Como fu 60 anni fa?


Il centenario martiano

 

 

25.1.2013 - frammento dal libro “El Grito del Moncada” di Mario Mencía www.granma.cu

 

 

Con un ricevimento nel Palazzo Presidenziale, domenica 25 gennaio del 1953 iniziarono i festeggiamenti del governo golpista di Fulgencio Batista per il centenario martiano.

 

“Per incontrare esempi di tanta egregia condotta, è obbligatorio ricordare gli insegnamenti di Gesù e porre attenzione alle qualità politiche di patrioti come Hidalgo e come Lincoln”, disse Batista in un superficiale discorso, letto in 15 minuti, nel quale arbitrariamente fece un solo riferimento alla sua apparente ricerca dell’essenza martiana.

 

Tutto il resto fu una serie di luoghi comuni nel quale si spogliava Martí del suo pensiero rivoluzionario. Per il tiranno, il Martí da segnalare era beatamente tratto da un contesto di concordia della famiglia cubana, era quello della repubblica di pace e di armonia ottenuta ovviamente con il decisivo aiuto dei nostri vicini del nord.

 

Nemmeno l’evocazione della figura di José Martí frenò l’appetito depredatore di chi si era impadronito del potere. Si fece pagare al popolo il costo della commemorazione e gran parte del ricavato andò, come sempre nelle tasche di quegli arricchiti.

 

S’impose per decreto il pagamento di un giorno di salario ai dipendenti pubblici, due pesos per ogni professionista e, ancora più indignante, un centesimo per ogni bambino iscritto nelle scuole pubbliche e private.

 

Con un vergognoso contrasto, lo stesso 28 gennaio del 1953, il Diario di Cuba denunciava che ‘non esisteva una strada per giungere a Dos Ríos’, il luogo della morte in battaglia di Martí, avvenuta il 19 maggio del 1895.

 

Com’era abituale non mancò l’irritante spettacolo delle frivole e adorne signore sindachesse che consegnavano “ corredini martiani” a bambini poveri nati il 28 gennaio negli ospedali, con un risaputo torneo di fotografie con posa per la stampa.

 

La piazza davanti al Capitolio nazionale fu lo scenario della cerimonia del governo presieduto da Batista, la notte del 27 gennaio, con l’obbligata presenza del corpo diplomatico e decine di invitati stranieri.

 

Spiacevolmente, anche se con il cuore posto in Martí e non con i suoi traditori di turno, due grandi della cultura del continente, la cilena Gabriela Mistral e il cubano Fernando Ortiz, furono gli oratori di quella veglia.

 

Tra gli invitati era giunta a Cuba Maria Mantilla, che consegnò a Batista le catene che Martí aveva portato durante i mesi terribili della condanna politica nella sua gioventù.

Per quel motivo la stampa pubblicò una lettera che le avevano scritto le donne martiane. Tra vari paragrafi concentrati sull’importanza della patriottica commemorazione diceva l’appassionata protesta:

 

“Rileggiamo di nuovo “Il presidio politico in Cuba”, opera che non solo deve rendere orgoglioso il cubano, ma il genere umano stesso, e sentiamo che lacera il nostro cuore angosciato. José Martí portò queste catene alla caviglie e nell’anima, nell’anima dove stava anche lei Maria e Cuba intera, con un amore che sfidò il tempo, e senza dubbio non pianse, perchè non c’è diritto di piangere lacrime, mentre altri piangono sangue.

 

Oggi, se vivesse, piangerebbe nel suo cuore infinite lacrime, vedendo la sua terra senza libertà, senza giustizia, senza democrazia. Con tutto il male e tutto il bene che si presume concerne un governo costituzionale che si può sempre sostituire con uno migliore, mediante il voto, la Repubblica, Maria, soffre un’altra volta le catene della dittatura precisamente quando credevamo che già in Cuba era impossibile il ritorno al colpo di Stato e alla tirannia, e lei sa che José Martí scrisse migliaia di pagine condannando le disgrazie civiche accadute nella maggioranza delle repubbliche di quella che lui ha chiamato ‘Nuestra America’.

 

Lei non sa come si violano e si distruggono le case, si arrestano e privano della libertà uomini, bambini e donne, si mette la museruola alle voci più pure del paese, si mutilano le libertà di stampa, di parola e di pensiero, impedendo il libero movimento dei cittadini.

 

Tutto il paese vive nell’incertezza, aspettandosi il peggio. L’economia della nazione è entrata in crisi da quando l’usurpatore ha assunto con la forza meccanizzata dell’esercito i poteri pubblici.

 

In così tristi condizioni abbiamo visto celebrare ufficiosamente il centenario della nascita di José Martí, che avrebbe dovuto essere di glorificazione e d’esempio.

 

Lei, Maria, ha consegnato le catene che lacerarono Martí precisamente a chi ha posto le catene al popolo di Cuba. Dà dolore al nostro sentimento di donne cubane che rappresentiamo il meglio della coscienza nazionale, che questo sia successo”.