Nuestra America - Argentina

 

 

JORGE VIDELA, CRIMINI E MORTE

DI UN GENOCIDA LIBERALE

 

 

 

18.05.2013 - GENNARO CAROTENUTO gennarocarotenuto.it

 

 

 

Jorge Rafael Videla, il dittatore argentino dei 30000 desaparecidos, muore in carcere da sconfitto, da ergastolano, da genocida. Come ha detto Estela Carlotto, la leader delle nonne di Plaza de Mayo, «era un uomo disumanizzato» ed è fin troppo semplice applicare a lui la categoria arendtiana di «banalità del male» di chi mise metodicamente in atto un sistematico piano genocidiario, tendente al sequestro di persona di massa al furto di ogni bene mobile e immobile delle sue vittime, all’assassinio e alla sparizione di persone. Lasciò i figli senza genitori e i genitori senza figli. Ciò succede in molte guerre di sterminio, ma a Videla e ai suoi non bastava. Perciò, peculiarità creola dell’orrore, volle che i morti restassero senza nome, i desaparecidos, e i vivi -i figli di questi, spesso appena neonati- restassero senza identità. Le puerpere venivano lasciate in vita solo fino al parto e centinaia di bambini furono smistati a caso «per salvare la società Occidentale e Cristiana».

Non agiva da solo Jorge Videla. Molti sapevano, moltissimi appoggiavano, come la confindustria, le classi dirigenti, potenti amici come Licio Gelli. Qualcuno benediceva. Il nunzio apostolico Pio Laghi e il cardinale primate Raúl Primatesta erano intimi del genocida. Magari ci fosse un dio a giudicarli. Videla stava dalla parte dei buoni della guerra fredda, agiva all’interno di norme stabilite nell’ambito del Piano Condor, l’internazionale del terrore fondata con Augusto Pinochet e la complicità di Henry Kissinger. Questi invitò Videla a far presto nello sterminare l’opposizione, perché poi con Jimmy Carter non avrebbe avuto la stessa mano libera. Perfino le tecniche di tortura rispondevano a rigidi protocolli; sviluppate dai francesi tra Indocina e Algeria, gli statunitensi erano stati prima allievi e poi avevano superato il maestro –fino ad Abu Ghraib già nel nostro secolo- e docenti per 50.000 torturatori e assassini latinoamericani. Anche in altre culture e sistemi politici si tortura e si uccide, ma sulla carne dei torturati dell’ESMA e del Garage Olimpo c’è quel marchio di fabbrica.

Nel pensare Videla, nel pensare i desaparecidos, non possiamo espungere l’idea che sia la nostra civiltà occidentale, la nostra cultura, il nostro modello sociale ed economico ad aver generato un simile mostro. Nel pensare Videla non possiamo dimenticare che virus e anticorpi convivono nello stesso organismo e la difesa dei diritti umani non finisce con la morte in carcere di un genocida.

Jorge Videla muore da eversore mai pentito. Appena un mese fa invitava a prendere le armi contro il governo di Cristina Fernández de Kirchner, colpevole di aver instaurato - sue parole - «un regime alla maniera di Gramsci». Ma muore da ergastolano, muore solo come un cane in una cella di un carcere all’alba di una mattina d’autunno australe, incapace perfino di fare paura, lui che poté decidere la morte di decine di migliaia di persone. Muore solo e impresentabile, infame fino all’ultimo nel rivendicare di conoscere perfettamente la sorte di 7-8.000 dei 30.000 desaparecidos, ma scegliendo di portarsi nella tomba i segreti che avrebbero potuto alleviare l’angustia permanente di chi ancora cerca un indizio sulla sorte di un figlio, un genitore, un amico. Ben pochi oggi ne rivendicano l’eredità e appare perfino ingiusto il suo destino rispetto a quello del suo sodale in tutto Augusto Pinochet, il dittatore cileno, morto impune e confortato dall’affetto dei suoi clepto-familiari o da Henry Kissinger, che tra dieci giorni sarà un rispettato novantenne che mai pagherà per quell’inferno.

Giova sempre ricordare che non più di un ventesimo dei desaparecidos era guerrigliero, ammesso e non concesso che i guerriglieri meritassero quella sorte. Il 95% erano sindacalisti, studenti, giornalisti, giuristi, sacerdoti, militanti di sinistra, esponenti della società civile che dovevano essere spazzati via per permettere il più grande saccheggio della storia: l’imposizione del modello neoliberale, lo svuotamento delle ricchezze del paese, la loro svendita ai capitali finanziari transnazionali. Valga solo un dato: in Argentina, uno dei paesi più avanzati e ricchi al mondo, ancora nel 1972 c’era la piena occupazione. Nel 2002, calcolando disoccupati e sottoccupati, si sarebbe arrivati a un 42% reale di persone senza un lavoro degno. In un paese con milioni di ettari di terra fertile il neoliberismo reale portò a migliaia di morti per fame. Così non furono i desaparecidos né le inenarrabili violazioni di diritti umani la peggior colpa di Videla. La peggior colpa di questi e dei poteri economici che lo appoggiarono fu aver pianificato e perseguito la riduzione in miseria di milioni e milioni di esseri umani. Il genocidio fu prodromico all’imposizione del modello neoliberale. Videla fece il lavoro sporco disarticolando ogni resistenza sociale, sindacale, culturale.

