Chávez, Evo e Obama

 

 

Interrompo i compiti che occupano la totalità del mio tempo in questi giorni, per dedicare alcune parole alla singolare opportunità che offre per la scienza politica il 66º periodo dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

 

Questo avvenimento annuale richiede uno sforzo speciale a coloro che svolgono le più alte responsabilità politiche in molti paesi. Per costoro costituisce una dura prova; per i dilettanti di quest’arte, che non sono pochi dato che danneggia tutti nella vita, è difficile sottrarsi alla tentazione d’osservare l’interminabile ma istruttivo spettacolo. Esistono, prima di tutto, infinità di temi sensibili e di conflitti d’interesse. Per un gran numero dei partecipanti è necessario prendere posizioni su fatti che costituiscono flagranti violazioni di principio. Per esempio: che posizione adottare a proposito del genocidio della NATO in Libia?

 

Qualcuno desidera lasciare prove che sotto la sua direzione, il governo del suo paese ha appoggiato il mostruoso crimine realizzato dagli Stati Uniti e dai loro alleati della NATO, i cui sofisticati aerei da combattimento, con o senza pilota, hanno svolto più di ventimila missioni d’attacco contro un piccolo Stato del Terzo Mondo che conta appena sei milioni di abitanti, apportando le stesse ragioni che ieri si utilizzarono per attaccare e invadere Serbia, Iraq, Afganistan e che oggi minacciano di farlo con la Siria o qualsiasi altro paese del mondo?

 

Non è stato precisamente il Governo dello Stato anfitrione della ONU che ha ordinò il massacro di Vietnam, Laos e Cambogia, l’attacco mercenario di Baia dei Porci, in Cuba, l’invasione di Santo Domingo, la guerra sporca in Nicaragua, l’occupazione di Granada, e Panama con le forze militari degli Stati Uniti e il massacro dei panamensi a El Chorrillo?

 

Chi ha promosso i colpi militari e i genocidi in Cile, Argentina e Uruguay, che costarono decine di migliaia di morti e di scomparsi?

 

Non parlo di cose avvenute 500 anni fa, quando gli spagnoli iniziarono il genocidio in America, o 200 anni fa, quando gli yankee sterminavano gli indiani negli Stati Uniti o schiavizzavano gli africani, anche se “tutti gli uomini nascono liberi e uguali”, come diceva la Dichiarazione di Filadelfia. Parlo di fatti avvenuti nell’ultimo decennio e che stanno accadendo oggi.

 

Questi fatti non si possono tralasciare nei ricordi e si devono ripetere quando avviene un avvenimento dell’importanza e del rilievo della riunione che si sta svolgendo nella Organizzazione delle Nazioni Unite, dove si pongono a prova l’onestà politica e l’etica dei governi.

 

Molti tra questi rappresentano piccoli paesi e poveri che necessitano appoggio e cooperazione internazionale, tecnologia, mercati e crediti che le potenze capitaliste sviluppate hanno maneggiato a loro piacimento.

 

Nonostante il monopolio svergognato dei media dell’informazione di massa ed i metodi fascisti degli Stati Uniti e dei loro alleati per confondere ed ingannare l’opinione mondiale, la resistenza dei popoli cresce e questo si può apprezzare nei dibattiti che si stanno sentendo nelle Nazioni Unite.

 

Non pochi leader del Terzo Mondo, nonostante gli ostacoli e le contraddizioni indicate, hanno esposto con coraggio le proprie idee e le loro voci, che emanano da governi dell’America Latina e dei Caraibi non contengono già l’accento da lacche e di vergogna della OSA, che ha caratterizzato i discorsi dei capi di Stato nei decenni passati.

 

Due di loro si sono rivolti a questo forum: entrambi, il presidente bolivariano Hugo Chávez, miscela delle razze che integrano il popolo del Venezuela ed Evo Morales, di pura stirpe indigena millenaria, hanno esposto i loro concetti in questa riunione, uno con un messaggio e l’altro a viva voce, rispondendo al discorso del Presidente yankee.

 

Telesur ha trasmesso i tre discorsi. Grazie a questo abbiamo conosciuto, dalla notte di martedì 20, il messaggio del Presidente Chávez, letto interamente da Walter Martínez nel suo programma ‘Dossier’. Obama ha pronunciato il suo discorso la mattina di mercoledì, come capo di Stato del paese anfitrione della ONU ed Evo ha pronunciato il suo nelle prime ore del pomeriggio della stessa giornata. Cercando d’essere breve, prenderò i paragrafi essenziali di ogni testo.

 

Chávez, che non ha potuto partecipare personalmente al Vertice delle Nazioni Unite, dopo 12 anni di lotta senza riposare un solo giorno, ponendo in pericolo la sua avita e danneggiando la sua salute, oggi lotta con abnegazione per la sua completa guarigione.

