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L’isola dei pirati

 

16.09.10 - C.B.Ross www.granma.cu (ain)

 

El Mallorquín deve essere stato l’ultimo pirata ad operare nei Caraibi. Verso il 1820 – forse un po’ prima – cominciò a sembrare il panico nelle popolazioni vicine alla costa sud di Cuba e tra gli abitanti delle altre isole limitrofe. Niente lo spaventava, niente sembrava poter contenere Pepe el Mallorquín. Agiva con impunità assoluta e trovava rifugio sicuro nel sud dell’Isola de Pinos, attuale Isola della Gioventù, della quale arrivò ad essere proprietario. Lì, nel fiume Mal País, affluente del Santa Fe, si aggirava la sua barca che aveva battezzato con nome di La Barca e che era equipaggiata con un solo cannone. Ai margini del Mal País, i 40 uomini del Mallorquín recuperavano forze e aspettavano il momento di riprendere le azioni.

 

La sorte, tuttavia, non li avrebbe accompagnati per sempre. Un giorno si resero visibili alle navi britanniche che inseguirono La Barca fino al suo luogo di riposo abituale. I persecutori non riuscirono a passare per la bocca del fiume, ma due delle barche arrivarono fino alla tana dei pirati e li attaccarono, senza riuscire a sterminarli. Fu allora che una delle barche si diresse all’Avana perché il suo ufficiale al comando sollecitasse al Capitano Generale l’autorizzazione per portare a termine il compito cominciato.

Ricevuto il permesso del Governatore, cento inglesi sbarcarono nella zona nella quale permasero nascosti gli uomini del Mallorquín, che si difesero con tenacia e valore. Con tanta fierezza custodirono il loro spazio, che gli inglesi, che pure contavano sull’aiuto di non pochi creoli, tardarono un anno ad eliminarli, senza conseguire l’obiettivo di prendere al capo pirata ancora in vita. Pepe el Mallorquín morì quando gli scoppiò tra le mani l’arma che stava usando.

 

Gli inglesi avrebbero forse potuto mostrare rispetto per l’uomo che li mantenne sotto scacco per tanto tempo, ma non lo fecero. In cambio, ne profanarono il cadavere e portarono, in segno di trionfo, la sua testa in Inghilterra.

 

 

L’avvertimento inglese

 

 

Ho parlato di questo avvenimento perché, a suo tempo, ricordò alla Spagna che l’Isola de Pinos era parte dei suoi domini, cosa che sembrò dimenticare dal 1494, da quando il territorio fu scoperto da Cristoforo Colombo, che stava facendo il suo secondo viaggio in America e che chiamò Evangelista. Ovviamente la cosa non fu così facile. L’Inghilterra dovette avvertire la Spagna che doveva controllare il territorio pinero per evitare che gente come Pepe el Mallorquín lo utilizzasse come rifugio e base di operazioni o, altrimenti, abbandonarlo o rinunciare alla sua sovranità per permettere ad un’altra nazione di occuparlo e rafforzarlo. Il Governo inglese non lo prese alla leggera. I suoi messaggeri furono discreti e categorici nella loro richiesta: se Madrid rinunciava ai suoi diritti sull’Isola, Londra se ne sarebbe preoccupata.

 

È strano che quel territorio, che godeva di migliori condizioni per la colonizzazione rispetto ad altre isole delle Antille, fosse rimasto per due secoli e mezzo dimenticato dalla nazione alla quale apparteneva. Nessuno dei governatori che in quel tempo comandarono a Cuba pensò seriamente nell’esistenza dell’Isola de Pinos quando le sue attrazioni risvegliarono l’appetito di quelli che la conoscevano da quando il celebre corsaro inglese Francis Drake riconobbe il territorio nel 1596.

