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La preghiera di Frankfurter

 

28 maggio 2010 - Ricardo Alarcon de Quesada INCONTRO INTERNAZIONALE GIUSTIZIA E DIRITTO  www.cubadebate.cu

 

 

Omaggio a Natalia Sánchez López,

portoricana ignorata come la sua patria

 

 

Al giorno d’oggi sono grandi le sfide per coloro che amano la Giustizia e il Diritto. Il nostro pianeta non è mai stato minacciato, come adesso, di distruzione. Ogni giorno ci aggrediscono notizie allarmanti che provano che l’egoismo insensato di pochi produce danni irreversibili all’ambiente, provoca lo sterminio di molte forme di vita e fa dell’umanità una specie in pericolo di estinzione. Molti esseri umani si estinguono ogni giorno per fame e per malattie prevenibili in un mondo disuguale e carente di solidarietà.

 

L’illusione di un ordine internazionale basato sui nobili principi e sui propositi della Carta di San Francisco scompare di fronte all’egemonia e all’arbitrarietà di coloro che si ricordano dell’ONU solo quando possono utilizzarla come strumento di guerra e di violenza riducendo in polvere gli ideali fondatori.

 

Urge il dialogo e la concertazione per salvare la vita e passarla alle generazioni future. Noi che ci ostiniamo a credere che un mondo migliore è possibile, lo sappiamo.

 

Ma lo sanno anche coloro che non solo cercano di chiudere il passaggio alla speranza ma, ancor peggio, spinti dall’avidità cieca, cercano di perpetuare un sistema internazionale che condurrà tutti verso l’abisso.

 

I potenti vogliono imporre l’incomunicabilità, l’isolamento, l’ignoranza. E’ questa l’essenza dell’uso che fanno della straordinaria espansione delle nuove tecnologie quelli che, cinicamente, si fanno chiamare “mezzi di informazione” o di “comunicazione”.

 

Nel 1969 alcuni giovani ricercatori muovevano i primi passi che avrebbero condotto, con l’andar del tempo, allo sviluppo di ciò che oggi conosciamo come Internet. Ma allora quello che si imponeva come moda era appena la televisione internazionale. Riconoscendo l’importanza di questo nuovo strumento e anticipando quello che sarebbe venuto dopo, Zbigniew Brezinzski aveva scritto allora che quei mezzi, agendo sull’individuo isolato, sprovvisto di un sindacato o di un giornale intorno al quale operare in modo organizzato, sarebbero stati capaci di “manipolare le emozioni e controllare la ragione”.

 

La manipolazione e il controllo delle emozioni e del pensiero si effettua in tre dimensioni integrate in un processo unico: nascondere la verità, falsificarla e disseminare la menzogna.

 

Cuba è stata ed è il migliore e il più prolungato esempio della manipolazione e del controllo così cari a chi era stato così franco quando era professore all’Università di Columbia - ma anche collaboratore dell’apparato “culturale” della CIA - prima di convertirsi in Assessore alla Sicurezza Nazionale dell’ultimo governo che a Washington non ha avuto paura del liberalismo.

 

Non sono pochi gli aspetti rilevanti della realtà cubana che restano occulti per molti milioni di persone specialmente nei paesi sviluppati, quelli in cui si fa credere alla gente di essere meglio informati di tutti. La lista delle realtà cubane che i “media” nascondono è troppo vasta e non cercherò di esplorarla adesso.

 

Parlerò solo di Gerardo Hernández, Ramón Labañino, Antonio Guerrero, Fernando González e René González. Cinque cubani che stanno per compiere ormai dodici anni di prigionia in carceri nordamericane, in condizioni particolarmente dure, pur non avendo commesso nessun crimine. In questo modo hanno trascorso il meglio della loro gioventù pur non avendo causato danni a nessuno.

 

C’è di più. Nelle loro prigioni, a quanto hanno certificato le autorità carcerarie, hanno insegnato ad altri prigionieri a leggere e scrivere, hanno aperto loro le strade dell’arte, della scienza e della letteratura, li hanno aiutati a sopportare la prigionia e a concepire una vita migliore.

 

A differenza dei loro compagni di carcere, ricevono a stento le visite dei loro familiari. Gerardo e René non hanno ancora incontrato le loro mogli in questo lungo periodo.