 

Era difficile, senza dubbio, che il suo coraggioso messaggio non toccasse il tema più sensibile della storica riunione e lo trascrivo quasi integralmente: “Dirigo queste parole all’Assemblea Generale della Organizzazione delle Nazioni Unite […] per ratificare, in questo giorno e in questo scenario il totale appoggio del Venezuela al riconoscimento dello Stato palestinese, al diritto della Palestina di divenire un paese libero, sovrano e indipendente. Si tratta di un’azione di giustizia storica con un popolo che porta dentro di sè da sempre tutto il dolore e la sofferenza del mondo”.

 

“Il grande filosofo francese Gilles Deleuze, […] dice con l’accento della verità: “La causa palestinese è prima di tutto l’insieme delle ingiustizie che questo popolo ha sofferto e continua a soffrire”, ed è anche, e oso aggregare, una permanente ed inflessibile volontà di resistenza che è già scritta nella memoria eroica della condizione umana […] Mahmud Darwish, voce infinita della Palestina possibile, ci parla dal sentimento e con la coscienza di questo amore : ‘Non necessitiamo il ricordo/ perchè in noi c’è il Monte Carmelo/ e nelle nostre palpebre c’è l’erba della Galilea./ Non dire: se corressimo verso il mio paese come il fiume!/ Non lo dire!/ Perchè stiamo nella carne del nostro paese /e lui è in noi”.

 

Contro coloro che sostengono, mentendo che quello che è avvenuto al popolo palestinese non è un genocidio, lo stesso Deleuze sostiene con implacabile lucidità: ‘In tutti i casi si tratta di fare come se il popolo palestinese non solamente non dovesse esistere, ma come se non fosse mai esistito. È come dire il grado zero del genocidio: decretare che un popolo non esiste e negargli il diritto all’ esistenza”.

 

“…la risoluzione del conflitto del Medio Oriente vuole, necessariamente, fare giustizia per il popolo palestinese e questo è l’unico cammino per conquistare la pace”.

 

“Addolora e indigna che coloro che hanno sofferto uno dei peggiori genocidi della storia, siano divenuti i boia del popolo palestinese; addolora e indigna che l’eredità dell’olocausto sia la Nakba e indigna, detto a freddo, che il sionismo continui ad usare il ricatto dell’antisemitismo contro coloro che si oppongono ai loro attacchi e ai loro crimini. Israele ha strumentalizzato e strumentalizza con vigliaccheria e vergognosamente la memoria delle vittime, e lo fa per agire con totale impunità contro la Palestina”.

 

“Quindi non è ozioso precisare che l’antisemitismo è una miseria occidentale europea, alla quale gli arabi non partecipano”.

 

Non dimentichiamo inoltre che è il popolo semita palestinese quello che soffre per una pulizia etnica praticata dallo Stato colonialista israeliano.

 

“…una cosa è respingere l’antisemitismo, e altro, molto differente, è accettare passivamente che la barbarie sionista imponga un regime di apartheid al popolo palestinese; da un punto di vista etico, chi respinge il primo, deve condannare il secondo”.

 

“… il sionismo, come visione del mondo, è assolutamente razzista. Le parole di Golda Meir, nel loro terrificante cinismo, sono una prova assoluta di questo : ‘Come restituire i territori occupati? Non c’è nessuno a cui restituirli! Non esiste quella cosa chiamata palestinesi. Non era come si pensa, che esisteva un popolo chiamato palestinese, che si considerava lui stesso come palestinese e che noi giungiamo, lo cacciamo e gli leviamo il suo paese. Loro non esistevano!”

 

“Leggete e rileggete questo documento che si conosce storicamente come Dichiarazione di Balfour dell’anno 1917: il Governo britannico si arrogò la potestà di promettere agli ebrei un territorio nazionale in Palestina, ignorando deliberatamente la presenza e la volontà degli abitanti. Va ricordato che in Terra Santa convissero in pace per secoli cristiani e musulmani, sino a che il sionismo cominciò a rivendicarla come di sua ed esclusiva proprietà”.

 

“Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, si esacerbò la tragedia del popolo palestinese, quando si consumò l’espulsione del suo territorio, e nello stesso tempo dalla storia.

 

Nel 1947, la vergognosa e illegale risoluzione 181 delle Nazioni Unite raccomandava la ripartizione della Palestina in uno Stato ebreo, uno Stato arabo e una zona sotto il controllo internazionale (Gerusalamme e Betlemme). Si concesse […] il 56% del territorio al sionismo per la costituzione del suo Stato”.

