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Cultura

Monotipia per

un racconto
Una mostra sull’attentato di Barbados nel Museo della
Marcia del Popolo combattente

 

18 novembre 2010 - Hortensia Peramo Cabrera www.granma.cu

 

A prima vista sembrerebbe incomprensibile esporre adesso un’opera creata 34 anni fa da un artista ancora in vita, con un encomiabile passato e un presente creativo attivo, quando è più comune mostrare competitivamente ciò che è contemporaneo.

 

Non si tratta neppure di una retrospettiva. Ma le ragioni di questo ritorno sono varie. Una di esse può essere chiamata archeologica, e per tanto condizionata in buona parte dalla casualità della scoperta: si tratta di una collezione di 18 monotipie di Juan Ramón Chacón, conservata quasi miracolosamente da un antico vicedirettore José Daniel Iglesias Flores dell’allora specialità di arte plastica della Scuola Nazionale di Arte (ENA).

 

La collezione risale al 1976, quando Juan Ramón era al secondo anno di Pittura con il famoso Maestro Antonio Vidal, le lezioni di Disegno con Tomás Sánchez e quelle di Incisione con il sempre ricordato Enrique Pérez Triana (il Pollo).

 

Però, dettagli a parte, ci sono le ragioni storiche: da una parte la scoperta dell’ENA, specialmente di opere dei suoi studenti di arte in quegli anni, e che possiede uno straordinario valore documentale, quando la memoria grafica di questa scuola è praticamente persa; d’altra parte, il tema di questa collezione ci rimanda al fatto storico della barbarie commessa nell’ottobre del 1976 contro l’aereo di Barbados. Ma possiamo anche includere la prova dell’altra importante parte della storia dell’arte cubana, specificamente relativa alla sperimentazione di tecniche di incisione come mezzo di espressione, cioè, potenziando la “natura plastica del mezzo”, secondo David Mateo, che dà prova del fatto che in quel tempo l’incisione non si trovava al di fuori dell’arte plastica cubana, come neppure al di fuori dell’universo della grafica, cosa che rafforza l’intenzione rivendicatrice di questo autore rispetto all’incisione come arte e volontà di sperimentazione artistica.

 

Anche attraverso l’insegnamento, l’ENA ha aperto le porte all’incisione come arte, soprattutto con il lavoro del peruviano Espinoza Dueñas, che ha iniziato i giovani ai misteri della litografia, xilografia, come aveva fatto pure Carmelo González a San Alejandro, lavoro che ha garantito la continuità iniziata da importanti artisti negli atelier dell’UNEAC, dell’ICAIC e nella Casa delle Americhe, o nell’Atelier Sperimentale del Callejón del Chorro, o successivamente di René Portocarrero che ha privilegiato la serigrafia.

 

Anche il procedimento serigrafico era presente all’ENA sotto l’orientazione di Julio Pérez Medina, che collaborò pure con l’Atelier Portocarrero, così come il linoleum e tante opere alternative che emersero quando i materiali abituali degli atelier si volsero sempre più scarsi.

 

Il bisogno di sperimentazione è inseparabile dalla natura creativa e ricercatrice che ha caratterizzato il progetto artistico-pedagogico dell’ENA condotto fin dalla sua fondazione da un gruppo di avanguardia, e che si è mantenuto, tra alti e bassi, in tutta la sua esistenza.

 

La forza tecnica e artistico-pedagogica di quei primi maestri e dei loro alunni resero possibile il fatto che l’Incisione si affermasse come specialità nel 1974 e che vedesse i suoi primi laureati nel 1980-81. Ciò a sua volta stabilì le basi per una continuità specializzata nell’Istituto Superiore di Arte (ISA) con artisti-pedagoghi come Luis Miguel Valdés, laureato dell’ENA, nella quale fu anche professore insigne nella specialità, e che fu fondatore del dipartimenti di grafica nell’istruzione superiore.

 

In tale ambiente creativo, di sperimentazione e ricerca artistica, l’allora studente Juan Ramón Chacón arrivò alla monotipia attraverso testi trovati nella nutrita Biblioteca di Arti Plastiche dell’ENA, quando internet era ancora un sogno come pure le altre vie di informazione o aggiornamento telematiche. La ricerca o consultazione delle fonti bibliografiche esistenti era una pratica quotidiana, regolare e sommamente produttiva tra gli studenti, e completava o estendeva le conoscenze che derivavano dalle lezioni teoriche e pratiche, o attraverso le insostituibili critiche collettive dei lavori di classe così come di quelli di libera creazione, ai quali si sommavano anche il dialogo critico e sistematico rispetto alle esposizioni o con qualsiasi altro evento culturale, la lettura di letteratura di ogni tipo ed i dibattiti che in modo spontaneo si realizzavano con una certa regolarità nelle case di alcuni ex ed attuali professori dotati di intelligenza e cultura.

