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Bravo Moratinos

 

10 luglio 2010 - A.Riccio www.giannimina-latinoamerica.it

 

Ho sempre avuto in simpatia il generoso ministro degli esteri spagnolo, il bonario Miguel Amgel Moratinos, sensibile ai casi più spinosi della politica estera, pronto a non sottrarsi a questioni intricate come quella saharaui o, quella davvero tosta, dei dissidenti cubani. Anche grazie a lui, nell’assumere la presidenza pro-tempore della Unione Europea, la Spagna si è impegnata a risolvere una questione ingiusta e nociva, quella della Posizione Comune assunta dall’Unione nel 2001 nei riguardi di Cuba, messa in punizione per l’esecuzione delle condanne a morte di due dirottatori di un traghetto pieno di passeggeri. La Posizione Comune, voluta all’epoca proprio dall’ex premier spagnolo, il destrorso Aznar, nuoceva alla stessa Spagna che è uno dei partner commerciali principali dell’isola del Caribe ed ex colonia spagnola, ma anche a molti imprenditori europei, italiani compresi.

Ci ha lavorato molto il Ministro Moratinos, ma ha avuto una sponda abile ed importante, quella della Chiesa Cattolica cubana e del suo arcivescovo, il cardinale Jaime Ortega.

A partire dalla morte di Orlando Zapata, alcuni mesi fa, e dalla prosecuzione dello sciopero della fame di Guillermo Fariñas, accompagnati da una straordinaria attenzione da parte della stampa internazionale, la Chiesa cubana si è fatta portavoce e intermediario, dichiarandosi convinta dell’utilità del dialogo ed esprimendo opinioni favorevoli al governo di Raúl Castro o per lo meno, comprensive delle difficoltà – soprattutto economiche - del momento. Questa posizione si è rivelata importante perché ha offerto la possibilità di discutere fra cubani dell’isola, all’interno del paese e senza l’intromissione di voci spesso provocatorie, intransigenti e false, dall’esterno, voci che il governo cubano non è disposto a riconoscere come intermediarie.

Fra cubani, tutti ugualmente e sinceramente preoccupati del futuro del paese, tutti convinti dell’importanza di mantenere la sovranità nazionale, tutti orientati a cambiamenti che non buttino a mare le conquiste della rivoluzione, ma ne salvaguardino i valori, c’è stato intendimento.

Dalla Florida, dalla Spagna, dai luoghi in cui si concentrano i fuorusciti più intransigenti e agguerriti non sono mancate le critiche alla Chiesa cubana, le accuse di lasciarsi ingannare dalla prepotenza del regine, le ingiurie verso chi, come il vecchio economista Mesa-Lago, aveva partecipato ad un incontro di studio indetto dalla Curia la settimana scorsa e arrivando perfino a sostenere un’opposizione dura contro la proposta di legge al Congresso statunitense che consentirebbe finalmente i viaggi dei cittadini americani nell’isola e il commercio di prodotti alimentari.

Di tutto questo ha fatto piazza pulita la sensatezza e l’intelligenza dei mediatori, compreso il ministro degli esteri cubano, Bruno Rodríguez, che ha sostenuto numerosi incontri con Moratinos, e, naturalmente, lo stesso primo ministro Raúl Castro che ha incontrato Ortega ed ha consentito che partissero dalla Curia i comunicati ufficiali che annunciavano prima il riavvicinamento alle loro famiglie dei detenuti e la liberazione di uno di essi, e adesso la scarcerazione di circa cinquanta prigionieri. Adesso tocca all’Europa rivedere la Posizione Comune anche se l’editoriale di oggi del quotidiano più importante di Spagna, El País, in linea con la sua tradizionale politica anticubana, avvertiva: “Il ministro Moratinos si propone di presentare il risultato del suo viaggio come la prova che reclamavano i soci europei per modificare la posizione comune. Non è una decisione facile per i Ventisette, visto che il Governo spagnolo suggerisce di adottare una decisione politica in risposta a una concessione umanitaria. Se la UE non accetta, il regime castrista potrebbe indurire di nuovo la repressione, dato che ne mantiene intatti i meccanismi. Ma se la UE accetta, L’Avana sarà riuscita ad eludere la pressione internazionale dopo la morte di Orlando Zapata, mandando in esilio una cinquantina di prigionieri ed evitando qualsiasi passo avanti verso un’apertura reale. Con l’aggravante che dispone ancora di un centinaio di prigionieri politici per continuare a ricattare”. E così, i fautori del dialogo sono serviti: se Cuba addiviene alle richieste umanitarie sbaglia, se non lo fa, sbaglia due volte!

Comunque, non è la prima volta che prigionieri accusati di gravi reati politici vengono rilasciati: dal famoso caso Valladares in poi, le mediazioni di François Mitterand, di García Márquez e degli altri avevano consentito gesti di buona volontà. Questa volta, però, il caso non riguarda singoli casi ma l’insieme dei 47 dissidenti detenuti in quell’infausto 2003, quando dall’estero si scatenava sull’isola una pericolosa offensiva destabilizzatrice.

Non mi pare, però, che la buona volontà di un significativo numero di Premi Nobel e di altre personalità né la fitta campagna mantenuta in piedi da sette anni sia riuscita ad ottenere la liberazione dei cinque cubani prigionieri negli Stati Uniti e condannati con pesantissime accuse di spionaggio. Nel recente caso delle spie russe in USA, si è addivenuti ad un rapidissimo scambio, perfino fuori tempo e fuori moda; nel caso di Cuba, invece, non si intravede nessuna flessibilità.