 

“Di fatto questa risoluzione violava il diritto internazionale e ignorava in maniera flagrante la volontà delle grandi maggioranze arabe, e il diritto all’autodeterminazione dei popoli si trasformava in lettera morta.”

 

“…contro quello che Israele e Stati Uniti pretendono di far credere al mondo attraverso le multinazionali della comunicazione, quello che è avvenuto e continua ad accadere in Palestina, diciamolo con Said, non è un un conflitto religioso: è un conflitto politico di marca coloniale e imperialista. Non è un conflitto millenario, ma contemporaneo; non è un conflitto nato in Medio Oriente, ma in Europa”.

 

“Qual’era e quale continua ad essere la sostanza del conflitto? Si privilegiano la discussione e la considerazione della sicurezza di Israele e per niente quelle della Palestina”.

 

“Così si può confermare nella storia recente: basta ricordare il nuovo episodio genocida scatenato da Israele attraverso l’operazione ‘Piombo fuso’, a Gaza.

 

“La sicurezza della Palestina non si possono ridurre al semplice riconoscimento di un limitato autogoverno e autocontrollo poliziesco nei suoi luoghi sulla riva occidentale del Giordano e nella Striscia di Gaza, lasciando al di fuori non solo la creazione dello Stato Palestinese sulle frontiere precedenti il 1967 e con Gerusalemme orientale come sua capitale, ma anche il compenso ed il conseguente ritorno in Patria del 50% della popolazione palestinese che è dispersa per il mondo intero, così come stabilisce la Risoluzione 194.

 

“È incredibile che un paese (Israele) che deve la sua esistenza ad una Risoluzione dell’Assemblea Generale, possa disdegnare tanto le risoluzioni emanate dalle Nazioni Unite”, ha denunciato Padre Miguel D’Escoto quando chiedeva la fine del massacro della popolazione di Gaza, alla fine del 2008 e al principio del 2009.”

 

“È impossibile ignorare la crisi delle Nazioni Unite. Di fronte a questa stessa Assemblea Generale sostenemmo nel 2005, che il modello delle Nazioni Unite si era esaurito. Il fatto che si sia posticipato il dibattito sulla questione della Palestina e che lo si sia sabotando apertamente, è una nuova conferma di quello”.

 

“Da diversi giorni Washington dichiara che vieterà nel Consiglio di Sicurezza quella che sarà la risoluzione maggioritaria dell’Assemblea Generale, il riconoscimento della Palestina come membro pieno della ONU. Assieme alle Nazioni sorelle che formano l’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America (ALBA), nella Dichiarazione di riconoscimento dello Stato palestinese, abbiamo deplorato già che tanta giusta aspirazione possa essere bloccata per questa via.

 

Come sappiamo, l’impero in questo ed in altri casi, pretende imporre un doppio standard nello scenario mondiale: è la doppia morale yankee che viola il diritto internazionale in Libia, ma permette che Israele faccia quello che vuole, trasformandosi nel principale complice del genocidio palestinese, per le mani della barbarie sionista. Ricordiamo le parole di Said, che mettono il dito nella piaga: Per via degli interessi d’Israele negli Stati Uniti, la politica di questo paese attorno al Medio Oriente è quindi israelo-centrica.

 

“Voglio terminare con la voce di Mahmud Darwish nel suo memorabile poema: ‘Sulla terra c’è qualcosa che merita di vivere: su questa terra c’è la signora della terra, la madre degli inizi / la madre dei finali. Si chiamava Palestina. Continua a chiamarsi Palestina./ Signora: io merito perchè tu sei la mia dama/ io merito di vivere. Continuerà a chiamarsi Palestina: Palestina vivrà e vincerà! Lunga vita alla Palestina libera, sovrana e indipendente!

“Hugo Chávez Frías

“Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela”.

 

Quando la riunione è iniziata la mattina dopo, le sue parole stavano già nel cuore e nella mente delle persone lì riunite.

 

Il leader bolivariano non è mai stato un nemico del popolo ebreo.

 

Uomo di particolare sensibilità, ha sempre detestato profondamente il brutale crimine commesso dai nazisti contro bambini, donne e uomini, giovani e anziani nei campi di concentramento dove furono vittime di atroci crimini e di un tentativo di sterminio gli zingari, che nessuno ricorda, senza dubbio, e nessuno mai menziona; ugualmente centinaia di migliaia di russi persero la vita in quei campi di sterminio, come razza inferiore nel concetto razziale nazista.

 

Quando Chávez è ritornato nel suo paese proveniente da Cuba, la notte di giovedì 22 settembre, si è riferito con indignazione al discorso pronunciato da Barack Obama nelle Nazioni Unite. Poche volte lo avevo sentito parlare con tanto disincanto si un leader che trattava con determinato rispetto, come una vittima della stessa storia della discriminazione razziale negli Stati Uniti. Non lo aveva mai credito capace d’agire come avrebbe fatto George Bush e conservava un ricordo rispettoso delle parole scambiate con lui nella riunione di Trinidad y Tobago.

