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IL TRADUTTORE SI SCUSA PER GLI ERRORI 

 

I cambiamenti che

non funzionano

 

 

13.10.2010 - E.Ubieta Gomez www.giannimina-latinoamerica.it

 

 

E’ una logica rovesciata, però funzionale. Quelli che vogliono il capitalismo a Cuba sono “allarmati” per il supposto arrivo del capitalismo a Cuba.

 

E’ interessante verificare come i sostenitori del capitalismo muovano in blocco le loro pedine “di sinistra” e di destra, per denunciare la “vocazione” capitalista del governo rivoluzionario.

 

L’équipe lavora unita: “Il clan Castro sta riprendendo il suo progetto di restaurazione capitalista”, dice allarmato Haroldo Dilla su Cubaencuentro, (un progetto editoriale che si ripropone lo sgretolamento del socialismo); la bloghera della multinazionale PRISA, che predica apertamente soluzioni capitaliste a Cuba, denuncia l’esistenza di un “capitalismo di Stato”, accentratore e allo stesso tempo la possibile apertura decentralizzatrice.

 

Reclamano a grida i cambiamenti, però davanti al più piccolo movimento alzano l’indice accusatore. E’ funzionale questa logica, ma rovesciata e cinica: le critiche presuppongono indignazione por i probabili effetti sociali negativi (attenuati pur sempre dal socialismo cubano) delle misure annunciate, ma esprimono il desiderio che siano implementate con un contenuto radicale, capitalista, che, questo sì, comporterebbe effetti veramente devastatori.

 

Dicono che andiamo verso il capitalismo, perchè desiderano che noi si vada verso il capitalismo.

 

L’intenzione è concatenare tre punti di un discorso ambivalente, però solo apparentemente contradditorio:

 

1. il modello non funziona: che significa che il modello non funziona?

 

Per i rivoluzionari cubani, significa che il socialismo, per il quale non esistono modelli, deve perfezionarsi e adeguarsi alle circostanze dell’epoca e del contesto nazionale; per i propagandisti dell’imperialismo, significa che il socialismo è impraticabile. Le multinazionali della stampa trafficano con il significato dei termini modello e sistema, con l’intenzione di cancellare ogni possibile speranza di fattibilità di una strada alternativa al capitalismo.

 

“La riduzione dell’impiego pubblico a Cuba e le altre misure per promuovere l’iniziativa privata - annuncia euforico El Nuevo Herald - dimostrano il riconoscimento da parte del Governo cubano del fallimento del sistema in quel paese, ha detto questo martedì il sottosegretario di Stato per l’America Latina, Arturo Valenzuela”.

 

A questo fine hanno manipolato la frase di Fidel, che improvvisamente ha smesso d’esser presentato come “immobilista”, per vedersi assegnare l’impossibile ammissione che il socialismo non serve. E Fidel ribatte: “la mia idea, come tutti sanno, è che il sistema capitalista ormai non serve neanche per gli Stati Uniti nè per il mondo, un sistema che passa di crisi in crisi, e sempre più gravi, globali e ripetute, e da cui non può sfuggire. Ma come potrebbe servire un simile sistema per un paese socialista come Cuba”

 

2. è necessario il cambio: per i rivoluzionari cubani significa che il socialismo, cioè giustizia sociale e indipendenza nazionale, aiuti uno sviluppo più efficiente, nel contesto di un blocco economico non allentato in più di mezzo secolo e nel contesto di relazioni internazionali capitaliste; per l’imperialismo e i suoi portavoce significa che Cuba ritorni al capitalismo dipendente, al neocolonialismo.

 

3. poveri cubani, vanno verso il capitalismo, avanti cubani verso il capitalismo!

 

La strategia mediatica delle multinazionali è dar fiato al malessere sociale a fronte di qualsiasi  misura di cambio –anche per quelle che prima avevano riconosciuto come imprescindibili-, fingere stupore per situazioni che sono ben più gravi nei loro stessi Paesi d’origine, e convincere i milioni di uomini e donne che praticano una solidarietà indistruttibile che non c’è niente da difendere, che gli stessi cubani stanno smontando il sistema.

 

La nostra strategia è quella di far comprendere che il processo che si avvicina è pericoloso e doloroso, perché ci obbliga a camminare sul filo del rasoio, però non implica un’adozione vergognosa del capitalismo, a cui non ritorneremo.

 

La nostra strategia è dire sempre la verità.

 

Con ambiguità fuorviante, uno dei commentaristi abituali del blog del contro- rivoluzionario Hernández Busto - ammiratore confesso de W. Bush e suo protetto -, scrive sulla riduzione dei dipendenti a Cuba: “Se questa notizia riguardasse la Grecia, il Cile o il Nicaragua, già starebbero volando in aria gli autobus in fiamme e il popolo starebbe bruciando pneumatici per le strade…: compito homework per i pensatori”.

 

E’ un compito semplice, lo potrebbe risolvere chiunque sia capace di collegare due idee, chiunque tranne quelli che hanno le risposte programmate: queste misure in Grecia, Cile, Nicaragua o Spagna sarebbero applicate per incrementare i guadagni delle multinazionali e la ricchezza di un pugno di proprietari, non per proteggere gli interessi della società nel suo insieme, come accade a Cuba.

 

I cubani lo sanno; confidano nel socialismo, anche se lo criticano: per migliorarlo.

 

La Isla Desconocida, sett. 2010

 

Traduzione AsiCubaUmbria ( asicubaumbria@libero.it )