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IL TRADUTTORE SI SCUSA PER GLI ERRORI 

 

Vargas Llosa: grande

ed ingeneroso

 

13.10.2010 - G.Minà www.giannimina-latinoamerica.it

 

 

Per la qualità della sua opera letteraria, Mario Vargas Llosa il Nobel lo meritava già da tempo e invece ha dovuto aspettarlo, con molto rammarico, quasi trent'anni, da quando lo aveva vinto il suo amico di gioventù e poi avversario Gabriel García Márquez. Non sono un critico letterario come la bravissima Francesca Lazzarato e quindi non mi permetto di giudicare lo stile e le differenze narrative  di questi due colossi della letteratura mondiale.

 

García Márquez, forse, ha avuto in più il merito di raccontare, da Cent'anni di solitudine in poi, le viscere di un continente e di aver reso linguaggio mondiale una prosa figlia del cinema neorealista.

 

Ma volendo essere franco ed evitare gli interessati distinguo di questi giorni, credo che Vargas Llosa, al quale è piaciuto frequentare la politica molto più di Gabo, abbia creduto molto meno nel riscatto della sua gente, nel rinascimento di un continente, l'America latina, che proprio ora, dopo feroci dittature militari e presunti e corrotti governi democratici, condizionati dal nord del mondo, vive la sua primavera.

 

Peruviano e di recente  passaporto spagnolo, scelta che lo ha aiutato a vincere il premio Cervantes, l'autore de La città e i cani e de La guerra della fine del mondo, vive a New York.

 

E' possibile che i giudici del Nobel della letteratura, recentemente propensi a premiare scrittori definiti  “comunisti” come Fo, Saramago e Gunter Grass, vincitori nel '97, '98 e '99, abbiano in qualche occasione ignorato Vargas Llosa non tanto per aver abbandonato le idee di sinistra, che nutrivano la sua gioventù, ma per come si proponeva quando azzardava sentenze politiche e questo specie dopo essere stato sconfitto in Perù alle elezioni presidenziali del 1990 nelle quali, per poca chiarezza ideologica, non era riuscito a contrastare efficacemente Alberto Fujimori, che avrebbe inaugurato nel paese un'epoca di corruzione e terrore, con quasi settanta mila morti o desaparecidos.

 

Tutto nasce dal giudizio sulla rivoluzione cubana, che gli intellettuali latinamericani hanno continuato a indicare come esempio di resistenza e dignità in quel continente sempre colonizzato.

 

Vargas Llosa, che amò ed esaltò quella rivoluzione con molta partecipazione, dalla metà degli anni '80 cambiò idea e non gli riuscì più di essere generoso con quell'amore che tanto influenza ancora il continente.

 

Per esempio, Noam Chomsky, che il New York Times ha definito il più prestigioso intellettuale vivente, ha recentemente affermato che l'America latina è ora il continente più progressista del mondo.

 

Vargas Llosa, invece, non la pensa così, perchè non solo non sopporta Cuba o il Venezuela di Chavez, ma anche il Brasile di Lula, l'Argentina dei Kirchner, l'Uruguay dell'ex guerrigliero tupamaro Pepe Mujica o paesi rinati come la Bolivia e l'Ecuador, che hanno nelle nuove costituzioni  articoli che salvaguardano la natura come fosse un essere umano.

 

E questo dissenso lo esprime su El Pais, quotidiano spagnolo del gruppo Prisa, al quale detta la linea sull'interpretazione della nuova realtà del continente, una linea quasi sempre poco generosa per terre che faticosamente tentano di dimenticare il passato.

 

Così ogni settimana i media europei, che sull'America latina si ispirano a El Pais, raccontano il mondo che non va a genio a Vargas Llosa, ma che suggerisce speranze a  pensatori da Nobel come Eduardo Galeano o al poeta argentino Juan Gelman che, recentemente, ha ritrovato la nipote data, trent'anni fa, in affidamento alla famiglia di un poliziotto, prima che il figlio e la nuora scomparissero nell'orrore della dittatura argentina.

 

Vargas Llosa, al contrario di altri scrittori latinoamericani che hanno segnato la letteratura moderna, non è mai stato vicino a queste storie e forse questo ha acuito il risentimento di molti colleghi, in alcuni casi ingenerosi con lui.

 

Forse anche ai giudici del Nobel, a volte codini, sono arrivati gli echi delle polemiche che Vargas Llosa, volontariamente, accendeva.

 

Una volta assecondò il figlio, giornalista di un quotidiano di destra spagnolo, con un prologo stonato al suo libro Il cretino latinoamericano, che aveva l'illusione di schernire scrittori di grande impegno sociale come Galeano, Sepulveda, Paco Ignacio Taibo II, lo stesso García Márquez, che testardamente hanno continuato a denunciare i guasti del capitalismo nel sud del mondo, senza perdere mai la speranza di un cambio e senza smettere mai di avere fiducia nella gente.

 

Il libro si occupava perfino di persone come me, onorato in verità di essere complice di simili personalità. In questo elenco dei complici europei c'era anche Manuel Vázquez Montalbán, che rise molto di questa caduta di stile di Vargas Llosa.

 

Manolo aveva una rubrica fissa su El Pais, di cui rappresentava l'altra anima, e il suo divertimento più grande era smentire ogni settimana, nella sua colonna, i malumori di Vargas Llosa e il suo scetticismo sulla nuova America latina.

 

Purtroppo Vázquez Montalbán se ne è andato da questo mondo nell'ottobre del 2003 e non è stato più sostituito dalla direzione di El Pais.

 

Così, rendendo omaggio al talento di un grande scrittore, finalmente riconosciuto dal Nobel, credo sia giusto ricordare che questa attesa non è stata solo colpa dei giudici scandinavi, ma anche della controversa personalità di Vargas Llosa, rivoluzionario e comunista quando, quasi cinquant'anni fa, scriveva La città e i cani, e poi nell'età di mezzo, convinto di aver sbagliato tutto e quindi disposto coerentemente a cambiare idea, ma non preparato ad accettare che gli altri compagni della gioventù non lo facessero.

 

Quando, qualche anno fa, il grande scrittore peruviano fu invitato dal Festival di Venezia, Gillo Pontecorvo, allora direttore artistico, era in difficoltà perchè la sua scelta era criticata da alcuni retori della sinistra. L'antico portaordini della resistenza ai nazifascisti, comunista non pentito, mi chiese: “Che idea hai di Vargas Llosa?”. “E' uno scrittore inimitabile” risposi. “E allora è giusto che sia qui e che sia omaggiato” mi rispose Gillo.