 

Perché i Cinque sono agli arresti?

 

Non è facile trovare la spiegazione sulla grande stampa. A rigore è impossibile per l’immensa maggioranza che dipende dai “media” per essere informata.

 

Torna alla memoria Félix Frankfurter e il suo nobile impegno perché si facesse giustizia per Sacco e Vanzetti, condannati a morte in un’altra fase di giudizio agli inizi del secolo scorso. Ancora risuonano le sue parole: “Please, read the transcripta” (Per favore, leggete i documenti).

 

Perché allora come ora, era tutto scritto, ma tenuto sotto silenzio dalle corporazioni che decidono quello che la gente deve sapere.

 

I Cinque sono stati condannati e patiscono una ingiusta e crudele prigione semplicemente perché hanno combattuto contro il terrorismo. Perché hanno sacrificato le loro vite cercando di impedire atti di terrorismo che contro Cuba e il suo popolo vengono portati avanti impunemente dal territorio degli Stati Uniti con la complicità delle autorità.

 

Non ci credete? Vi sembra esagerato?

 

Per favore, leggete i documenti. Il grande pubblico non lo fa perché lo hanno abituato a dipendere dai “media” che presumibilmente devono fare il lavoro di disseminare l’informazione. Ma i “media” non lo fanno, anzi fanno esattamente il contrario. Nascondono gelosamente l’informazione che posseggono.

 

Eppure, tutto è scritto a chiare lettere. Nel sito ufficiale del Governo degli Stati Uniti contro Gerardo Hernández Nordelo e altri.

 

Ci sono i documenti e gli altri allegati del caso dei nostri Cinque compagni. C’è l’accusa iniziale, le delibere del tribunale, le testimonianze dei testimoni, le prove presentate, le considerazioni finali di pubblici ministeri e di avvocati difensori, le assurde sentenze imposte agli accusati e l’interminabile e frustrante successione di appelli.

 

Lungo tutto questo processo, il Governo ha riconosciuto di aver agito contro i Cinque per proteggere i gruppi terroristi le cui azioni loro cercavano di evitare. Per favore, leggete i documenti. E’ stato il processo più lungo nella storia degli Stati Uniti ma non se ne occupa nessuna pubblicazione nazionale di quel paese. Sono sfilati davanti al tribunale noti terroristi che si sono vantati delle loro malefatte, si sono presentati a testimoniare Generali e Ammiragli e alti funzionari della Casa Bianca, ma le catene nazionali di televisione non gli hanno concesso un secondo delle loro trasmissioni. Oltre il sud della Florida si è imposto un impenetrabile silenzio.

 

Ma a Miami è stato esattamente al contrario. Giorno e notte la radio, la televisione e la stampa scritta non hanno rallentato una campagna di calunnie contro i Cinque e di minacce ai loro difensori e ai giurati. I “giornalisti” locali, con videocamere e microfoni, li hanno assediati e inseguiti nei corridoi del palazzo di Giustizia e fuori. I membri della Giuria hanno dichiarato di sentirsi intimoriti tanto che la giudice ha pregato il Governo di evitare quegli eccessi. Lo ha richiesto varie volte dall’inizio del processo fino alla sua conclusione sette mesi dopo. Ovviamente, le sue preghiere non sono state ascoltate.

 

Quello che allora non sapeva nessuno era che quei “giornalisti” di Miami erano pagati dal Governo con succose voci del bilancio federale. Si è saputo, nel 2006 quando è stata pubblicata una lista di “professionisti” e le date in cui avevano ricevuto la paga. Tutti i provocatori che, portando le credenziali della Stampa assediavano i membri della Giuria, tutti quelli che avevano inondato Miami con l’odio e la menzogna, erano e sono, in realtà, salariati ufficiali.

 

Questa scoperta è un’ulteriore prova della grave prevaricazione commessa dalle autorità nordamericane nel caso dei nostri Cinque compatrioti. Una prevaricazione che continua anche oggi. Il governo nordamericano continua a rifiutare di rendere pubblici i contratti sottoscritti con i citati “giornalisti” e altri dati importanti che getterebbero una nuova luce sulla terribile ingiustizia di cui sono vittime i nostri compatrioti.