 

“Ieri abbiamo ascoltato un insieme di discorsi, là nelle Nazioni Unite, discorsi precisi, come quello della presidentessa Dilma Rousseff; un discorso di alto valore etico come quello del presidente Evo Morales; un discorso che potremmo catalogare come un monumento al cinismo, il discorso del presidente Obama, che è un monumento al cinismo che la sua faccia rivelava, la sua stessa faccia era un poema; un uomo richiamando alla pace, immaginati tu, Obama richiamando alla pace: con che morale? Un monumento storico al cinismo il discorso del presidente Obama.

 

“Discorsi precisi e d’orientazione, abbiamo sentito: quello del presidente Lugo, e della presidentessa argentina, fissando posizioni coraggiose di fonte al mondo.”

 

Quando è iniziata la riunione di New York la mattina di mercoledì 21 settembre, il Presidente degli Stati Uniti, – dopo le parole della Presidentessa del Brasile che h aperto i dibattiti, e dopo la presentazione di rigore – ha occupato il podio ed ha iniziato il suo discorso.

 

“In sette decenni – ha iniziato dicendo- quando la ONU ha impedito che scoppiasse una Terza Guerra Mondiale, abbiamo continuato a vivere in un mondo marcato dai conflitti e piagato dalla povertà; quando proclamiamo il nostro amore per la pace e l’odio per la guerra, si continuano ad avere convulsioni nel mondo che ci pongono tutti in pericolo.”

 

Non si sa quale sarebbe il momento in cui, secondo Obama, la ONU impedì una Terza Guerra Mondiale.

 

“Ho assunto l’incarico in un momento con due guerre per gli Stati Uniti, una guerra contro l’estremismo, che ci ha portato alla guerra; in primo luogo, Osama Bin Laden e la sua organizzazione Al-Qaeda erano sempre liberi. Oggi abbiamo stabilito una nuova direzione: alla fine di quest’anno le operazioni militari in Iraq termineranno, e terremo relazioni normali con un paese sovrano, membro della comunità delle nazioni. Questa alleanza si rinforzerà con il rafforzamento dell’Iraq, della sua forza di sicurezza, del suo governo, del suo popolo e anche delle sue aspirazioni.

 

Di che paese sta parlando realmente Obama?

 

“Ponendo fine alla guerra in Iraq, gli Stati Uniti e i loro alleati cominceranno la transizione in Afganistan; abbiamo un paese in Afganistan che può assumere la responsabilità del futuro del suo paese, e mentre lo fanno noi togliamo le nostre forze e costruiamo

un’alleanza solidale con il popolo afgano. Non ci devono essere dubbi allora, che l’ondata della guerra si sta ritirando”.

 

“Ho assunto il potere quando migliaia di statunitensi servivano in Afganistan e in Iraq, ma alla fine di quest’anno questo numero sarà ridotto della metà e continuerà a diminuire. Questo è fondamentale per la sovranità, sia dell’Iraq che dell’Afganistan, ed è anche essenziale per il rafforzamento della ONU e degli Stati Uniti, come quando abbiamo costruito questa nostra nazione; inoltre stiamo andandocene da lì con una posizione forte. 10 anni fa c’era una ferita aperta e ferri ritorti, un cuore rotto nel centro di questa città. Oggi mentre si sta alzando una nuova torre che simbolizza il rinnovo di New York, oggi Al-Qaeda è sotto pressione come mai prima e la sua cupola è stata degradata; Osama Bin Laden, un uomo che ha ucciso migliaia di persone in decine di paesi, già non metterà più in pericolo la pace del mondo”.

 

Di chi fu alleato Bin Laden, chi lo addestrò veramente e lo armò per combattere i sovietici in Afganistan? Non furono i socialisti, nè i rivoluzionari, in nessuna parte del mondo!

 

“ È stato un decennio molto difficile […] ma oggi siamo all’incrocio della storia, con l’opportunità di muoverci in maniera decisiva verso la pace; per farlo dobbiamo tornare alla saggezza di coloro che hanno creato questa istituzione”.

 

“Le Nazioni Unite e la loro Carta, incitano ad unirci per mantenere la pace e la sicurezza internazionali”.

 

Chi ha basi militari in tutte le parti del mondo? Chi è il maggior esportatore di armi? Chi possiede centinaia di satelliti spie? Chi investe più di un bilione di dollari annuali in spese militari?

 

“Quest’anno è stato un momento di grandi trasformazioni, più nazioni hanno fatto passi avanti per mantenere la pace e la sicurezza e più individui stanno reclamando il loro diritto a vivere in pace e in libertà.”

