servicios secretos norteamericanos no estaban mezclados en el plan del béisbol, ya que este resultó el último juego de un equipo de Estados Unidos en Cuba. El despojo de la franquicia pretendía condicionar la opinión pública. El Gobierno cubano, los medios, las instituciones y el dueño del club, protestaron y alegaron que la presencia de Cuba brindaba la verdadera característica internacional de la Liga. Pero todo fue inútil. Ya estaban en marcha los planes para invadir a Cuba y se preparaba justificarla con una declaración en agosto de 1960 de la Octava Conferencia de Cancilleres, en Costa Rica, so pretexto de una alegada injerencia de la URSS, que se materializaría con la invasión por Playa Girón en abril de 1961.

En el deporte se completó la agresión con la medida de que no podría jugar ningún cubano en el "béisbol organizado" sin romper con su gobierno, pues las leyes del bloqueo impiden que sean remunerados. Medio siglo después aún existen esas sanciones.

 

(1)Howard Senzel. Baseball y la Guerra Fría Harcourt Brace Jovanovich, USA, 1977. Pág. 76

 

 

GIRÓN 50

La guerra contra cuba

atormentó a Hemingway (V)

 

26.11.10 - G.Molina www.granma.cu 

 

Hasta el llamado Dios de Bronce de la literatura norteamericana, el insigne escritor Ernest Hemingway, fue afectado y atormentado a causa de los planes de su gobierno contra Cuba.

 

 

 

Las informaciones difundidas cuando Hemingway entregó a Fidel el trofeo que ganó en el torneo de la pesca de agujas, eran justamente lo que Bonsal dijo que su gobierno estaba decidido a impedir, para no afectar la imagen que en Washington se quería dar sobre el líder cubano.

 

 

La periodista y escritora irlandesa Valerie Danby-Smith, secretaria particular de Hemingway en los últimos años de vida del laureado premio Nóbel de 1954, fue testigo excepcional de las presiones del gobierno del general Eisenhower para obligarlo a salir de Cuba. Su presencia estorbaba a la justificación de la operación bélica que ya se había decidido para ahogar a la Revolución.

Ernest había vuelto en marzo de 1959 a la Isla que abandonó en 1957, tras un registro practicado por la policía de Batista en su acogedora finca la Vigía, de 61 000 m2 en San Francisco de Paula, a 24 km de La Habana. Al New York Times manifestó su simpatía por el proceso guerrillero. Ya en La Habana, el argentino Rodolfo Walsh, escritor y uno de los fundadores de Prensa Latina relata que lo interceptó en el aeropuerto de La Habana e hizo el reportaje más corto de su vida. Hemingway decía: "Vamos a ganar. Nosotros los cubanos vamos a ganar —y agregaba—. I’m not a yankee, you know". (1) Valerie, quien años después adoptaría el apellido Hemingway al casarse con Greg —uno de los hijos del autor de El viejo y el mar—, llegó al aeropuerto de Rancho Boyeros de La Habana el 27 de enero de 1960. Su impresión fue muy agradable. Anotó que era imposible pasase inadvertido, la gente se apiñaba a su alrededor. Su cuerpo robusto, con unos pantalones cortos de color caqui y una camisa a cuadros de manga corta, los mocasines marrones y la cara redonda y enmarcada por la barba.

La joven irlandesa fue acomodada en el espacioso alojamiento contiguo a la residencia en sí, que había servido a huéspedes tan ilustres como Gary Cooper, Luis Miguel Dominguín, Ava Gardner, Antonio y Carmen Ordóñez, Jean Paul Sartre, Errol Flynn, Spencer Tracy y muchos otros.

Algunos visitantes se sentaban ciertos días a la semana en la bien servida mesa de Ernest y Mary. Entre ellos cenaba los jueves Philip W. Bonsal, embajador de Estados Unidos, con quien Hemingway hablaba ampliamente de su país, que representaba "una conexión directa con su tierra natal. Ernest seguía con avidez todo lo que sucediera en su país natal". (2)

Pero desde meses antes, diciembre de 1959, ya el presidente Eisenhower había aprobado el documento de la CIA redactado por J.C. King, oficial encargado de la América Latina en la División del Hemisferio occidental, que recomendaba derrocar a Fidel Castro. El 18 de enero de 1960, once días antes de que llegase Valerie a Cuba, en Washington era designado J. D. Esterline como jefe de un grupo interno creado por Allen Dulles para dirigir el llamado Proyecto cubano, que no dejaba ningún eslabón suelto.

