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I prigionieri politici

degli Stati Uniti

 

 

9 aprile 2010 - aamicuba di Javier Rodriguez Roque - Prensa Latina

 

 

Gli Stati Uniti, molto preoccupati di trasformare in patrioti i detenuti comuni cubani mediante una campagna mediatica mondiale, risultano evidentemente all'oscuro dei diritti umani dei prigionieri politici che stanno nei loro carceri.

 

Milioni di parole sono state scritte o pronunciate in un breve lasso di tempo nei mezzi di diffusione  controllati da Washington per appoggiare questo attacco contro Cuba al quale partecipano i settori più conservatori latinoamericani ed europei.

 

È risultato molto difficile agli organizzatori di tale campagna convincere del carattere patriottico di elementi che si allontanano da una società basata sulla giustizia sociale per allinearsi per interesse economico con chi vuole distruggerla.

 

Ma, per di più, è troppo conosciuto il trattamento ricevuto da veri condannati politici negli Stati Uniti incarcerati per cause che hanno relazione con la lotta contro la disuguaglianza, lo sfruttamento, il terrorismo o l'oppressione.

 

Casi emblematici sono, per esempio, quelli degli statunitensi Mumia Abu-Jamal e Leonard Peltier, il primo con una pena di morte ancora non eseguita, ma che è rimasta pendente sulla sua testa per 27 anni in una cella di isolamento, e il secondo condannato a due ergastoli per la falsa accusa di aver ucciso due agenti del FBI.

 

Abu-Jamal, giornalista ed ex-militante del movimento Pantere Nere, denuncia continuamente quasi “ai piedi della forca” le inumane condizioni carcerarie in cui vive e anche Peltier, con gravi e dolorosi problemi di salute, le subisce e non conosce la clemenza.

 

E che dire delle notizie diffuse sull'arrivo in Georgia e in Svizzera di un gruppo di cinque uomini, che sono stati sequestrati e che per otto anni hanno subito torture e prigionia nel carcere di Guantanamo, liberati ora senza accuse né processi in quanto innocenti. In quella disumana installazione rimangono ancora altre 183 persone, per le quali non si è potuto provare nessun reato e che hanno trascorso un decennio delle loro vite isolati dal resto del mondo e senza nessun diritto legale per una decisione espressa dal governo nordamericano.

 

Anche un gruppo di una decina di indipendentisti portoricani condannati fino a 105 anni di prigione si trovano con denunce di visite ridotte delle loro famiglie, impossibilità di comunicare tra loro e rifiuti  persino di farli assistere alla funzione funebre di un  familiare.

 

Prigionieri politici sono, senza nessun dubbio, i cinque antiterroristi cubani che hanno ricevuto sproporzionate pene di carcere per essersi infiltrati in gruppi violenti di origine cubana che vivono in Florida, proprio per evitare azioni terroristiche contro il loro paese.

 

Antonio Guerrero, René González, Fernando González, Ramón Labañino y Gerardo Hernández sopportano non solo quelle ingiuste sanzioni, ma anche la crudeltà di impedire per 11 anni a un uomo la visita di sua moglie e a un altro per vari anni almeno di vedere sua figlia. La storia di questi uomini nelle carceri statunitensi passa attraverso isolamenti per lunghi periodi di tempo, collocazione in lontani centri penitenziari di diversi stati e processi pieni di illegalità con limitazioni alla loro difesa.

 

A niente sono valse le petizioni di 10 Premi Nobel e delle centinaia di personalità politiche e della cultura, di organizzazioni di diritti umani, congressi e governi di diversi paesi e persino sentenze di agenzie dell'ONU che hanno dichiarato arbitrarie la loro detenzione e il loro processo.

 

In questo caso nelle amministrazioni statunitensi hanno pesato di più i sentimenti di rancore verso una Cuba indipendente che gli appelli provenienti da tutto il mondo per la liberazione dei cinque.

 

Questa breve serie di esempi mette in crisi ogni tentativo di un accusatore senza morale di presentare la nazione caraibica come violatrice di diritti umani che rispetta scrupolosamente.