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Il traduttore si scusa per gli errori

 

 

 

Hugo Chávez, la sua storia

 

 

8.03.2013 - A. Riccio http://www.giannimina-latinoamerica.it/

 

 

La morte di Hugo Chávez, dopo un calvario lungo tre mesi, ha avuto un grande rilievo internazionale, a prescindere dalla vulgata che lo voleva “caudillo”, dittatore, ingannatore del suo popolo, amico dei peggiori capi di stato del mondo. Le immagini che giungono da Caracas e dall’America Latina, parlano di un grande lutto continentale e del dolore del popolo venezuelano e di tanti cittadini dell’America Latina e del Caribe, ma non solo, e questo dolore non puň essere taciuto. Sono fra quelli che hanno ammirato in Chávez il convincimento che un altro mondo fosse possibile avendo vissuto la sua infanzia e la sua giovinezza in un Venezuela dove le ricchezze immense del territorio restavano nelle mani di pochi, mentre troppi vivevano nella miseria e addirittura nella inesistenza degli indocumentati (cinque milioni di cittadini, secondo l’ONU).


La sua infanzia povera nei llanos venezuelani, i suoi sogni di riscatto che gli avevano dato accesso alla carriera militare grazie alle sue doti di giocatore di base-ball, la riflessione condotta insieme ad altri commilitoni sulla lezione di Simón Bolívar e sul suo progetto incompiuto di una America Latina federata e unita, lo avevano indotto a fondare il Movimento Bolivariano Revolucionario 200. Da allora, non ha piů smesso di preoccuparsi del destino del suo paese dove un Presidente pseudo socialista, Carlos Andrés Pérez faceva sparare sui dimostranti e dove una rivolta popolare contro le misure di austeritŕ, nel 1989, fu soffocata nel sangue. Quella rivolta, el caracazo, č stata forse la prima ribellione popolare contro le soffocanti misure di austeritŕ imposte dal neoliberismo. Tre anni dopo, quel tenente energico ed esplosivo, capitanava una sollevazione militare contro il governo, fallita miseramente. Condannato alla prigione, Chávez seppe trarre frutto da quegli anni di carcere in cui potč leggere, riflettere, meditare. Come per Fidel Castro, come per Nelson Mandela, anche per lui si puň parlare di una “prigione feconda”.


Nel 1998 č pronto per presentarsi alle elezioni che vince con il 56% dei voti. Da allora, e per 15 consultazioni elettorali, tranne una, ha sempre battuto gli avversari fino alla recente vittoria su Capriles, che si č dovuto accontentare di tre Distretti contro i venti assegnati al Presidente giŕ minato dal cancro eppure battagliero nella sua ultima campagna. Neanche il fulmineo colpo di stato del 2002, ordito dalla destra reazionaria e appoggiato dagli Stati Uniti, č riuscito a ostacolarne il cammino, eppure Chávez fu arrestato, trasportato su un’isola, comminato a firmare la sua rinuncia mentre, nell’ordine, la Santa Sede e gli Stati Uniti d’America si affrettavano a riconosce il golpista Cardona come nuovo Presidente. Una grossolana falsificazione degli avvenimenti drammatici che costarono dei morti in piazza, non riuscě a nascondere la veritŕ: il popolo venezuelano aveva stretto d’assedio la residenza presidenziale e aveva preteso e ottenuto la liberazione del legittimo presidente.


Una biografia limpida, quella di Chávez, ma una presenza politica nel paese, nelle Americhe e nel mondo molto ingombrante e disobbediente.


Ha avuto forza ed energia per affrontare grandi battaglie di trasformazione interna del paese, a cominciare dalla battaglia contro la miseria, l’analfabetismo, le malattie; battaglie che ha potuto affrontare grazie alla tenacia con cui ha impedito, in extremis, che il petrolio venezuelano venisse nuovamente privatizzato, alla sua spregiudicatezza nell’osare scambiare petrolio per medici, alfabetizzatori e tecnici della Cuba di Castro (ancora e sempre fra i paesi canaglia per gli Stati Uniti), al suo protagonismo fra i paesi produttori di petrolio. Oggi, in questo frastuono di opinioni fortemente discordanti, chi volesse sapere quali progressi ha fatto il Venezuela sotto la presidenza di Chávez, potrŕ andare a cercare i dati delle Nazioni Unite, fino a prova contraria, i piů obbiettivi.


La dura battaglia interna non ha tolto energie al Presidente che ha tessuto, nei quattordici anni di governo, una salda rete di alleanze e collaborazioni con molti paesi dell’America Latina attraverso la creazione di organismi e istituzioni indispensabili per assicurare l’autonomia del sub continente dal prepotente vicino del nord. La sua azione č stata decisiva per far fallire l’ALCA, il progetto statunitense che avrebbe legato mani e piedi le economie latinoamericane al carro yankee, a Mar del Plata nel 2005 insieme a Fidel Castro, Néstor Kirchner, Lula e gli altri nuovi, disobbedienti leaders del subcontinente. Ha dato impulso a una rete televisiva regionale, Telesur, a una banca, Bancosur, a Petrocaribe, a UNASUR (Unión de Naciones Suramericana), al Consejo Suramericano de Defensa, fino all’ultimo CELAC (Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeńos), dando avvio concreto a un’ipotesi di Unione Latinoamericana che era stato il grande sogno di Bolívar. E mandando a quel paese l’obsoleta Organizzazione degli Stati Americani, dopo aver regalato, durante l’ultimo vertice, Le vene aperte dell’America Latina di Eduardo Galeano, al nuovo presidente degli Stati Uniti, il mulatto Barak Obama, un metodo decisamente insolito, ma giusto, per trasmettere un messaggio semplice: cerca di conoscerci, di conoscere la nostra storia.


Morto Chávez, Obama ha dichiarato che “mentre in Venezuela comincia un nuovo capitolo della sua storia, gli Stati Uniti mantengono la loro politica per promuovere principi democratici, lo Stato di diritto e il rispetto per i Diritti Umani”, peccato lo avessero dimenticato quando hanno dato appoggio al golpe di Carmona e rifugio ai golpisti e all’ex Presidente corrotto Carlos Andrés Pérez, l’unico presidente ad essere stato scacciato da una sentenza dei giudici in quanto colpevole di “frode alla nazione”.