Consecuente con el Proyecto de la CIA, en esa primavera, es decir, entre marzo y mayo, "apareció un jueves Bonsal con el semblante muy serio. Le trajo a Ernest un mensaje importante, aunque informal, de Washington D.C. El gobierno estadounidense empezaba a plantearse muy seriamente la ruptura de relaciones diplomáticas con Cuba. Hemingway era ciudadano norteamericano, pero también era residente en Cuba, y seguía siendo el expatriado más conspicuo y relevante de la isla a todos los efectos. Lo que Washington deseaba de él era no solo que pusiera punto final a su residencia en Cuba, sino también que diera abierta manifestación de su desagrado con el gobierno de Castro y el régimen cubano.

"Ernest protestó, aquella era su casa, era un escritor, no veía que hubiera motivo para cambiar su forma de vida, su vida misma, su manera de ganársela", (3) testimonia Valerie Danby. Ella recuerda como su jefe y amigo manifestó a Bonsal una lealtad incondicional a Estados Unidos. El embajador estuvo de acuerdo con todo, pero agregó que en Washington veían las cosas de modo distinto y podría verse obligado a afrontar represalias. Se exponía a ser catalogado de traidor.

Único testigo del diálogo —con excepción de Mary, la esposa de Hemingway—, Danby anota que este hizo como si no se lo hubiese tomado en serio, pero a medida que pasaban los días, se dio cuenta de que la amenaza de perder su casa y todo lo que representaba, empezó a tener un gran peso en su ánimo.

Al comenzar el nuevo año el embajador los visitó y les comunicó con tristeza que había sido convocado a Washington, pues el gobierno de Eisenhower había roto las relaciones entre ambos países, el 3 de enero de 1961, 17 días antes de dar posesión a Kennedy, quien confesó no había sido consultado. Bonsal dijo tener la sensación de que Hemingway tendría que elegir entre su país y su tierra de adopción, con claridad y de forma notoria. La tristeza asomó a los ojos de Ernest según Valerie.

Poco después Hemingway recibió la visita del conocido periodista Herbert Matthews, quien le contó que "el New York Times retocaba sus reportajes para que Castro saliera menos favorecido; en algunos casos llegaba a recortar sus artículos o a no publicarlos". (4 )

Valerie notó un creciente desánimo en Hemingway. Lo atribuyó a "la inquietante certeza de que la situación política de Cuba y sus consecuencias traerían consigo un futuro plagado de incertidumbre" (5) o a los problemas de visión que comenzaron en España y empeoraban su salud. Todo se complicó más después de su primer encuentro personal con Fidel Castro en ocasión del Torneo de Pesca de la aguja, que ganó el propio Fidel y las fotos de Ernest entregándole el trofeo fueron profusamente publicadas en todas partes.

Las relaciones entre los dos países continuaron empeorando. Hemingway tuvo que revisar sus cada vez más reducidas opciones, la soga se estaba tensando. El resto fue tarea de los servicios secretos de Estados Unidos, el 25 de julio de 1960 los Hemingway dejaron vacía la finca La Vigía.

 

 

(1) Rodolfo Walsh. www..elortiga.org. Los que luchan y los que lloran. Prólogo

(2 ) Valerie Hemingway. Correr con los toros. Santillana Ediciones Generales. 2005. Madrid, pp 131

(3) Ibid. pp 132

(4) Ibid. pp 144

(5) Ibid. pp 155

 

GIRÓN 50

El secuestro de Masetti (VI)

 

 

3.12.10 - G.Molina www.granma.cu 

 

El gobierno de Perú había solicitado en los primeros meses de 1960 efectuar una Reunión de Consulta de la Organización de Estados Americanos (OEA), sobre "las tensiones en El Caribe" que preocupaban a Estados Unidos. Así, bajo presiones de Washington, la OEA aprobó el pedido y convocó a las Sexta y Séptima Conferencias de Cancilleres de América, para agosto de ese año.