 

Era tradizione che tutti i pirati che solcavano i mari del sud sbarcassero sull’isola in cerca di acqua e legna. Nel censimento del 1774 non si menziona l’Isola, né in quello del 1792. Neppure quello del 1817, anche se fonti ufficiali riferiscono che già a metà del XVIII secolo c’erano gente e animali d’allevamento, così come capanne di pescatori in alcune delle sue spiagge. Serviva da rifugio a quelli che, tanto a Cuba quanto nelle isole vicine, fuggivano dalla legge.

 

Fu dopo l’avvertimento dell’Inghilterra che Francisco Dionisio Vives, Governatore dell’Isola di Cuba, ricevette l’ordine di prendere in mano la questione. A sua volta, Vives dispose che don Clemente Delgado, un tenente colonnello di artiglieria, si trasferisse in territorio pinero e lo studiasse dal punto di vista geografico e militare. Delgado portò a termine con successo l’impegno, e redasse una dettagliata memoria nella quale, tra gli altri molti temi, raccontò delle ricchezze naturali del territorio esplorato. Tale premura gli valse la nomina di Comandante Militare dell’isola, verso la quale don Clemente partì di nuovo al comando di un distaccamento di 14 uomini di truppa e un tenente suo assistente. Portava anche 12 carcerati.

 

 

Il primo proprietario

 

 

Ovviamente dire che la Spagna non si era occupata fino a quel momento come avrebbe dovuto dell’isola, non equivale a dire che si trovasse priva di popolazione. Il suo primo proprietario fu il capitano Hernando de Pedroso, al quale si concesse una mercè nel 1627.

 

Alla morte di Pedroso, nel 1632, il proprietario dell’Isola passò ad essere suo figlio José, morto il quale, la proprietà passò nelle mani delle sue figlie, Ana e Inés. La prima, sposata con Fernando Zayas Bazán, prese per sé la maggior parte delle terre, mentre Inés, sposata con Manuel Duarte, si aggiudicò la sua. Lasciarono libero uno spazio che, con il tempo, fu trasmesso a una nipote.

Morta Ana, il suo vedovo Fernando fece un cambio con il cognato, che in ritorno gli diede la proprietà di Quivicán, la parte ereditata da sua moglie.

 

In quello stesso anno la nipote vendette la sua proprietà ai due figli di don Manuel. Morirono entrambi senza lasciare eredi, e così la proprietà di tutta l’isola rimase nelle mani di don Manuel Duarte, che alla sua morte la divise in parti uguali tra i suoi due figli Francisco Javie e Nicolás.

 

Nicolás, in quanto responsabile dell’amministrazione dell’Isola de Pinos, l’affittò a 250 pesos annuali a Antonio Gelabert, ed un anno dopo scambiò metà della sua parte più 50 cavalli e 250 vacche con Nicolás Bazán, per la proprietà di Guanabo.

 

Morto Nicolás nel 1758, la sua proprietà venne divisa in sette fattorie, una per ogni figlio. Uno di loro fu nominato governatore dell’Isola de Pinos dal capitano generale Conte de Ricla. Cominciarono allora i tentativi di colonizzare l’isola, che non tardarono a iniziare a contribuire con qualche bestiame al rifornimento dell’Avana, ma il Governo coloniale non si mostrò favorevole al reclamo del governatore locale rispetto alla fondazione di un villaggio.

 

Allora il territorio era popolato da 76 persone. Il 10 dicembre del 1787, il capitano di fregata Julián Terry presentò alle autorità avanere il voluminoso documento che conteneva le conclusioni del suo lungo viaggio di studio e ricerca nell’Isola, la cui popolazione si era elevata a 300 abitanti, molti dei quali dediti alla salatura delle carni bovine, che arrivavano sull’Isola dal porto di Batabanó.