 

Con la monotipia che questo studente investigò come via espressiva, Chacón realizzò alcuni dei suoi primi lavori extra-curricolari, e già laureato, nel 1978, come professore nella Scuola di Arti Plastiche di Bayamo, non l’abbandonò, anzi, ne fece uso nella sua prima esposizione personale nel vestibolo del Teatro Nazionale e del Karl Marx alla fine del 1980, e che passò poi allo spazio del Museo Nazionale delle Belle Arti nel gennaio del 1981, presentata col nome di Monotipie di Juan Ramón Chacón Zaldívar. Lo stesso titolo chiama all’attenzione, più che verso una tematica o idea particolare, verso quella tecnica poco usata allora, che nella sua compilazione include un lavoro dedicato alla proposta artistica di Chacón. Il successo innovatore è tale che questo critico si sofferma sulla spiegazione del procedimento: “consiste, a grandi linee, nel dipingere una superficie piana, collocarle una cartolina e dipingerle sopra, in modo che il disegno resti impresso per la pressione sul lato contrario. Diventa così un incrocio tra il disegno e l’incisione: del primo prende il carattere di opera unica, non riproducibile, e il lavoro diretto sul supporto. Del secondo l’applicazione non diretta del pigmento, l’uso di un elemento intermediario – la superficie tinta – tra il supporto e la mano dell’artista, così come la notevole presenza dell’azzardo. Tale ultimo carattere gli conferisce un fascino peculiare”.

 

Ma Chacón non è uno sperimentatore a freddo. Non perde mai la prospettiva della sperimentazione come mezzo per ottenere una finalità espressiva che lo giustifica e supera. Mosquera segnala che tale volontà di sperimentazione gioca a suo favore ma avverte che i suoi risultati sono opere “di grande potere di suggestività caricata di espressione”. Così lo spiega Ángel Vázquez Millares, professore di Letteratura di quella “Media specializzata” che salvò un piano inflessibile e alieno alla natura della materia, quando, con le sue parole, il catalogo di quella esposizione nelle Belle Arti parla del “microcosmo umano” che propone l’artista-poeta e evidenzia anche il fatto che Chacón è un creativo che ha bisogno della motivazione concettuale o dello stimolo emotivo.

 

Questo ri-incontro con il mio antico alunno dopo trent’anni, mi permette di ricordare quel giovane esile che si sedeva silenzioso nell’ora di Storia dell’Arte, con un fare introverso e anche timido, ma dallo sguardo sagace e penetrante, che arrivò all’ENA da Mayarí, passando per Santiago de Cuba per essere artista. E confesso che presentivo che lui lo era di già, o che, almeno, era dotato di un qualcosa che è impossibile insegnare: la sensibilità.

 

Ed è proprio la maniera in cui tratta la monotipia che conferma ciò che ho appena detto. Il suo contatto diretto con il supporto gli permette di sfruttarla con la duttilità di un disegnatore, e gli effetti prodotti dalla stampa della tinta sulla sua superficie, raggiungono un’espressività che può arrivare ad essere per niente misurata, ma incisiva e dura come quella di un espressionista nato. Un’espressività nella quale l’artista stabilisce un equilibrio tra la parte figurativa e quella astratta, a mo’ di un Ashile Gorki, dice Mosquera, o tra il reale e il surrealista, come dice Vázquez Millares, o come un Acosta León, constatai di fronte alla collezione che fece Chacón dopo i fatti dell’aereo cubano a Barbados.

 

Tale collezione ci permette di osservare nel presente come quel giovane di 21 anni espresse nella sua natura artistica, la sua visione dell’impatto crudele. Fu proprio a partire da quell’esperienza con la monotipia espressiva che Chacón comincia a lavorarla in modo cosciente. Il dolore della tragedia, il fervore rivoluzionario che sentirono tutti i cubani degni di esserlo, il commovente duolo nella Piazza della Rivoluzione, il pianto virile e la condanna all’ingiustizia, costituirono per lui una profonda motivazione. Ma Chacón non narra il fatto, non lo illustra né fa appelli.

 

Esprime il suo dolore e la sua rabbia con incisioni che quasi strappano la carta, attraverso macchie che si propagano dalla figura di un aereo straziato, a frammenti, che arriva a prendere sembianze zoomorfe, antropomorfe, e fitomorfe, che grida e reclama, che emerge vigoroso attraverso le gradazioni di grigio e la tessitura con la quale lo studente-artista è riuscito a dare una sensazione di materialità e presenza dell’oggetto, apprensibile, aspro e rovente, fondente, stridente come le lettere e le parole che colpirono la sua mente e che restano tracciate sulla superficie plastica, assieme ai vortici, ai numeri, alle fauci, alle macchie di colore che accentuano la sua esplosione di sentimenti.

 

Gli aerei di Juan Ramón non sono stati dimenticati: sono stati protetti, e vengono di nuovo alla luce. E neppure l’artista ha dimenticato le sue monotipie. Da 10 anni insegna a farle a San Alejandro, dove è professore del laboratorio facoltativo, per dare la possibilità ad altri studenti, come lo era lui in quel momento, di esprimere le loro nuove motivazioni.