 

 

 

 

 

 

Masetti entre dos destacados dirigentes políticos: el doctor Carlos Rafael Rodríguez y el periodista Raúl Valdés Vivó.

 

 

 

La agencia de noticias Prensa Latina que había sido inaugurada el año anterior, en junio de 1959, consideró importantes ambas reuniones, por lo que Jorge Ricardo Masetti, su director, decidió encabezar un equipo de cinco periodistas para darles cobertura informativa en San José, Costa Rica. Nadie hubiera podido imaginar que allí iba a ser secuestrado el destacado periodista argentino, quien se distinguió con sus reportajes sobre Fidel Castro y Che Guevara en la Sierra Maestra, para la Radio El Mundo de su país y volvió a La Habana en enero de 1959 para fundar esta agencia latinoamericana de información.

El primer intento diplomático formal contra Cuba había tenido lugar a partir del 12 de agosto de 1959, durante la Quinta Conferencia de Cancilleres en Lima. Los hechos cotidianos ya alarmaban a los dirigentes cubanos. Washington se mostraba hostil y negaba cualquier facilidad a un gobierno que no se le sometía. Pretendía aislar a Cuba y preparaba condiciones, enmascaradas en acuerdos continentales, que justificasen eventualmente una resolución condenatoria y una intervención colectiva.

Había suficientes motivos para sospechar que esa Conferencia pretendía acusar a Cuba por las llamadas "tensiones". Desde el 26 de marzo de 1959, a solo tres meses del triunfo revolucionario, se conoció un importante indicio. "Fue descubierto por las autoridades policiales un plan de atentado contra el Comandante Fidel Castro, dirigido por Rolando Masferrer y Ernesto de la Fe" (1). Masferrer fue jefe del grupo paramilitar "Los tigres", que asesinaba revolucionarios durante la guerra cubana de liberación; Ernesto de la Fe era uno de los voceros de la dictadura de Batista.

El plan fue generado entre el dictador dominicano general Rafael L. Trujillo y el general Fulgencio Batista en Santo Domingo, donde se había refugiado en primera instancia el fugitivo ex dictador, y había recibido el visto bueno de la CIA: "Todo marcha de acuerdo a lo planificado. Si tenemos suerte, en unos días habremos acabado con Castro", (2) informó el coronel J.C. King a Richard Bissell, subdirector de la agencia.

La delegación cubana presentó en un momento culminante de la reunión en Perú, pruebas de una frustrada invasión organizada también por el dictador dominicano Leonidas Trujillo que terminó con la captura de los participantes, quienes llegaron en un avión C-47 a Trinidad, pues se les había hecho creer que la ciudad estaba tomada por fuerzas afines a ellos. Los principales dirigentes enviados directamente por Trujillo, Luis Pozo, hijo del ex alcalde de La Habana, y Roberto Martín Pérez, uno de los criminales de guerra escapados el 31 de diciembre de 1958, fueron recibidos y apresados en esa ciudad al centro de la isla, para su gran sorpresa, por el propio Fidel Castro.

Las pruebas del complot fueron llevadas al Canciller Roa personalmente por Raúl Castro, ministro de las Fuerzas Armadas Revolucionarias, en un vuelo especial desde La Habana a Santiago de Chile, para ser presentadas en la Conferencia de Cancilleres, de modo que Cuba lejos de ser acusada por esas tensiones, podía acusar a sus enemigos de provocarlas. Y demostrar sus alegatos.

El domingo 14 de agosto, ya en vísperas del inicio de las sesiones de la Sexta Conferencia de Cancilleres en San José, los periodistas cubanos se percataron, de pronto, que los demás colegas habían abandonado la sala de prensa. Era alrededor de las once de la noche y, algo extrañados, decidieron concluir y salir.

Recuerdo cómo en el umbral del local de la prensa ubicada en el propio Teatro Nacional —sede de las dos Conferencias de Cancilleres—, un pequeño sujeto tropezó intencionalmente con Masetti y acto seguido trató de agredirlo: gritaba que este se le había encimado. En un santiamén entró un grupo de miembros armados de la guardia nacional, enfundados en sus uniformes color beige y forcejearon con los cubanos.