Nonostante tutto la società argentina mantenne sempre vivi i propri anticorpi democratici. Dopo la caduta della dittatura, il coraggioso Raúl Alfonsín nell’83 istituì la CONADEP (la commissione d’inchiesta sui desaparecidos presieduta da Ernesto Sabato) e dichiarò l’incostituzionalità della Legge N° 22.924 di auto-amnistia firmata dalla Giunta militare poco prima di lasciare il potere. Quindi, con il Decreto 158/83 rese possibile il processo alla giunta. Punire i capi era più facile che perseguire i pesci piccoli. Quello che nell’85 condannò Videla all’ergastolo fu un processo di capitale importanza perché le Nazioni Unite recepissero la «sparizione forzata» di persone come violazione dei diritti umani. Prima non era così. Purtroppo era solo il primo round. Nel ‘90 il regime neoliberale di Carlos Menem avrebbe indultato Videla e gli altri, dopo aver messo un punto finale legislativo sulle violazioni dei diritti umani.

Fu il crollo inglorioso dell’Argentina neoliberale, alla fine del 2001, a riaprire la partita e portare al ribaltamento della politica dei diritti umani in un paese che aveva visto dilagare l’impunità dalla violazione dei diritti umani a qualunque altro contesto. Si è trattato del trionfo di trent’anni di battaglia per la verità e la giustizia portata avanti dal coraggio dello spezzone più avanzato della società argentina, simboleggiato dalle madri di Plaza de Mayo, che solo dopo la fine del regime neoliberale trovò la forza di farsi governo con la sinistra peronista dei Kirchner. Così l’Argentina recuperò una politica dei diritti umani encomiabile e tra le più avanzate al mondo. Già nel suo discorso d’insediamento Néstor mise le cose in chiaro: «Siamo i figli delle Madri e delle Nonne di Plaza de Mayo, e per questo motivo insistiamo nell’appoggiare costantemente il rafforzamento del sistema di protezione dei diritti umani, ed il processo e la condanna di quelli che li violino».

Non faceva propaganda il «flaco de la JP», il ragazzo della gioventù peronista massacrata da Videla divenuto presidente. Nel giro di pochi mesi smantellò per intero il contesto d’impunità e le leggi di Punto Finale e di Obbedienza Dovuta furono dichiarate dal Congresso «insanabilmente nulle».

Il primo a essere condannato fu il sinistro Miguel Etchecolatz, capo della polizia di Buenos Aires e responsabile di 21 campi di concentramento clandestini. Nei confronti di Etchecolatz per la prima volta in una sentenza in Argentina fu scritto che la condanna era emessa per il crimine di «violazioni di diritti umani commesse nel contesto di un genocidio». E così fu condannato il ministro dell’economia e uomo del Fondo Monetario Internazionale della dittatura José Alfredo Martínez De Hoz. Oggi in Argentina vi sono circa 3000 procedimenti penali ancora aperti e circa 650 repressori stanno scontando la loro pena, spesso l’ergastolo, in carceri comuni. Tra questi Jorge Videla che, ripristinata la sentenza dell’85, era già un ergastolano. Un altro ergastolo gli toccò per il piano sistematico di sottrazione di minori. Nello specifico per il sequestro di 18 bambini. Un terzo per l’assassinio di prigionieri politici a Cordoba. Infine era in dirittura d’arrivo la condanna per la sua responsabilità diretta nel Piano Condor, l’internazionale del Terrorismo di Stato che coinvolse tutti i regimi latinoamericani con il coordinamento di Washington.

Muore in carcere e da genocida Jorge Videla affogando nel rancore e nell’odio che nutriva per la società, per la diversità, per la bellezza. Non sono molti i paesi che, come invece può fare l’Argentina, possono dire di aver fatto i conti col proprio passato ed è per questo che il suo corpo di canaglia può marcire lasciando noi in pace. Per quanti passi ancora vadano fatti per rafforzare e difendere i diritti umani, in Argentina, in America latina, nel mondo, la morte di Videla non lascia un sapore amaro come quella dell’impune Pinochet, che pure dovette farsi passare per demente per sfuggire al processo. Con Videla giustizia è stata fatta.