 

Poi Obama ha citato i casi del Sudan del Sud e della Costa d'Avorio. Non ha detto che nel primo, le multinazionali yankee si sono lanciate sulle riserve di petrolio di questo nuovo paese, il cui presidente, della stessa Assemblea della ONU, ha detto che si tratta di una risorsa preziosa, ma non eterna, ed ha proposto un uso razionale e ottimale della stessa.

 

Obama non ha detto nemmeno che la pace, nella Costa d’Avorio, è stata raggiunta con l’appoggio dei soldati colonialisti di un eminente membro della bellicosa NATO, che sta lanciando migliaia di bombe sulla Libia. Poco dopo, ha menzionato Tunisi, attribuendo agli Stati Uniti il merito del movimento popolare che ha fatto cadere il governo di questo paese, un alleato dell’imperialismo.

 

Ancora più sorprendente, Obama pretende d’ignorare che gli Stati Uniti sono i responsabili dell’installazione in Egitto del governo tirannico e corrotto di Hosni Mubarak, che oltraggiando i principi di Nasser, si è alleato all’imperialismo, ha sottratto al suo paese decine di migliaia di milioni ed ha tiranneggiato questo valoroso popolo.

 

“Sino a un anno fa – ha affermato Obama- l’Egitto ha avuto un presidente per quasi 30 anni. Durante 18 giorni gli occhi del mondo sono stati puntati su Piazza Taghir, dove gli egiziani di tutte le fasce della società, giovani, bambini, donne, uomini, musulmani e cristiani domandavano i loro diritti universali. Abbiamo visto in quei manifestanti la forza della non violenza, che ci ha portato da New Delhi a Selma e vediamo che il cambio è giunto in Egitto e nel mondo arabo con mezzi pacifici.”

 

 

Fidel Castro Ruz

25 settembre 2011

Ore  19.36

 

 

 

Chávez, Evo e Obama

(II parte)

 

 

Se il nostro Premio Nobel si auto inganna, cosa che sta per provare, questo forse spiega le incredibili contraddizioni dei suoi ragionamenti e la confusione che semina tra i suoi ascoltatori.

 

Non c’è un minimo di etica e nemmeno di politica nel suo tentativo di giustificare la sua annunciata decisione di vietare qualsiasi risoluzione a favore del riconoscimento della Palestina come Stato indipendente e membro delle Nazioni Unite. Anche politici che non condividono per niente il pensiero socialista e guidano partiti che sono stati stretti alleati di Augusto Pinochet, proclamano il diritto della Palestina ad essere membro della ONU.

 

Le parole di Barack Obama, sul tema principale che oggi si discute nell’Assemblea Generale di questa organizzazione possono essere applaudite solo dai cannoni, dai missili e dai bombardieri della NATO.

 

Il resto del suo discorso sono parole vuote e carenti di autorità morale e di senso. Osserviamo per esempio quanto sono orfane di idee, quando nel mondo affamato e saccheggiato dalle multinazionali e dal consumismo dei paesi sviluppato, Obama proclama: “Per superare le malattie si devono migliorare i sistemi di salute. Continueremo a lottare contro il SIDA, la tubercolosi e il paludismo; ci dedicheremo alla salute degli adulti e dei bambini, perchè si deve scoprire e lottare contro qualsiasi pericolo biologico, come il H1N1, contro una minaccia di terrorismo o una malattia.”

 

“Le azioni in materia di cambio climatico: dobbiamo utilizzare le risorse scarse e continuare il lavoro di costruire in base a quello che si è fatto a Copenaghen e a Cancún, per far sì che le grandi economie continuino con il loro impegno. Insieme dobbiamo lavorare per trasformare l’energia, che è il motore delle economie, e appoggiare gli altri che avanzano nelle loro economie. Questo è l’impegno per le prossime generazioni.

 

E per garantire che le società sviluppino le proprie potenzialità, dobbiamo permettere che i cittadini sviluppino le proprie potenzialità”.

 

Tutto il mondo sa che gli Stati Uniti non hanno firmato il protocollo di Kioto e hanno sabotato tutti gli sforzi per preservare l’umanità dalle terribili conseguenze del cambio climatico, pur essendo il paese che consuma una parte considerevole e sproporzionata di combustibili e di risorse mondiali.

 

Indichiamo le parole idilliache con le quali pretende d’abbindolare gli uomini di stato lì riuniti: “Non c’è una linea retta, nè un solo cammino verso il successo; veniamo da distinte culture e abbiamo storie diverse, ma non possiamo dimenticare che quando ci riuniamo qui come capi di distinti governi, rappresentiamo cittadini che condividono le aspirazioni di base, le stesse: vivere con dignità e in libertà, avere educazione e opportunità, amare le famiglie, amare a venerare i loro dei; vivere in una pace che faccia sì che la vita valga la pena d’essere vissuta. La natura di un mondo imperfetto ha fatto sì che noi si apprenda questa lezione ogni giorno”.