Sin escuchar a quienes trataban de explicar lo sucedido, introdujeron al director de Prensa Latina en un jeep, al tiempo que rechazaban al resto del grupo que trataba de abordarlo también. Algunos logramos penetrar en el vehículo, pero nos sacaron a la fuerza. Solo interesaba Masetti, quien protestaba por la detención.

Aún no repuestos del asombro, los cubanos nos dirigimos de inmediato al auto que utilizábamos e indicamos al chofer, un tico de confianza, que partiese raudo al lugar donde internaban a los perseguidos políticos.

Las experiencias adquiridas en la lucha contra la tiranía de Fulgencio Batista desde la Universidad de La Habana, hacían comprender rápidamente que se trataba de una operación política punitiva, y que debía hacerse todo lo posible para tratar de frustrarla, pues se podía temer por la vida de Masetti. Francisco V. Portela, corresponsal de PL en Nueva York, corrió a pasar aviso al canciller Raúl Roa. También debía redactar una información en que se denunciara el secuestro. Los tres restantes, Roberto Agudo, Ricardo Sáenz y Gabriel Molina, miembros de la Redacción Internacional de PL, abordamos el auto.

La policía política se hallaba enclavada en una especie de castillo y allí entramos. Sáenz permaneció apostado en la puerta, por si se nos retenía más de media hora.

Agudo y yo fuimos recibidos por un achaparrado teniente, quien tras escucharnos y poner cara de sueco, trató ridículamente de impresionarnos golpeando la pared con un vergajo, mientras negaba que allí se encontrara Masetti. Lo dejamos con la palabra en la boca.

Al llegar a la puerta, airados, dimos cuenta a Sáenz de la infructuosa gestión y lo invitamos a irnos. Mas este nos sorprendió con el notición de que vio entrar a Masetti conducido por los guardias. La rápida actuación nos había hecho llegar minutos antes de que arribaran aquellos guardias devenidos delincuentes.

Llamamos a Roa y ante el escándalo armado por el embajador cubano Juan José Fuxá en el Departamento de Seguridad, no les quedó más remedio a los secuestradores que soltar a Masetti, tres horas después del rapto, pasadas las dos de la mañana. Allí el Director de PL vio al pequeño asaltante revisando los papeles del portafolio que le habían quitado. Relató que fue encerrado en una celda pequeña, aislada y oscura y se puso a cantar el himno nacional de Cuba para que otros presos supiesen que había allí un cubano. Lo primero que hizo al ser liberado esa madrugada, fue llamar a La Habana para confirmar que estaba bien. Le habían devuelto sus papeles, pero notó la falta de algunos. Buscaban supuestas evidencias subversivas que no hallaron.

Al día siguiente comenzó la Conferencia. El pequeño agresor de la sala de prensa, siempre vestido de civil, con todo desparpajo se sentó cerca de los periodistas cubanos. Sin dar muestras de haberlo reconocido, dos de nosotros llegamos hasta él y le hicimos moverse para ocupar un estrecho espacio a su lado. No reaccionó y poco después desapareció para siempre. Masetti subrayó después que esa fugaz presencia era un virtual reconocimiento a la intencionalidad de la agresión. La delegación oficial cubana protestó airadamente y exigió garantías para la vida de Masetti. Ya para entonces se sabía que al aprobar la CIA los planes de atentados, se emplearía cualquier medio para debilitar a Cuba o provocar reacciones que justificasen una agresión directa.

Y no se sabía algo peor aun. Mientras esto ocurría: "en agosto de 1960 la CIA dio pasos para enrolar miembros del bajo mundo criminal en contacto con el sindicato del juego para que ayudasen a asesinar a Castro ". (3) Otra prueba de lo peligroso de la situación se produciría al día siguiente en San José, en la persona de Raúl Roa.

 

 

(1) Fabián Escalante. Acción Ejecutiva. Objetivo Fidel Castro. Ocean Press. Melbourne. pp 32

(2) Ibid. pp 31

(3) Church Committee Report. Alleged Assassinations Plots Involving Foreign Leaders. B-Cuba. pp 74 y 75.

