HOME INFORMAZIONE
 

IL TRADUTTORE SI SCUSA PER GLI ERRORI

 

Giamaica-Cuba via Miami

 

26 giugno 2010 - G.Minà www.giannimina-latinoamerica.it

 

Il Governo della Jamaica, fedele amico degli Stati Uniti, per compiacere la volontà del potente vicino, dopo anni di tolleranza, il 26 maggio scorso ha mandato l’esercito nel quartiere di Tivoli Gardens per stanare Dudus, il potente capo della Shawer Posse, una storica organizzazione di narcotrafficanti.

 

Ne è seguita una vera e propria carneficina con settanta morti fra la popolazione del quartiere e tre fra i militari con episodi di brutalità poliziesca sconvolgenti. Alla fine di Dudus neanche l’ombra. E’ sbucato fuori solo ieri: fermato a un posto di blocco non ha opposto resistenza e oggi è già arrivato a New York dove verrà giudicato. Ha, però, rivolto un saluto ai suoi concittadini spiegando di non aver opposto resistenza per evitare ulteriori tragedie a Tivoli Gardens dove la gente lo aveva protetto e nascosto anche a costo della vita. Ormai molti anni fa, a Panama, per arrestare il narcotrafficante Manuel Noriega, presidente della Repubblica, gli Stati Uniti avevano addirittura bombardato un quartiere e messo a ferro e a fuoco la capitale. La guerra degli Stati Uniti al narcotraffico, pur condotta senza risparmi di mezzi e di violenza, non sembra aver fatto grandi progressi e la stessa Hillary Clinton ha dovuto riconoscere che, se da una parte gli Usa e la Dea prodigano mezzi e volontà in questa vera e propria guerra, dall’altra vendono armi agli stessi cartelli mentre quella popolazione è la principale consumatrice di droghe.

Fatto sta che a Jamaica nessuno si illude che con l’arresto di Dudus il problema sia risolto: fratelli, amici e concorrenti continueranno a svolgere le attività che lo stesso Dudus svolgeva essendo succeduto a suo padre, grande ras del traffico (ormai storico) di marihuana nell’isola dei rasta.

 

Di fronte a queste cose, è davvero grottesco l’atteggiamento di una grande parte del dissenso cubano che tanto attrae l’attenzione dei mass media. Proprio in questi giorni infuria una polemica violenta causata da una lettera, scritta a titolo personale dai 74 dissidenti dell’isola, i quali si dichiarano favorevoli all’approvazione di una legge nel Senato nordamericano volta a togliere la proibizione per i cittadini nordamericani di viaggiare a Cuba e altre restrizioni che costituiscono parte del complessivo embargo che da cinquant’anni strangola l’isola. Fra i firmatari compaiono i nomi illustri della blogger Yoani Sánchez e dell’oppositore Fariñas da più di cento giorni in sciopero della fame nella sua casa di Santa Clara.

 

Le ragioni degli oppositori più radicali sono che se si permette ai cittadini nordamericani di andare a Cuba, dei loro soldi se ne avvantaggerebbero i fratelli Castro per la loro sanguinaria dittatura. A queste ragioni ha dato una curiosa risposta il congressista Usa Saladrigas che in un talk show ha affermato che –da parte sua- preferiva che Cuba dipendesse economicamente dagli Stati Uniti che dal Venezuela, ma non ha convinto i suoi protervi interlocutori. Nella stessa trasmissione, in collegamento telefonico dall’Avana, il dissidente Humberto Palacios metteva in dubbio la firma di Sardiñas sul documento e sosteneva che l’attuale turismo italiano e canadese (come se quei turisti fossero dei complici del tirannico governo) non è certo paragonabile a quello degli onesti cittadini nordamericani per cui sarebbe ben contento di poter ristabilire buoni e privilegiati rapporti con gli Usa. Chiamato in causa, Sardiñas si è materializzato telefonicamente nella stessa trasmissione e, dopo aver dato notizie sulla sua salute (nella giornata cinque scariche di diarrea “fetida e verdosa”, ma pressione buona), ha confermato di aver approvato il documento e si è lamentato del fatto che tutti i firmatari sono stati oggetto di pesanti minacce da parte degli oppositori che, dentro e fuori dall’isola, mantengono un atteggiamento intransigente.

 

La storia del dissenso cubano è da sempre una storia di scissioni, litigi, divisioni, ricatti, invidie e gelosie. Gli oppositori dell’altra sponda, soprattutto da Miami e da Madrid, non si preoccupano di attenuare la loro violenta posizione conservatrice. A Madrid hanno manifestato davanti alla Nunziatura Apostolica contro il ruolo di mediazione che sta svolgendo il cardinale Ortega con qualche successo, e contro il viaggio di Dominique Mamberti, ministro degli Esteri del Vaticano, all’Avana, il quale non ha chiesto di far visita a Fariñas né alle Damas en blanco, ma ha partecipato ad un interessante incontro della X Settimana Sociale Cattolica insieme a studiosi di fama come l’anziano e prestigioso economista Carmelo Mesa-Lago cha ha lasciato Cuba nel lontano 1961, il gesuita Jorge Cela, il vicerettore dell’Università di Harvard Jorge Domínguez, ma anche il sociologo Aurelio Alonso, gli accademici Pavel Vidal e Omar Pérez, il direttore di “Temas”, Rafael Hernández. Un incontro di altissimo livello che conferma il grande lavoro che la Chiesa Cattolica cubana sta svolgendo da molti anni a questa parte e che può essere seguito nella loro pubblicazione “Espacio laical”.

 

Ma anche questo incontro non è piaciuto a dissidenti e oppositori che mal sopportano il ruolo da protagonista che sta svolgendo la Chiesa dopo il recente incontro di Ortega con Raúl Castro, la liberazione del detenuto Ariel Sigler e l’avvicinamento alle loro famiglie di un altro gruppetto di prigionieri.

 

Carmelo Mesa-Lago se ne è lamentato in un editoriale pubblicato da “El País” il 23 giugno, scrivendo: “Ma un settore minoritario estremista dell’esilio di Miami si oppone e chiama collaborazionisti noi cubano-americani che abbiamo partecipato alla Settimana Sociale Cattolica. Anche dentro Cuba c’è un settore (che un’importante autorità cubana definisce dinosauri e giacobini) che ostacola l’apertura e le riforme economiche. Questi due gruppi intolleranti e antagonisti sono uniti nella difesa dei loro interessi rispettivi e nello scontro, retroalimentandosi reciprocamente”.

 

 Di parere opposto (storicamente è un duro), il congressista federale cubano-americano Lincoln Díaz-Balart ha affermato: “Suggerirei a coloro che dicono che le sanzioni degli Stati Uniti non hanno funzionato, di ricordarsi di quello che faceva la tirannia cubana quando ricevevo cinque o sei milioni di dollari annuali dell’Unione Sovietica, una quantità simile a quella che ricaverebbe tutti gli anni dal turismo statunitense. Chiederei loro di ricordarsi delle centinaia di migliaia di prigionieri politici cubani [Amnesty International parla di duecento unità, n.d.r] durante l’era sovietica, e di ricordarsi anche di quello che ha fatto Castro a Grenada, in Nicaragua, in Angola, in Eritrea, ecc., quando disponeva di migliaia di milioni di dollari a discrezione”.

 

Questo congressista, a quanto pare, tergiversa la storia e non ha occhi per quello che gli Stati Uniti hanno fatto e fanno in America Latina e nel mondo