 

“Perchè quelli che sono venuti prima di noi credevano che la pace è meglio della guerra e che la pace è meglio della repressione, e che la prosperità è migliore della povertà! Questo è il messaggio che viene non dalle capitali, ma dai popoli, dalla gente, e quando il pilastro di questa istituzione è stato posto, Truman è venuto e ha detto: Le Nazioni Unite basicamente sono l’espressione della natura morale, delle aspirazioni dell’essere umano. Viviamo in un mondo che cambia a grande velocità e questa e una lezione che non dobbiamo mai dimenticare. La pace è difficile, ma sappiamo che è possibile e per questo insieme dobbiamo deciderci, perchè questa sia definita dalle speranze e non dai timori.

 

Insieme dobbiamo ottenere la pace, una pace che sia duratura”.

 

Molte grazie.

 

Ascoltarlo sino al finale merita più che gratitudine: merita un premio!

 

Come ho già indicato, nelle prime ore del pomeriggio ha avuto la parola Evo Morales Ayma, presidente dello Stato Plurinazionale della Bolivia, che è entrato rapidamente nei temi essenziali.

 

“… c’è una chiara differenza sulla cultura della vita di fronte alla cultura della morte; c’è una chiara differenza su una verità di fronte a una falsità; una profonda differenza tra la pace e la guerra”.

 

“…sento che sarà difficile comprenderci nel campo delle politiche economiche che il capitale concentra in poche mani. I dati dimostrano che l’1% della popolazione nel mondo concentra il 50% delle ricchezze. Se esiste questa profonda differenza, come si potrà risolvere la povertà? E se non elimina la miseria, come si potrà garantire una pace duratura”?

 

“Da bambino, mi ricordo perfettamente che prima, quando avveniva una ribellione di popoli contro un sistema capitalista contro i modelli economici di saccheggio permanente delle nostre risorse naturali, i dirigenti sindacali e i leader politici che tendevano a sinistra erano accusati d’essere comunisti; per fermarli s’ interveniva militarmente contro le forze sociali: confine, esilio, massacri, persecuzione, carcere, accuse di comunismo, di socialismo, di maoismo, di marxismo-leninismo.

 

Ora che tutto questo è terminato, adesso, ci accusano di marxismo-leninismo, ma usano altri strumenti come il narcotraffico e il terrorismo”.

 

“Preparano interventi quando i loro presidenti, quando i loro governi, quando i loro popoli non sono a favore del capitalismo o dell’imperialismo. Si parla di una pace duratura. Come si avrà una pace duratura con le basi militari nordamericane ? Come si può avere una pace duratura con gli interventi militari?”

 

“A che servono queste Nazioni Unite, se qui un gruppo di paesi decide interventi e massacri?”

 

“Se vogliamo che questa organizzazione, le Nazioni Unite, abbia l’autorità per far rispettare le risoluzioni, dobbiamo allora cominciare a pensare nella rifondazione delle Nazioni Unite”.

 

“Ogni anno le Nazioni Unite decidono quasi al cento per cento delle nazioni, eccetto gli Stati Uniti e Israele, di sbloccare, di eliminare il blocco economico a Cuba, e chi fa rispettare questo? Ovviamente il Consiglio di Sicurezza non farà mai rispettare questa risoluzione delle Nazioni Unite [...] Non posso intendere come non si rispettino le risoluzioni in un’organizzazione di tutti i paesi del mondo. Cosa sono le Nazioni Unite”?

 

“Voglio dire che la Bolivia non volta le spalle al riconoscimento della Palestina nelle Nazioni Unite. La nostra posizione è che la Bolivia dà il benvenuto alla Palestina nelle Nazioni Unite”.

 

“Voi sapete, amabili ascoltatori, che io vengo dal movimento contadino indigeno e le nostre famiglie, quando parlano di un’impresa pensano che un’impresa ha molto denaro, guadagna molto denaro, è milionaria e non si può capire come un’impresa chieda allo Stato che le si presti il denaro per gli investimenti corrispondenti.

 

“Per questo vi dico che questi enti finanziari internazionali sono quelli che fanno affari con le imprese private, ma chi deve pagare per questo? Giustamente, sono i popoli, gli stati”.

 

“La Bolivia con il Cile: abbiamo una domanda storica per ritornare al mare con sovranità, al Pacifico con sovranità e per questo la Bolivia ha preso la decisione di ricorrere ai Tribunali Internazionali, per domandare un’uscita utile e sovrana sull’oceano Pacifico”.