 

 

La Conferencia de Cancilleres (VII)

 

10.12.10 - G.Molina www.granma.cu 

 

La VI Conferencia de Cancilleres de la OEA se inició el 15 de agosto de 1960 dentro de un ambiente más tenso aún, que cuando fue convocada por Perú, a instancias de Estados Unidos y Venezuela. De ese modo se complacía a Washington y a Rómulo Betancourt, presidente de Venezuela, inquieto por el dictador Trujillo que en esos días había organizado un Plan para asesinarlo.

A renglón seguido vendría la VII Conferencia que era de interés en realidad solo para Estados Unidos, para santificar sus campañas contra la Revolución cubana. Ese objetivo era denunciado en Costa Rica por organizaciones como la Confederación de Trabajadores y los Comités de Solidaridad.

El apoyo popular se manifestaba en acciones como la vibrante bienvenida, casi subrepticia, brindada por cientos de costarricenses en el Aeropuerto de Los Cocos a la delegación. Ese gesto llenó de emoción al canciller Raúl Roa y a su esposa Ada Kourí, pues habían recorrido más de 20 kilómetros a pie, en una manifestación desde San José, ya que la tarde anterior se decidió por el gobierno impedir el uso de diez ómnibus que habían preparado los trabajadores para el recibimiento. Tuvieron que esconder las banderas cubanas para poder llevar algunas, pues muchas les fueron requisadas.

La noche anterior se había efectuado el dramático secuestro de Masetti, pero las provocaciones no habían terminado: la Esso se había negado a repostarle el carburante al avión de la Aeropostal de Cuba fletado por Masetti y a la aeronave de Cubana que condujo a San José a la delegación encabezada por Roa. Luis Martínez, interventor de Cubana de Aviación, declaró que el gerente de la Esso en San José, Leonel Iglesias, había tratado de justificarlo todo con decir que no tenía gasolina y después que "pidió instrucciones a Miami con resultado negativo". (1)

Sin embargo, ante las protestas oficiales del embajador Fuxá y la advertencia de que podrían ser causales de que Cuba se retirase de la Conferencia, el gobierno tico decidió obligar a las empresas de Estados Unidos a cumplir con su deber. El aparato de Cubana que trajo a Roa y a la delegación no pudo regresar a La Habana hasta el día siguiente.

La negativa actitud de la Esso estaba relacionada con el hecho de que varias semanas antes, el 2 de julio, el Instituto Cubano del Petróleo había intervenido las refinerías norteamericanas, no solo la Esso, sino también la Texaco y después la anglo-holandesa Shell, por haber rehusado procesar el petróleo adquirido por el Estado cubano en la Unión Soviética, todo lo cual amenazaba con paralizar el país. Al día siguiente el Congreso de Estados Unidos autorizó al Ejecutivo a rebajar la cuota azucarera de la Isla. Cinco días después, el 6 de julio, el Departamento de Agricultura se apresuró a poner en práctica la medida, al prohibir que se embarcase un cargamento de azúcar de 700 000 toneladas, parte de la cuota azucarera cubana, la mayor fuente de ingresos del país.

Un mes después, el 6 de agosto, durante la clausura del Primer Congreso de Juventudes Latinoamericanas, Fidel anunció la nacionalización no solo de la Esso, sino también de la Texaco que se había sumado al boicot energético para paralizar el país. Con rara franqueza, el presidente del consorcio propiedad de la familia Rockefeller, Mr. Rathsbone, declaraba en Copenhague "nosotros pensamos que cambiaría de opinión en cuanto le fuera cortado el abastecimiento de petróleo...dijimos clara y abiertamente a las compañías de navegación dedicadas al transporte de petróleo que no veríamos con placer que pusieran sus barcos a disposición del Gobierno cubano. En ese momento ya estábamos en guerra con Fidel Castro... en definitiva nos ha ganado la batalla".(2) También se expropiaban varias empresas norteamericanas, como la Compañía Cubana de Electricidad, propiedad de la Electric Bond and Share; la Compañía Cubana de Teléfonos, de la Bell, y 36 centrales azucareros en su mayor parte de la Atlántica del Golfo y la United Fruit Co. Un valor total de 800 millones de dólares de esa época.

