Cultura - cinema

 

 

I viaggi di Isabelle Huppert

 

 

7 maggio 2012 - Jaisy Izquierdo www.granma.cu

 

 

Isabelle Huppert, una delle più grande attrici francesi di tutti i tempi, si trova a L’Avana in occasione del quindicesimo anniversario del cinema francese a Cuba.

 

La vincitrice per due volte della palma d’oro di Cannes per le interpretazioni in "Violette Nozière" e "La Pianista", e vincitrice del premio Cesar per "La Cerimonia", condivide anima e corpo i complessi personaggi che, come una calamita, ci attraggono al grande schermo, il modo in cui ci rapisce quando la sua bassa statura si accresce nelle scene terribili, ed i suoi gesti controllati sfidano i tormenti interiori che scuotono un’ambiziosa "Madame Bovary" o una elettrizzante Marie che marcia verso la ghigliottina in "Un affare di donne".

 

Nonostante questo, Huppert confessa alla stampa cubana che, per lei, recitare non è difficile: "Credo che tutti i film sono più difficili da vedere da parte degli spettatori, che da fare, per parte degli attori".

 

Esprime quindi questo filo conduttore che unisce, secondo lei, il fine stesso del cinema, della letteratura ed del teatro, che non è altro che studiare precisamente i comportamenti dell’essere umano.

 

"Penso che il romanzesco permette di ricreare un’ampia gamma di comportamenti nella quale il compromesso sociale e la realtà umana sono separati da una linea molto sottile. Ho avuto l’opportunità di lavorare con registi che mi hanno sempre permesso di occuparmi del lato occulto dei personaggi".

 

Agli ordini dei più esigenti cineasti europei, come l’austriaco Michael Haneke, l’italiano Marco Ferreri, il polacco Andrzej Wajda ed i francesi Jean-Luc Godard e Claude Chabrol, Huppert confessa di aver lavorato senza affidarsi ad un metodo particolare per dare corpo al suo istrionismo.

 

"Tutto dipende dall’incontro con il realizzatore. Per questo motivo faccio una selezione del regista più che del personaggio, infatti mi interessa soprattutto la soggettività di una persona rispetto ad una storia, e a partire da questo costruisco tutto il ruolo che interpreterò".

 

Non mancano le parole di elogio per Chabrol che la convertì nella sua attrice feticcio e con il quale ha collaborato in sette progetti. "Oltre ad essere una persona generosa era anche molto fantasioso. ´Un affare di donne´ fu un regalo che Chabrol mi fece. Io gli dissi che in quel film volevo cantare, e lui mi rispose senza esitare, ´Allora, ti faremo cantare´. Per questo si ingegnò per creare un vincolo drammatico tra il canto e la trama. Questa voce che voleva farsi ascoltare doveva essere distrutta alla fine, e questo dava alla storia una tensione incredibile".

 

A differenza della pellicola di Chabrol, nel "La pianista", di Michael Haneke, fu fatto un lavoro preventivo affinché le mani dell’attrice fossero quelle che realmente suonavano i pezzi musicali sulla tastiera. "In questo caso la relazione con la musica era la metafora della sua relazione amorosa. La prima volta che lei ascoltava il giovane studente non le piaceva del tutto come suonava il pianoforte, e capisce dal suo modo di interpretare le composizioni che lui era più vicino alla seduzione che alla felicità, allo stesso modo di come sarebbe stata in seguito la sua maniera di amare", spiega Isabelle fornendoci alcune chiavi di lettura per avvicinarci al tormentato mondo di Erika, uno dei suoi personaggi più applauditi e controversi.

 

La Settima Arte viene vissuta da Isabelle come un viaggio interiore in universi personali. "Fare un film è un viaggio di vita. Quando questa nozione di viaggio interiore si arricchisce in uno reale, risulta un’esperienza incredibile. Mi piace fare film in qualsiasi parte del mondo. Andare verso l’ignoto, scoprire nuovi registi e paesi attraverso il cinema".

 

Forse è per questo che Isabelle non appartiene solo alla cinematografia francese, ed il suo percorso filmico l’ha portata ad altri scenari come le Filippine di Brillante Mendoza in "Captive", dove interpreta una missionaria cristiana presa in ostaggio insieme ad un gruppo di persone; ed in Corea del Sud con il regista Hong Sang-soo nel film "In another country", girato recentemente in una città vicino al mare, con pochissimi dialoghi, senza copione e con un cast ridottissimo.

 

"Credo che non importa il modo o il luogo, perché esiste un linguaggio universale per comunicare attraverso il cinema. Questa divergenza di sentimenti, di essere straniera ed allo stesso tempo sentirmi a casa, è una delle cose che maggiormente mi rendono felice del cinema", ha espresso l’attrice ricordando quella esperienza.

 

Alla domanda se è intenzionata ad cimentarsi dietro le telecamere risponde categoricamente di no. "Sono già abbastanza impegnata come attrice a sentirmi parte di ognuno dei film nei quali compaio, anche se questo potrebbe sembrare qualcosa di illusorio da parte mia. Convertirmi in regista significherebbe lasciare tutto alle spalle per cominciare una nuova vita".

 

Quindi fa una pausa, ed apre, come con i suoi personaggi, ad un margine d’incertezza: "Forse un giorno lo farò per pura curiosità, e nel farlo ovviamente reciterò nel film. Credo che filmare potrebbe soddisfare questo spazio vuoto che sentono tutti gli attori, perché nel fondo sanno che il film non appartiene a nessun altro che non sia il suo regista. Però questo vuoto forma parte, inevitabilmente, dell’essere attrice, e per questo l’unico modo di riempirlo è dedicarmi ad un altro personaggio. Ad un’altro. Ed un’altro ancora".