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Quello che Fassino non sa e

invece dovrebbe sapere

 

 

5 aprile 2010 - di Gianni Minà su Il Manifesto

 

 

Non mi stupisco che l'onorevole Fassino, ex segretario di coloro che si dicevano comunisti, sia stato il primo ad aderire all'appello lanciato il 20 marzo sulle colonne del Corriere della Sera da Pierluigi Battista perché venga intensificato l'assedio contro Cuba, usando il controverso argomento dei diritti umani. Come buona parte di quella che era la sinistra italiana, Fassino non ha mai capito molto non solo di America latina, ma dei diritti delle popolazioni del Sud del mondo e delle loro battaglie per la sopravvivenza.

Quando nell'ottobre del 2003 guidò la delegazione italiana al congresso dell'Internazionale socialista a San Paolo del Brasile, la prima cosa che fece fu di sollecitare un documento di critica alla rivoluzione cubana. Lo stesso Lula, eletto un anno prima presidente del Brasile, lo stroncò: «Non se ne parla nemmeno. Cuba, per noi latinoamericani è stata ed è, pur fra tante contraddizioni, un esempio di resistenza e dignità».

Fassino si era solo adeguato alla logica perdente del suo partito ben incarnata, tre anni prima, da Massimo D'Alema che a una riunione di partiti socialdemocratici messa in piedi in pompa magna a Firenze, invece di invitare Lula - da quasi vent'anni leader di oltre 50 milioni di brasiliani progressisti - scelse di far venire Fernando Henrique Cardoso, ex sociologo di sinistra diventato presidente di centrodestra del Brasile. Non fu una scelta lungimirante: nel frattempo Lula è stato eletto presidente per due mandati, ha lanciato il piano Fame Zero contro l'endemica indigenza di 60 milioni di brasiliani, ha rilanciato il suo paese come potenza internazionale, ha ottenuto l'organizzazione dei Mondiali del 2014 e delle Olimpiadi del 2016, ha sconfitto gli Stati uniti in una controversia nell'Organizzazione mondiale per il commercio che sancisce il suo diritto ad alzare i dazi contro molti prodotti degli Stati uniti, che supportano indebitamente i propri prodotti, falsando i mercati mondiali con l'ipocrisia del libero commercio. Non è più solo la Cina ad avere la forza di imporsi sugli Usa.

Fassino tutto questo non lo sa o finge di non saperlo. Inguaribile paladino dei diritti dei più forti, Battista gli ha fatto sapere che Lula, dopo il summit a Cancun dei paesi del continente latinoamericano, ha fatto tappa a l'Avana e si è persino fatto fotografare con Fidel e con Raul Castro, e questo proprio nei giorni della campagna mondiale - sollecitata dalla potente lobby cubana di Miami e dal gruppo Prisa, quello di El Pais - causata dalla morte di Orlando Zapata, detenuto in sciopero della fame vicino alle Damas en blanco. Le Damas sono state cantate ancora recentemente sui media italiani come paladine della democrazia, sempre su suggerimento del Pais (vicino ai socialisti in casa ma neocoloniale quando parla di America latina), dopo una manifestazione all'Avana in cui erano state insultate dalla folla. «Erano fans del regime»: sarebbe facile liquidare tutto in questo modo. La grande stampa occidentale lo fa da decenni, evidentemente senza successo, ma la realtà è che lo scontro non è più ideologico, anche se Pigi Battista o Mario Vargas Llosa tentano pateticamente di sostenerlo. Lo scontro è sull'elementare diritto a scegliere. Perché, infatti, un grande Paese dovrebbe avere il diritto di sovvenzionare con milioni di dollari una continua strategia della tensione in un altro Paese, come gli Usa fanno con Cuba da cinquant'anni? E tutto per un dogma ideologico: perché l'isola ha scelto il socialismo.

Cosa diremmo se la Spagna di Zapatero sovvenzionasse l'eversione in Italia contro il governo Berlusconi con 140 milioni di euro, ridotti quest'anno a 55 milioni a causa della crisi? Molti soldi vengono rubati dai cosiddetti comitati per la libertà a Cuba, come ha confermato un'indagine ordinata dal presidente Obama, ma molti sono invece investiti nel progetto di cambiare faccia a Cuba e accendervi malessere e tensioni.

La maggior parte dei dissidenti incarcerati nel 2003, quando il governo Bush tentò la spallata contro Cuba favorendo tre dirottamenti aerei e il sequestro del ferry boat di Regla, sono persone condannate per aver preso soldi dall'Ufficio d'interesse degli Stati uniti all'Avana. A parti invertite, negli Usa ciò procurerebbe l'arresto e l'accusa di alto tradimento. Per di più alcuni gruppi, come le stesse Dame in bianco, erano e sono tenuti in piedi da terroristi come Santiago Alvarez che recentemente, condannato a due anni e mezzo di carcere in Florida per possesso di esplosivi che secondo lui dovevano servire per attentati nell'isola, ha rivelato che l'ex capo dell'ufficio di rappresentanza Usa a Cuba Michael Parmly si era offerto di anticipare le sovvenzioni alle Damas nei mesi in cui Alvarez sarebbe stato in galera.
Anche Battista dovrebbe convenire che è difficile assegnare la dignità di dissidenti a gruppi come questi. Eppure dopo il Corriere, anche l'Unità ha lanciato il suo appello «per il rilascio di tutti i prigionieri politici» (e fortunatamente anche per «la fine delle anacronistiche sanzioni europee a Cuba»), raccogliendo firme anche a sinistra. E perfino il Fatto quotidiano, che non risparmia il sarcasmo alle posizioni berlusconiane del vicedirettore del Corriere, vi si allinea quando tuona contro Cuba, Venezuela e America latina, e recentemente ha ripubblicato un articolo del Pais che si domandava candidamente perché il paese di Zapatero non criticasse adeguatamente il regime cubano.

A volerla dare davvero, la risposta sarebbe stata semplice. José Maria Aznar, predecessore di Zapatero, oltre ad aver avuto sovvenzioni elettorali dai famigerati dirigenti della Fondazione cubano-americana di Miami, che ha favorito il terrorismo contro Cuba, è da sempre membro di quelle ambigue associazioni che si riuniscono ciclicamente, col patrocinio magari della Fondazione Adenauer, per decidere senza imbarazzi le strategie di ingerenza a Cuba e fare lobby ogni volta che l'Ue prende iniziative per inasprire l'isolamento della revolucion. Sono cose come queste che giustificano la diffidenza della nuova America latina verso l'Ue, organismo spesso ipocrita, disposto a concedere patenti di democrazia alla violenta Colombia di Uribe ma pronto a condannare «l'intransigenza» di Cuba. Senza mai chiedere agli Usa la ragione di un assedio lungo mezzo secolo, che ha già ricevuto 18 condanne dall'Assemblea dell'Onu.