Solo algunas horas después de la llegada de la delegación cubana a San José, el canciller Roa se dirigía, acompañado por algunos miembros de su comitiva, a participar en un acto popular de adhesión a Cuba, autorizado por el Subsecretario de Gobernación, Eladio Chinchilla, en la cuadra en que se enclavaba la embajada de la Isla. Allí cantaría el popular artista puertorriqueño Daniel Santos*. Acompañaban a Roa, entre otros, José A. Portuondo, Carlos Lechuga, Manolo Pérez, Eduardo Delgado, Rogelio Montenegro y Ramón Vázquez. Habían salido en dos taxis desde el hotel Costa Rica, donde se alojaban las delegaciones participantes, pues el auto que correspondía a Cuba había sido enviado al aeropuerto, al recibimiento del Canciller Herter. Caso insólito, se había invitado a las delegaciones a recibirlo en la terminal aérea de Los Cocos.(De Herter, Roa dirá a su regreso a La Habana: "Es un chicharrón sin pellejo de idea").

Cuando los taxis llegaron a la bocacalle más próxima, se percataron de que el acceso estaba vedado por hileras de miembros de la Guardia Nacional con armas largas, pues se había revocado la autorización y se había prohibido publicar el manifiesto de los organizadores, en el que denunciaban la maniobra contra Cuba que —como ya era del dominio público—, constituía el objetivo de la VII Conferencia de Cancilleres. Era todo un plan. Trujillo en la Sexta y después Cuba en la Séptima.

Roa fue interceptado y, al identificarse, un oficial dijo que consultaría el caso con sus superiores. Como la consulta se demoraba, de repente el ex decano de la Facultad de Ciencias Sociales de la Universidad de La Habana exclamó: "Yo soy el Canciller de Cuba y paso de todas maneras". (3) A continuación avanzó sobre el cordón de uniformados y comenzó a abrirse paso a la fuerza, seguido por sus acompañantes.

La dramática escena subió de tono cuando los guardias palanquearon sus armas y bastones para agredir a Roa. Dispuestos a impedirlo, escoltas del ministro, como Juan Otero y Segundo Pérez, llevaron las manos a sus armas. Uno de ellos, Ramón Vázquez, atinó a levantar en vilo al delgado Roa para detener su avance y retirarlo, protegido con su propio cuerpo. De inmediato se alivió la tensión al aparecer el coronel Arias y pedirle excusas al canciller cubano mientras le franqueaba el paso.

Ante las protestas del embajador cubano, Juan José Fuxá, la Cancillería de Costa Rica actuó y los incidentes se redujeron de número y de tono.

Pero como colofón, el cantante boricua Daniel Santos, conocido en Cuba como el Inquieto Anacobero, no solo no pudo actuar en defensa de la Isla, según se había anunciado, sino que fue expulsado del país. La embajada cubana le ofreció hospitalidad y al día siguiente partió hacia la Habana. Se ahorró el disgusto de presenciar la compra de algunas conciencias.

*Daniel Santos era un artista muy apreciado en Cuba, catalogado como una interesante mezcla de tarambana y patriota. Su manera cotidiana de manifestarse, la confesaba en uno de los números musicales que lo colocaban entre la élite de favoritos en la Isla: Vive como yo vivo, si quieres ser bohemio.(bis) De barra en barra, de trago en trago. Vive como yo vivo, para gozaaar, Laaaa Habana... No era ficción. Así mismo vivía. Sin embargo, equilibraba su personalidad con un acendrado nacionalismo. Otro éxito musical era el titulado Borinquen, que expresaba: Pena que haya tantos que no quieran que tenga mi bandera, y desplegarla al sol. Que tenga uno que ser americano, en vez de ser boricua, de sangre y corazón...

