La battaglia di Santa Clara
 

Il generale gioca con i treni
 

 

 

25.12.12 - Roberto Orihuela Aldama - Aldo Isidrón del Valle  dal libro “Il ritorno”, edizione in italiano della Casa Editrice Capitán San Luis – Traduzione Gioia Minuti www.granma.cu

 

 

Le due locomotive entrarono nel cortile dei Talleres de Ciénaga, tirando 18 vagoni con 300 soldati, 28 ufficiali e un armamento molto pesante: una mitragliatrice calibro 50, un cannone da 20 mm; 6 bazooka; 5 lanciamissili; 5 mortai da 60 mm.; 14 mitragliatrici calibro 30; centinaia di fucili, pistole e revolver.

 

Poche settimane prima il corpo d’ingegneria dell’esercito di Batista aveva iniziato nei Talleres de Ciénaga, all’Avana, la costruzione di quella fortezza militare, con l’obiettivo di rinforzare la potenza bellica delle truppe che a malapena riuscivano a contenere l’offensiva sferrata dalle colonne Ciro Ridondo, comandata da Che Guevara e Antonio Maceo, comandata da Camilo Cienfuegos.

 

Gli operai di Ciénaga e le loro organizzazioni sindacali boicottarono la realizzazione del progetto, ritardando l’opera, frustrando le truppe del presidio e facendo aspettar per una saldatura, la sistemazione d’un bullone o di altri elementi.

 

Il 23 dicembre infine il treno militare era pronto con le sue pareti blindate e tutta l’artiglieria, con le armi migliori. I suoi 300 soldati e 28 ufficiali, preoccupati ed esaltati iniziarono l’avventura e videro sfilare, guardando dalle strette fessure, il paesaggio di una Patria ostile. Molti non conoscevano i preparativi strategici dei ribelli che in poche ore li avrebbero posti tutti in condizioni di vita o di morte.

 

Un testimonio di quei giorni, Joaquin Betancourt, disse che il treno arrivò un pomeriggio ed era imponente con tutte quelle armi; la notte accesero potenti riflettori che si vedevano sin da Placetas.

 

La conferma dell’arrivo del convoglio militare per le riparazioni sulle vie di comunicazione, a carico del Corpo Ingegneri, che era il nome eufemistico che il regime aveva adottato per il bunker mobile, rese felice il generale Río Chaviano, capo militare del Terzo Distretto militare.

 

Il 28 dicembre il sole si stava intrattenendo per i preparativi del giorno vittorioso e sorse tardi, quando le truppe dei ribelli stavano abbandonando la città e mentre mettevano in pratica una nuova forma di guerriglia urbana, rompendo le sclerotiche strategie da caserma.

 

Il Comandante Guevara aveva fatto togliere le rotaie proprio là dove doveva passare il treno di Batista.

 

Betancourt ricorda che questo proposito: “Il treno chiamò con la campana la sua gente che stava sparando dalle alture della colline di Capiro sulla colonna del Che che stava avanzando sulla strada di Camajuaní. Poi il treno retrocesse a mezza macchina proprio verso il punto dove la guerriglia lo stava aspettando e deve aveva tagliato i binari(...)

 

La truppa che viaggiava all’interno dei vagoni ebbe appena il tempo di togliersi il fango dagli stivali militari. Il rumore che produsse il deragliamento fu assordante. Il treno blindato, speranza del comando generale di Batista, saltò con violenza fuori dai binari, strisciando sull’asfalto della strada e sull’erba di Guinea della ripida cunetta. Così iniziò quel combattimento che il Che avrebbe definito “molto interessante”.

 

Con la collaborazione della popolazione civile, gli uomini di Guile Pardo lanciarono decine di bottiglie Molotov contro il rivestimento metallico dei vagoni deragliati. Il fuoco accarezzò i fianchi dell’animale ferito e i soldati, agitati per l’ incidente, riuscivano appena a rispondere alla grandinata di piombo che gli arrivava addosso.

 

La giornalista Teresa Valdés scrisse nella rivista Moncada – edizione speciale del 6 ottobre del 1987 : “Con l’obiettivo di distruggere il morale dei soldati già sconfitti e per informarli che il capo della nostra truppa era il Che, Guile Pardo propose una tregua e organizzò un incontro tra i due capi rivali” (...)

 

Il Comandante Guevara mandò a cercare una macchina con l’altoparlante e due compagni dell’organizzazione urbana 26 di Luglio si presero il compito di trovarla. Lo stesso Guevara, parando con un microfono ai soldati della tirannia, li esortò a deporre le armi e ad evitare maggiori spargimenti di sangue.

 

Alla fine si decisero a conversare. Il Che si tolse l’arma, ma il comandante del treno tenne la sua. Quando lo avvisarono la consegnò. “Io voglio parlare dove i soldati non ci sentono”, chiese il batistiano e il Che accettò d’andare in un vagone. “Comandante, disse l’ufficiale di Batista, le dò la mia parola d’onore che se lei ci lascia tornare all’Avana non spareremo più nemmeno un colpo”.

 

Il Che sorrise. “Io credo alla sua parola d’onore, ma non voglio che queste pallottole uccidano altri cubani, nè qui nè là”. Il Che fissò un ultimatum, ma quelli si arresero prima.

 

Il 19 dicembre alle 19 i combattenti ribelli e i loro collaboratori iniziarono a togliere le armi e le munizioni dal treno nemico, per evitare che l’aviazione le potesse distruggere. Un bottino così straordinario. Santa Clara aspettava.