 

La Pubblica Accusa li ha presentati come dei terribili nemici il cui proposito era niente di meno che quello di “distruggere gli Stati Uniti”. Lo hanno affermato i Pubblici Ministeri più di una volta fino alla conclusione del giudizio. Lo hanno ripetuto giorno e notte, per sette mesi, i “giornalisti” pagati e diretti dagli accusatori.

 

Dopo dieci anni di ardenti battaglie, la Corte d’Appello di Atlanta, unanimemente, ha deciso due anni fa che in quel caso nulla aveva messo in pericolo la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

 

La Pubblica Accusa li ha accusati di essere delle pericolose “spie” e il suo coro mediatico si è fatto eco di questa menzogna con tanta disciplina che ancora lo vanno ripetendo. La Corte d’Appello, tuttavia, ha determinato che nessuno dei Cinque aveva avuto relazione con informazioni segrete, che non c’era stato nessuno spionaggio in questo caso e per questa ragione ha annullato le pene imposte per questo delitto inventato e ha ordinato che tre degli accusati fossero risentenziati.

 

La Corte d’Appello, pur riconoscendo che era ammissibile annullare la sentenza imposta a Gerardo per la stessa falsa accusa di spionaggio, ha deciso di escluderlo dal processo di revisione della sentenza adducendo che contro di lui esiste un’altra condanna all’ergastolo con l’accusa infame di “cospirazione per commettere omicidio di primo grado”. Hanno dimenticato i giudici che a maggio 2001 la Pubblica Accusa, con un passo che ammetteva essere senza precedenti, aveva riconosciuto davanti a quella stessa Corte il suo fallimento nel cercare di provare l’accusa e aveva sollecitato all’ultimo momento di ritirarla. In quella circostanza, solo alcuni giurati, vittime del terrore, hanno potuto dichiarare Gerardo colpevole di un crimine che non esiste e per il quale un sistema profondamente ingiusto impone l’esagerata pena di due ergastoli più 15 anni.

 

Riassumendo, i nostri Cinque compatrioti stanno ormai per compiere dodici anni di prigione per due presunti delitti che non sussistevano per la Corte d’Appello e per lo stesso governo federale. Per questi “crimini” prefabbricati, i Cinque sono restati in prigione per un tempo che ha ecceduto quello toccato a individui che sono stati riconosciuti colpevoli, nello stesso periodo, di trasgressioni incomparabilmente più gravi come quella di spionaggio reale e in grande scala.

 

Frattanto, i noti terroristi contro i quali lottavano i Cinque, godono di libertà con la protezione delle autorità nordamericane. Questo è il caso di Luis Posada Carriles, ricercato dalla giustizia venezuelana per aver distrutto in pieno volo un aereo civile e assassinato a sangue freddo 73 persone che erano a bordo dell’apparecchio. Gli Stati Uniti fanno parte del Patto di Montreal per la Protezione dell’Aviazione Civile che stabilisce chiaramente che lo stato in cui si trova un accusato di questo tipo di delitto hanno solo due possibilità. Concedere l’estradizione verso il paese che ne faccia richiesta o processarlo per quel delitto come se fosse accaduto nel luogo in cui si trova “senza nessuna eccezione”.

 

Il Venezuela ha richiesto formalmente l’estradizione di Posada da più di cinque anni. Washington non ha risposto alla richiesta e non ha fatto assolutamente nulla per processarlo per questo crimine o per qualcuno degli altri delitti che lo stesso Posada si è preso la briga di descrivere nel suo libro di memorie e nell’intervista in prima pagina del New York Times. Lo si vede sorridente davanti alle telecamere alla testa di marce anticubane a Miami e mentre proferisce minacce bellicose.

 

Neanche il Presidente Obama ha risposto alla lettera che a dicembre del 2008 gli ha scritto l’allora Governatore di Portorico, nella quale rispettosamente gli chiedeva di dare istruzioni alla FBI per consegnare ai tribunali le prove nascoste per tre decenni degli omicidi di Santiago Mari Pesquera e Carlos Muñiz Varela. Le persone implicate in quel crimine camminano liberamente con Posada per le strade di Miami.

 

I nostri Cinque compatrioti sono innocenti, prima di tutto perché l’unica cosa che hanno fatto è stata cercare di scoprire, per evitarle, le azioni criminali che contro Cuba e il suo popolo vengono portate avanti dagli Stati Uniti con scandalosa impunità. Nessuno può negare che quelle azioni sono state compiute durante molti anni. Nessuno può ignorare neanche il diritto, la necessità di difesa di noi cubani.