 

(1) Diario Revolución, 16 de agosto 1960, p. 2

 

 

La diplomacia en la Bahía de Cochinos (VIII)

 

24.12.10 - G.Molina www.granma.cu  

 

La Séptima Conferencia de Cancilleres en San José, Costa Rica, se efectuaba, según despacho de Prensa Latina, "bajo la vigilancia de 1 350 marines que permanecerían en aguas del Caribe mientras se desarrollase el cónclave, para realizar ejercicios cuando terminase". (1)

Pocos días antes, la Sexta Conferencia había terminado con el acuerdo de la ruptura de relaciones diplomáticas con el régimen trujillista y la interrupción parcial de las relaciones económicas y comerciales. Venezuela y México se apresuraron a romperlas; Cuba ya las tenía rotas desde 1959 y Estados Unidos adujo, por su parte, que estaba estudiando la ruptura.

El Canciller estadounidense Christhian Herter centró su estrategia durante la Séptima en las llamadas intervenciones extracontinentales, por la advertencia del Primer Ministro de la Unión Soviética, quien ante las amenazas de agresión a Cuba dijo estar dispuesto a defender a la Isla proporcionando armas ligeras, pesadas y tanques, junto a la oferta de comprarle todo el azúcar que Eisenhower dejaba de comprar al recortar la cuota, días antes, en setecientas mil toneladas. Nikita Jruschov dijo, en un sentido figurado, que si fuese necesario los artilleros soviéticos pueden respaldar al pueblo cubano con fuego de cohetes, si las fuerzas agresivas del Pentágono se atreven a lanzar una intervención en Cuba. Recordó al Pentágono no olvidar que, como lo han demostrado las pruebas recientes, la URSS tiene cohetes que pueden aterrizar exactamente en un blanco cuadrado, fijado de antemano, a trece mil kilómetros de distancia.

Los periodistas nos acercamos al Canciller peruano, Raúl Porras Barrenechea, cuyo gobierno se había aprestado para convocar la Conferencia, a pesar de la desconfianza que despertaba en Cuba el controvertido tema. El profesor causó sorpresa al declarar: "No se puede intervenir en Cuba; no hay un solo canciller que opine de otro modo". (2) Agregó que el gobierno de Cuba tiene todo el respaldo de su pueblo y por tanto los demás pueblos de América tienen que respetar sus decisiones.

Un nicaragüense somocista se acercó al reconocer a Porras y le interrumpió para pedirle su opinión sobre lo que se dice por ahí de que hay comunismo en Cuba. "No se puede juzgar si lo hay por lo que digan los corresponsales, respondió Porras. Ellos expresan sus puntos de vista personales. De todos modos, si Cuba quiere implantar el comunismo dentro de sus fronteras, es muy dueña de hacerlo. Lo que no puede hacer es llevar el comunismo a la América. Ya eso sería injerencia. Yo nunca he oído decir eso. No sé de dónde usted lo ha sacado", (3), agregó el Canciller peruano con firmeza, cuando el nica le manifestó que Cuba estaba interviniendo en Nicaragua. Ahí mismo lo conminamos a no seguir interrumpiendo.

En el curso de la reunión se manifestó el rechazo a las amenazas de intervención, desde las posiciones de un grupo de ministros de los más importantes países, encabezados por el venezolano Ignacio Luis Arcaya, miembro del partido Unión Republicana Democrática (URD), que compartía el gobierno de Venezuela con el de Acción Democrática, del presidente Rómulo Betancourt. Durante la reunión se conoció la aprobación, por el Senado de Estados Unidos, de una enmienda a la Ley de Ayuda Exterior, mediante la cual todo país que prestase ayuda a Cuba o le venda armas, sería privado de la ayuda norteamericana" (4). Los medios cubanos interpretaron el hecho como una amenaza a la Conferencia, con el objetivo a mediano plazo de debilitar a Cuba militar y políticamente.