Gennaro Carotenuto
Fonte: www.gennarocarotenuto.it
Link: http://www.gennarocarotenuto.it/23148-jorge-videla-crimini-e-morte-di-un-genocida-neoliberale/
18.05.2013

 

 

 

 

 

Le ultime confessioni di un dittatore

 

 

17.05.2013 - da Pagina 12 www.cubadebate.cu

 

 

 

Nel febbraio del 2012, la rivista spagnola Cambio16 ha pubblicato un reporJorge Rafael Videlatage su Jorge Rafael Videla, fatto dal sociologo Ricardo Angoso. In una nota successiva, il giornalista Horacio Verbitsky sottolineò l’ “enorme valore storico” di quell’intervista nella quale il dittatore rivendicò l’azionare delle forze armate, parlò dell’appoggio al golpe di alcuni partiti politici e della Chiesa Cattolica, ed ha considerato che gli indulti di Carlos Menem corressero l’ “errore” di condannare la repressione di Stato.

 

- Le forze armate hanno offerto quattro corsi di azione ed il governo giustizialista ha scelto il più drastico e rapido. Il presidente interino Italo Luder ha dato loro “licenza per ammazzare”.–Con questi ampi poteri “quasi non era necessario dare il golpe di Stato” che si è dovuto ad “altre ragioni”. Così allude al “peggiore crimine della dittatura, la miseria pianificata di milioni”, come ha scritto Walsh. – Il leader dell’opposizione, Ricardo Balbin, gli ha chiesto se erano “disposti a dare il golpe”.

 

Videla l’interpreta come un’altra licenza. “I radicali appoggiavano il golpe, stavano con noi”. “Anche gli imprenditori hanno collaborato”, per mezzo del ministro di Economia Martinez de la Hoz. –“La mia relazione con la Chiesa Cattolica è stata eccellente, molto cordiale, sincera ed aperta”, perché “è stata prudente”, non ha creato problemi né ha seguito la “tendenza di sinistra e terzomondista” di “altre chiese del continente”. Condannava “alcuni eccessi”, ma “senza rompere le relazioni”.

 

Col presidente della Conferenza Episcopale, Cardinale Raul Primatesta, perfino siamo “arrivati ad essere amici”. Sul conflitto interno che Videla chiama guerra, “anche qui siamo stati d’accordo”. – Inoltre “avevamo i cappellani castrensi assistendoci e non si è mai rotta questa relazione di collaborazione ed amicizia”. – Per la prima volta, Videla ha ammesso il metodo del sequestro di persone ed il suo posteriore assassinio. Il vocabolo scomparso che hanno usato per comodità, per non dare spiegazioni, è stato il “ricettatore di altre realtà”. Ha detto che così gli assassinati erano stati 7.000, lo stesso numero che ha riconosciuto Diaz Bessone. Ha aggiunto che “sappiamo quelli che sono morti ed in che circostanza”. – Ha considerato “corretto” la messa a fuoco dei tre livelli di responsabilità di Alfonsin che “si è adattato al diritto”, ha agito “con decoro” ed in “forma prudente”. Inoltre ha dettato le leggi di “punto finale” ed “obbedienza dovuta”. “Benché abbia commesso errori, la Giustizia funzionava”. – Menem ha emendato quegli errori ed “ha compiuto attraverso gli indulti”. – Il peggiore momento per i militari è successo “con l’arrivo dei Kirchner al governo. C’è stata un’asimmetria totale nel trattamento delle due parti affrontate nel conflitto”. – Oggi “la Repubblica è scomparsa”, perché non c’è giustizia, solo vendetta”.

 

 

 

L’Argentina ricorda i suoi

morti “desaparecidos”

 

 

  25.03.2013 - www.granma.cu

 

 

Le fotografie delle vittime della dittatura hanno aperto le manifestazioni con cui gli argentini hanno onorato la memoria del migliaia di scomparsi nel 37º anniversario del colpo di Stato del 1976.

 

Informa EFE che la folla in molteplici cortei si è data appuntamento nelle piazze delle principali città del paese, e soprattutto in Plaza de Mayo, a Buenos Aires.

 

La maggioranza dei presenti ha risposto alla convocazione realizzata dalle associazioni delle nonne, delle madri e dei figli dei “desaparecidos”, presenti nella giornata in cui il paese intero ha commemorato il Giorno della Memoria per la Verità e la Giustizia.

 

“Vogliamo mantenere viva la memoria e rendere omaggio alle vittime del genocidio.

L’adesione cittadina è sempre più numerosa alla consegna di non dimenticare”, ha detto Estela Carlotto, leader delle Nonne di Plaza de Mayo, riporta AFP.

 

Nel suo spazio della rete sociale Twitter, la presidentessa argentina, Cristina Fernández, ha animato i cittadini del suo paese a difendere con la fede e con la capacità d’amare: “Perchè non ci riempiano di odio, perchè non lo proviamo, ma non vogliamo nemmeno l’impunità”.