 

 

Nasce Gerona

 

 

È qui che si fa la storia e ci ricollega a quanto si diceva al principio della pagina. Annichilato Pepe el Mallorquín, e dopo l’avvertimento inglese, il generale Francisco Dionisio Vives ricevette da Madrid l’ordine di riprendere il controllo dell’Isola de Pinos e nominò il tenente colonnello Clemente Delgado come Governatore dell’isola. Egli ottenne, dopo lunghe conversazioni, che uno degli eredi di Duarte cedesse una lega di terreno (qualcosa di più di cinque km e mezzo) per la fondazione di un villaggio. Si divise quel territorio in parcelle che si sarebbero consegnate agli interessati, senza altra obbligazione che quella di costruirvi nell’arco di tempo di un anno.

 

Delgado voleva stimolare la colonia della Regina Amalia, così chiamata in onore alla terza moglie di Fernando VII. Visto che lo spazio concesso risultava essere poco, convinse il tenente colonnello a far sì che la Proprietà Reale acquistasse altre cinque leghe, sufficienti per il villaggio in progetto e che confinava con il terreno ceduto.

 

Delgado fece uno schizzo del villaggio che voleva fondare e lo mandò al Governo dell’Avana che lo approvò in ogni sua parte. Così nacque Nuova Gerona, la capitale del territorio, situata tra le montagne, a quattro km dalla foce del fiume Casas.

 

Se il nome della colonia fu un omaggio alla terza sposa del re spagnolo Fernando VII, con Gerona si volle omaggiare Vives, che nella guerra di indipendenza spagnola difese eroicamente la piazza catalana che si chiamava così.

 

Ad ogni modo, la migrazione verso il nuovo paesino si contò con il contagocce. La cronaca riferisce che il primo nucleo della popolazione fu costituito da una compagnia di soldati, che divenne guarnigione fissa, ed un gruppo di detenuti. Nel 1850 si costruì una caserma, che sei anni dopo venne convertita in ospedale militare.

 

Prima, nel 1847, con pali di legno duro e con tetti di guano, si costruì il tempio cattolico, che si mise sotto la protezione di Nostra Signora dei Dolori. Si costruirono anche due scuole elementari, una per le femmine e l’altra per i maschi, una prigione, un ospedale civile e la sede dell’amministrazione locale.

 

Il turismo aiutò Gerona. Le famiglie bene dell’Avana e di altri luoghi del paese ogni anno approfittavano delle eccellenti acque termali di La Fe e del suo clima benefico per le malattie polmonari e dello stomaco.

 

Ciò aumentò la popolazione e permise la fondazione di stabilimenti e hotel per i visitatori. Durante il secolo XIX molti cubani condannati alla carcere per le loro idee indipendentiste furono inviati sull’Isola de Pinos a compiere la loro pena.

 

Già nella Repubblica, il dittatore Gerardo Machado e il suo Ministro degli Interni, Rogelio Zayas Bazán, concepirono l’idea di costruirvi il famoso Presidio Modelo, che si inaugurò nel 1931. Durò fino a dopo il trionfo della Rivoluzione, quando venne smantellato. Era una replica del carcere di Joliet, in Illinois, Stati Uniti, ed aveva quattro galere circolari di cinque piani ognuna. In ogni piano c’erano 93 celle. Disponeva anche di altri edifici che albergavano 6.000 reclusi in tutto.

 

 

Fine

 

 

Oggi mi sono concesso questo giro per l’Isola della Gioventù. È curioso. Pensavo di scrivere su un altro tema quando la storia di quella porzione di territorio nazionale ha preso il sopravvento. In realtà, avevo altre idee. Raccontare, per esempio, del tempo in cui a El Calvario, nel municipio di Arroyo Naranjo, c’era un solo medico, e che i malati del luogo dovevano mandare a preparare le loro formule a Jesús del Monte o a Calabazar. O dire che l’oggi affollato quartiere di Luyanó era popolato da 49 abitanti nel 1853. O che, nello stesso periodo, c’era a La Güinera una cappella che officiava la messa solo una volta all’anno, il 13 giugno, il giorno di San Antonio di Padova. O che il Caffè Colombo funziona, secondo i miei calcoli, dal 1858. Ma questo lo vedremo in un’altra occasione.