 

“La Risoluzione 37/10 dell’Assemblea Generale della ONU, del 15 novembre del 1982, stabilisce che rivolgersi a un Tribunale Internazionale di Giustizia per risolvere litigi tra Stati non va considerata un’azione d’inimicizia”.

 

“La Bolivia si ripara nel diritto e nella ragione per rivolgersi ad un Tribunale Internazionale, perchè la sua chiusura è il prodotto di una guerra ingiusta, d’invasione. Domandare una soluzione nell’ambito internazionale rappresenta per la Bolivia la riparazione di un’ingiustizia storica”.

 

“La Bolivia è uno stato pacifista che privilegia il dialogo con i paesi vicini e per questo mantiene aperti i canali dei negoziati bilaterali con il Cile, senza che questo significhi rinunciare al suo diritto di accedere ad un tribunale internazionale”.

 

“I popoli non sono responsabili della mancanza di un’uscita marittima della Bolivia. Le cause sono l’oligarchia e le multinazionali che come sempre s’impadroniscono delle risorse naturali”.

 

“Il Trattato del 1904 non portò la pace e nemmeno l’amicizia, ma fu la causa della privazione per più di un secolo dell’accesso a un porto sovrano per la Bolivia”.

 

“…nella regione America si sviluppa un altro movimento dei paesi dell’America Latina con i Caraibi, io direi una nuova OSA senza Stati Uniti, per liberarci di certe imposizioni, felicemente, con la piccola esperienza che abbiamo in UNASUR. [...] già non necessitiamo, se c’è qualche conflitto tra paesi [...] che vengano da sopra o da fuori a mettere ordine.”

 

“Voglio anche approfittare di questa opportunità per un tema centrale: la lotta contro il narcotraffico: la lotta contro il narcotraffico, l’imperialismo la usa con fini nettamente politici. Se c’era un dirigente sindacale o un dirigente politico anti imperialista, per costui c’era lì la DEA, per implicarlo. Molti dirigenti, molti politici, ci siamo salvati da questo lavoro sporco fatto dall’impero per implicarci nel narcotraffico. Ancora oggi continuano a tentarlo”.

 

“Nelle settimane scorse alcuni media di comunicazione dagli Stati Uniti hanno scritto che l’aereo della presidenza era stato fermato negli Stati Uniti con tracce di cocaina. Che falsità! Cercano di confondere la popolazione, cercano di fare una campagna sporca contro il governo ed anche contro lo Stato. Senza dubbio, che fanno gli Stati Uniti? Squalificano la Bolivia e il Venezuela, ma che autorità morale hanno gli Stati Uniti per squalificare o qualificare i paesi, o paesi in Sudamerica o in Latinoamerica, quando gli Stati Uniti sono il primo paesi consumatore di droghe del mondo, quando gli Stati Uniti sono produttori di marijuana nel mondo, il primo produttore di marijuana del mondo [...] Con quale autorità possono qualificare o squalificare? È un’altra forma per intimidire e intimorire i paesi, per cercare di castigare i paesi. Senza dubbio la Bolivia, con molta responsabilità lotta contro, sta lottando contro il narcotraffico”.

 

“Nella stessa relazione degli Stati Uniti, cioè del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti si riconosce una riduzione netta della coltivazione della coca, che ha migliorato l’interdizione. Ma dov’è il mercato? Il mercato è l’origine del narcotraffico e il mercato è qui e chi squalifica gli Stati Uniti e perchè non hanno ridotto il mercato”?

 

“Stamattina il presidente Calderón, del Messico, ha detto che il mercato della droga continua a crescere. Questo perchè non c’è la volontà di sradicare il mercato [...] Facciamo una lotta con responsabilità condivise [...] In Bolivia non abbiamo paura e si deve anche terminare con il segreto bancario se vogliamo fare una lotta frontale contro il narcotraffico.”

 

“…Una delle crisi, al margine delle crisi del capitalismo, è la crisi alimentare. [...] abbiamo un piccola esperienza in Bolivia: si dà un credito ai produttori di riso, grano e soia con lo zero per cento d’interesse ed inoltre loro possono pagare con i prodotti il loro debito. Si tratta di alimenti o crediti blandi per fomentare la produzione. Senza dubbio le banche internazionali non considerano mai il piccolo produttore, non considerano mai le associazioni, le cooperative che possono apportare molto bene se si dà loro l’opportunità [...] dobbiamo terminare con il commercio detto di concorrenza.

 

In una competizione chi vince? Il più forte, quello che ha più vantaggi, sempre le multi nazionali, e che accade al piccolo produttore ? Che accade alla famiglia che vuole superarsi con l’uso del proprio sforzo? [...] in una politica de competitività, sicuramente non si risolverà mai il tema della povertà”.