El canciller cubano, Raúl Roa, leyó en su turno el 26 de agosto un enjundioso y firme discurso que impresionó a todos los presentes. En una segunda intervención, y en respuesta a las palabras de Herter, Roa improvisó otra alocución, de parecido talante, que se caracterizó por las frases "Y esto no lo dijo Nikita Jruschov, lo dijo José Martí"¼ "Y esto no lo digo yo, lo dijo Abraham Lincoln", y así sucesivamente. Entretanto la delegación norteamericana cabildeaba en reuniones secretas. Llegado un momento de inmovilismo, se comisionó a un grupo de once delegados para redactar una especie de solución de compromiso. El Secretario de Estado norteamericano logró una declaración por estrecha mayoría de un voto. El texto aludía elípticamente a las palabras del Primer Ministro soviético, Nikita Jruschov, donde declaraba a su país dispuesto a defender a Cuba en un sentido figurado con sus cohetes, y calificaba indirectamente de intervención extracontinental a esta posición soviética. La resolución fue arrancada por Herter a los países asistentes, al costo de ochocientos millones de dólares en promesas y quedó aprobada de ese modo en la sesión plenaria. Roa anunció el desacuerdo cubano y se retiró pronunciando aquella celebre frase: "Y con Cuba se van los pueblos de América". Desde entonces se le conoció como el Canciller de la Dignidad.

Arcaya y Porras Barrenechea votaron en contra de la declaración, desafiando las instrucciones de sus respectivos gobiernos. El primero renunció y con ello creó una crisis en el gobierno venezolano, pues su partido lo apoyó y dieron fin a la coalición, secundados por algunos miembros del partido del presidente Betancourt. A Porras lo separó de su cargo el primer ministro Beltrán Espantoso. Cuba apreció hondamente el gesto de los dos ministros que desobedecieron a sus gobiernos.

Con la VII Conferencia de Cancilleres el gobierno de Estados Unidos no logró su objetivo de obtener "una condena expresa a Cuba por parte de la Organización de Estados Americanos, a pesar del crédito por 1 000 millones de dólares de esa época, utilizados para comprar votos. Pero la resolución obtenida mostraba el aspecto diplomático de la agresión, y sería utilizada para alcanzar, en 1962, la separación de Cuba de la OEA, muy a pesar de la invasión en abril de 1961 conocida como Bahía de Cochinos, pues entre el 11 y el 14 de marzo de 1961, en la Casa Blanca, se decidió que el planeado desembarco sería realizado por las tres playas de esa bahía.

El primer intento diplomático formal había tenido lugar del 12 al 18 de agosto de 1959, durante la V Reunión de Consultas de los Ministros de Relaciones Exteriores de la OEA, en Santiago de Chile. La delegación cubana presentó en un momento culminante de la reunión en Santiago pruebas de una frustrada invasión organizada por el dictador dominicano Leonidas Trujillo, que terminó en ritmo de comedia, pues los invasores se vieron ridiculizados cuando fueron recibidos por el propio Fidel Castro, quien les había hecho creer que Trinidad estaba tomada por sus aliados. Raúl Castro, ministro de las Fuerzas Armadas Revolucionarias, llevó personalmente las pruebas a la Conferencia.

La respuesta de Cuba a la Declaración de San José obtenida en la VII Conferencia de Cancilleres en Costa Rica, fue establecer relaciones con la República Popular China, dado a conocer en una concentración en la Plaza de la Revolución, el dos de septiembre de 1960, en la cual el pueblo asumió la Declaración de La Habana, aclamada por más de un millón de personas. Era servir dos tazas al que no quería té, a quien declaraba una guerra por haberse establecido relaciones con la Unión Soviética.

La Declaración de La Habana calificó el acuerdo de San José de injerencista y también "la intervención abierta y criminal que durante más de un siglo ha ejercido el imperialismo norteamericano sobre todos los pueblos de América Latina, que han visto invadido su suelo en México, Nicaragua, Haití, Santo Domingo o Cuba; que han perdido ante la voracidad de los imperialistas yankis extensas y ricas zonas, como Texas, centros estratégicos vitales, como el Canal de Panamá, países enteros, como Puerto Rico, convertido en territorio de ocupación (...). La ayuda espontáneamente ofrecida por la Unión Soviética a Cuba en caso de que el país fuera atacado por fuerzas militares imperialistas, no podrá ser considerada jamás como un acto de intromisión, sino que constituye un evidente acto de solidaridad". (5)

 

 

(1) Diario Combate, 25 de agosto, de 1960 p. 12.

(2) Ibíd. 18 de agosto de 1960. p. 8.

(3) Ibíd.

(4) Diario Revolución.

(5) Declaración de La Habana.