 

L’ingiustizia contro i nostri Cinque compatrioti continuerà finché sarà impedito al popolo nordamericano di sapere la verità. Se la conoscesse, quel popolo obbligherebbe il Presidente Obama a fare quello che deve fare: ritirare le accuse e liberare immediatamente i Cinque, tutti e ciascuno di loro. Senza nessuna eccezione.

 

Ma i presunti mezzi di comunicazione impongono il silenzio.

 

Perché quei mezzi poco hanno a che vedere con l’informazione. In realtà sono strumenti di controllo ideologico al servizio dell’Impero.

 

Noi cubani abbiamo vissuto per mezzo secolo avendone la prova. E anche questo consta per iscritto in documenti ufficiali nordamericani parzialmente declassificati da non molto tempo. Già nel 1959 l’Amministrazione Eisenhower oltre a dare inizio alla guerra economica e alle azioni terroriste contro Cuba, si è dedicata a ”fabbricare opposizioni” nel paese e a promuoverle con “una poderosa offensiva di propaganda”. E’ stato così per più di cinquanta anni. Per favore, leggete i documenti.

 

Recentemente abbiamo assistito a un’intensificazione della campagna mediatica contro Cuba. L’hanno scatenata manipolando volgarmente la disgraziata morte di un prigioniero comune che aveva deciso di intraprendere uno sciopero della fame. Quella persona è stata trasferita in ospedale dove è stato fatto il possibile per cercare di salvargli la vita. Lo ha fatto l’unico popolo del pianeta che sopporta un blocco economico genocida che gli impedisce di acquistare molti farmaci e attrezzature sanitarie e che deve pagare cifre pesanti. Lo ha fatto un paese che, nonostante ciò, garantisce a tutti e a tutte, senza eccezione, l’assistenza medica gratuita. Niente di simile a quello che esiste nella maggior parte dei paesi da dove si profferiscono critiche contro Cuba, critiche che, mi dispiace dirlo, sono grossolane e ciniche.

 

Dove stavano coloro che ci censurano quando è cominciato lo sciopero studentesco a Portorico più di cinque settimane fa? Cosa hanno detto quando le autorità hanno assediato il recinto universitario e hanno soppresso i servizi di elettricità e di acqua? Hanno forse protestato quando la polizia ha maltrattato con violenza coloro che hanno cercato di portare cibo, acqua e medicine?

 

Quei ragazzi non hanno deciso un digiuno volontario in cerca di pubblicità. A loro viene imposto a forza. E i media tacciono vergognosamente.

 

Questa mattina è stata seppellita Natalia Sánchez López, un nome completamente ignorato fuori da Portorico. Lo ripeto con la speranza che mi stiano ascoltando dei rappresentanti dei media: Natalia Sánchez López. Magari prenderanno il coraggio di informare su questa donna di 21 anni che, dopo tutto ormai non può più protestare.

 

Natalia partecipava allo sciopero dell’Università di Mayagüez. Quel 24 maggio gli studenti erano stipati in un edificio caldo, con una sola porta, assediati dalla polizia che impediva l’accesso di acqua e cibo. La ragazza è svenuta, è stata portata in ospedale dove è morta il giorno dopo.

 

Ieri i suoi compagni hanno sfilato per le strade di San Juan in una impressionante manifestazione che ha ricevuto l’appoggio incondizionato del popolo. Gridavano con forza: “Siamo studenti, non siamo criminali”.

 

Lo stavano proclamando da 36 giorni in tutti e undici i recinti dell’Università di Portorico. Ma né il Parlamento Europeo, né i facili demagoghi, né i media a servizio dell’Impero hanno battuto ciglio.

 

Quante volte dovrà morire Natalia? Chi altri pensano di uccidere?

 

Voglio ripetere, a nome dell’Assemblea Nazionale del Poder Popular la nostra più decisa e completa solidarietà con la gioventù e con il popolo di Portorico che conducono questa bella battaglia per la libertà e la cultura. Loro ci fanno essere ottimisti rispetto al futuro. Verrà un giorno in cui Giustizia e Diritto non saranno solo nobili parole.

 

La Habana, 28.5.2010