 

“Ma, finalmente, per terminate questo intervento, voglio dire che la crisi del capitalismo è già impagabile [...] La crisi economica del capitalismo non è solo congiunturale, ma è strutturale, e che fanno i paesi capitalisti e i paesi imperialisti? Cercano qualsiasi pretesto per intervenire in un paese e per occupare le sue risorse naturali”.

“Stamattina il Presidente degli Stati Uniti ha detto che l’Iraq si è già liberato e gli iracheni governeranno. Gli iracheni potranno governarsi, ma il petrolio degli iracheni, adesso, in che mani è”?

 

“Hanno salutato, hanno detto che è terminata l’autocrazia in Libia, che adesso c’è la democrazia; ci potrà essere la democrazia, ma il petrolio della Libia, in che mani andrà adesso?[...] i bombardamenti non sono per colpa di Gheddafi o per colpa di alcuni ribelli, ma cercando il petrolio della Libia”.

 

“…Per questo la sua crisi, le crisi del capitalismo, la vogliono superare, la vogliono emendare, recuperando le nostre risorse naturali in base al nostro petrolio, in base al nostro gas, alle nostre risorse naturali!”

 

“Abbiamo un’enorme responsabilità: difendere i diritti della Madre Terra!”

 

“La miglior forma di difendere i diritti umani è, adesso, la difesa dei diritti della Madre Terra[...] qui abbiamo l’enorme responsabilità d’approvare i diritti della Madre Terra”.

“Di recente, 60 anni fa, approvarono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

 

Di recente, 60 anni fa, si sono resi conto nelle Nazioni Unite, che anche l’essere umano ha i suoi diritti. Dopo i diritti politici, i diritti economici, i diritti dei popoli indigeni, adesso abbiamo l’enorme responsabilità di come difendere i diritti della Madre Terra”.

 

“Siamo anche convinti che la crescita infinita in un pianeta finito è insostenibile e impossibile, il limite della crescita è la capacità degenerativa degli ecosistemi della Terra [...] facciamo un richiamo a[...] un nuovo decalogo di rivendicazioni sociali: nei sistemi finanziari, sulle risorse naturali, sui servizi basici, sulla produzione, sulla dignità e la sovranità e con questa base, cominciare a rifondare le Nazioni Unite, per far sì che le Nazioni Unite siano la massima istanza per la soluzione nei temi della pace, nei temi della povertà, nei temi della dignità e la sovranità dei popoli del mondo”.

 

“Speriamo che questa esperienza vissuta come presidente possa servire a qualcosa per tutti noi, così come io vengo ad apprendere da molti di voi, per continuare a lavorare per l’uguaglianza e la dignità del popolo boliviano.

Molte grazie.”

 

Dopo i concetti essenziali di Evo Morales, il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmud Abbas, al quale è stato concesso l’uso della parola due giorni dopo, ha esposto le drammatiche sofferenze degli abitanti della Palestina: “La crassa ingiustizia storica perpetrata con il nostro popolo... e per questo si è convenuto di stabilire lo Stato della Palestina in solo il 22% del territorio della Palestina e soprattutto nel territorio palestinese occupato da Israele nel 1967. Questo passo storico applaudito dagli Stati del mondo, ha permesso la condiscendenza sulla maniera di ottenere una contemporaneità storica che permetterà che si ottenga la pace nella terra della pace”.

 

“[...] Il nostro popolo continuerà con la resistenza pacifica popolare contro l’occupazione d’Israele, i suoi insediamenti e la sua politica di apartheid, contro la costruzione del muro d’annessione razzista [...] armato di sogni e slogan di fronte alla realtà dei carri armati, dei bulldozer e delle pallottole.

 

“Vogliamo dare la mano al governo e al popolo israeliani per l’imposizione della pace e io dico a loro: costruiamo insieme in maniera urgente un futuro per i nostri figli, nel quale possano godere la propria libertà con sicurezza e prosperità”.

 

[...] Costruiamo relazioni di cooperazione che si basino nella parità, l’equità e l’amicizia tra i due Stati vicini, la Palestina e Israele, invece di politiche d’occupazione, insediamenti, guerra ed eliminazione dell’altro”.

 

È passato quasi mezzo secolo da quella brutale occupazione promossa e appoggiata dagli Stati Uniti. Senza dubbio non passa giorno senza che il muro cresca, mostruosi strumenti meccanici distruggano le case palestinesi e alcuni giovani ed anche adolescenti palestinesi siano feriti o uccisi.

 

Quante profonde verità contengono le parole di Evo!

 

 

Fidel Castro Ruz

26 settembre 2011

Ore  22.32