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IL TRADUTTORE SI SCUSA PER GLI ERRORI 

   

 

Se Wikileaks smaschera la bloguera ma

i nostri media non ne fanno cenno

Editoriale di Latinoamerica 117 ott-dic 2011 (4/2011)

 

 

17 febbraio 2012 -G.Minà http://www.giannimina-latinoamerica.it

 

 

David Angeli, un nostro lettore che, per la sua competenza sulla storia dell’America latina, ma anche per la sua ironia, si è guadagnato il diritto di pubblicare su questo numero della rivista un interessantissimo saggio sui 500 anni della colonizzazione culturale del continente [pag. 146], ci ha provocato, quando ha offerto il suo articolo, con un post scriptum molto accattivante: “Se non dovesse interessarvi il mio lavoro, vorrà dire che proporrò a Yoani Sánchez un articolo sul fatto che la mancanza di lacci fucsia per le scarpe e di orsetti gommosi a Cuba sia un’imperdonabile colpa della Rivoluzione”.

 

Il suo saggio “Piedras que son dioses [Pietre che sono dèi, ndt]” vale la pubblicazione per la sua profondità storica, ma anche per il merito di offrire l’occasione a questo giovane intellettuale di segnalare come le rituali note di malumore della bloguera cubana, incapace di leggere anche solo un dettaglio positivo nelle scelte della Revolución, rappresentino la barzelletta dell’interpretazione di un paese.

 

Yoani Sánchez, infatti, è molto conosciuta all’estero ma poco in patria, un po’ come succede ai “soliti” dissidenti cubani, secondo il parere dello stesso Jonathan Farrar, capo dell’ufficio di interessi degli Stati Uniti a l’Avana che [come ha recentemente rivelato Wikileaks, pubblicando la sua corrispondenza col Dipartimento di Stato] non ha nessuna fiducia nell’efficacia politica della dissidenza tradizionale, pur foraggiata generosamente da decenni proprio dall’ufficio che lui ora sovrintende. Farrar è così scettico da proporre al dipartimento di Hillary Clinton di provare magari a dare ancora più sostegno alla giovane bloguera. Vedessi mai il cambio generazionale potesse funzionare.

 

Quasi tutti i media italiani, ovviamente, hanno eluso questi particolari dei temi che Wikileaks ha svelato. Penso, da vecchio cronista che in molti casi si tratti dell’inguaribile e patetica abitudine di non disturbare le strategie convenienti agli Stati uniti d’America e a quel mondo, il nostro, che spesso di queste imprese è costretto a essere complice, se non vassallo, come per le guerre in Medio Oriente, irrisolte dopo più di 10 anni, o per la “storiaccia” di Gheddafi.

 

Insomma, l’ennesimo caso di colonizzazione politica, che fa seguito, in Sudamerica, a quella spagnola e portoghese e poi a quella più recente, dell’economia neoliberale.

La realtà è sempre più grottesca se si considera che, dopo la crisi innescata dalla criminale finanza speculativa degli Stati Uniti, a rischiare di più il baratro è l’Europa. Messa al muro, oltretutto, da meccanismi come le agenzie di rating cinicamente pilotate proprio dal capitalismo Usa che mira ad atterrare l’euro.

 

Ed è significativo, poi, rilevare che i paesi capaci in qualche modo di salvarsi sono il Brasile avviato a essere la quinta potenza economica del mondo, l’Argentina che dieci anni fa stava per fallire e si è salvata quando ha messo alla porta quelli del Fondo monetario, il Venezuela che nazionalizzando il petrolio trova le risorse per resuscitare un’umanità che prima di Chávez non era iscritta nemmeno all’anagrafe, la Bolivia e l’Ecuador che riscrivono Costituzioni dove chi offende la natura è punito come chi violenta un essere umano, e perfino Cuba che, cocciutamente fedele al socialismo, ha un Pil che cresce [+2,4%] più di quello dell’Italia [+ 0,8%], ancora per poco una delle componenti del G8.

 

Chi ha per anni ridicolizzato Cuba, presuntuosa isola dei Carabi che voleva governarsi con la cultura e senza il culto del mercato, dovrebbe forse avere ora qualche perplessità, specie considerando che questa America Latina che opta per un’economia più sociale ed equa è stata, per sua stessa ammissione, influenzata dall’esempio di resistenza di Cuba.

 

Non è sorprendente che non se ne sia accorta la “bloguera antisistema” che incassa 250mila dollari di premi in due anni, solo perché i “cattivoni” del suo governo non le hanno permesso di andare personalmente a ritirarli, come volevano gli organizzatori di quelle kermesse.

 

È scandaloso davvero che non se ne siano accorti i cosiddetti operatori della comunicazione del mondo occidentale, pronti a seguire le appendici della Cia come Usaid o Ned in ogni loro campagna contro Cuba. A questi cronisti, d’altra parte, è sfuggito anche che ad Haiti, dagli Stati uniti, sono arrivati decine di migliaia di marines ma non gli aiuti umanitari promessi, mentre invece continuano a funzionare i due ospedali da campo inviati il giorno dopo del terremoto da Cuba, realtà riconosciuta pubblicamente dal Presidente di quell’isola martoriata, Michel Martelly, ma sistematicamente ignorata o elusa dai nostri media.

 

È “sfuggita” anche la testimonianza della Coordinatrice residente dell’Onu a l’Avana, che dirige le agenzie, i fondi e i programmi delle Nazioni unite sull’isola. Barbara Pesce-Monteiro, romana, ex allieva del liceo Virgilio, laureata in Scienze politiche internazionali con master in Sviluppo rurale, che ha lavorato in zone calde, prima in Colombia e poi in Guatemala, Nicaragua, Messico e Angola, ha ricordato alcuni meriti dell’isola, come il fatto che “tutti, nessuno escluso hanno accesso all’educazione dalla prima infanzia e fino alle più sofisticate specializzazioni”.

 

Non è da poco per un paese del Centro America, che già occupava un prestigioso 53° posto nell’Indice di sviluppo umano, quando questo si basava solo su dati economici, aver raggiunto, ora che l’Onu ha inserito in questo tipo di valutazione non solo l’economia ma anche la salute e l’educazione, il 17° posto mondiale, precedendo, in America latina, Cile e Argentina.