Le donne nell’assalto alla Moncada

 

 

29 agosto 2013 - Marta Rojas www.granma

 

 

Haydée Santamaría Cuadrado!", gridò il messo del tribunale.

 

Questo nome provocò nella sala un’intensa emozione, dato che questa donna era considerata da tutti i membri del tribunale la principale testimone della difesa, dopo Fidel.

 

Lo annotai nella quinta udienza di luglio, dopo i fatti della Caserma Moncada.

 

Lei e la dottoressa Melba Hernández Rodríguez del Rey furono le due donne che facevano parte del contingente di giovani rivoluzionari che con la guida del dottor Fidel Castro furono protagonisti delle gesta del 26 di Luglio del 1953.

 

Erano ansiosi di ascoltarla nel processo, perchè le due ragazze facevano parte della retroguardia diretta da Abel Santamaría, il secondo capo del Movimento,  passato alla storia come “la generazione del centenario di Martí”.

 

Furono le due testimoni più intense dei crimini commessi contro il gruppo più numeroso dei combattenti, la mattina del 26, quello che con Abel Santamaria Cuadrado e una ventina di compagni occupò l’Ospedale Civile Saturnino Lora.

 

Solo le due ragazze videro uscire vivi tutti i compagni, includendo il dottor Mario Muñoz, assassinato davanti a loro  mentre lo portavano alla caserma, a un isolato dall’Ospedale Civile.  Non riuscirono a farle tacere.  Haydée disse: "Abel ripeteva sempre: quello che non deve morire assolutamente è Fidel! Lui è quello che deve vivere! Se Fidel vive, la Rivoluzione trionferà!” Lo ha detto a me e a Melba nell’Ospedale, quando si e reso conto che  l’assalto a sorpresa era fallito”.

 

Il tribunale aveva fatto uno sforzo per non farla dichiarare. Sapeva sin da prima che le sue accuse sarebbero state pesantissime. Il giovane avvocato d’ufficio, Baudilio Castellanos, il difensore, voleva che fossero assolte.

 

Avevano  a loro favore il fatto che si accettava giuridicamente la loro presenza nell’Ospedale come infermiere, “motivo nobile” assieme al dottor Muñoz e il “motivo nobile” era un’attenuante, ma Haydée insisteva per essere processata e condannata come Melba e gli altri compagni sopravvissuti. Insistette nel denunciare i crimini, con una forza incredibile.

 

Disse : "Una guardia ha domandato chi di noi era Haydée e gli ho risposto che sono io.  Allora mi ha chiesto chi era Boris e gli detto che è il mio fidanzato e gli ho chiesto dove li tenevano, perchè era uscito vivo dall’Ospedale come gli altri.  La guarda ha detto  che stavano in una stanza vicina e io gli ho chiesto cosa gli avevano fatto.  Mi hanno risposto cose che non vorrei dire davanti al tribunale, per pudore... mi hanno detto che gli avevano estirpato i testicoli per farli parlare. Uno ha aggiunto: ·Se non lo abbiamo ammazzato puoi ancora salvargli la vita. Dicci chi sono quelli coinvolti in tutto questo”. 

 

Io gli ho gridato: “ Se lui ha saputo tacere, non sarò io che lo tradirò adesso, criminali!”   Poi hanno detto ancora: “Se a tuo fratello mancava un occhio con una bugia, adesso gli manca davvero!” La guardia si riferiva al fatto che al gruppo di Abel, fallito l’assalto a sorpresa, le infermiere dell’Ospedale,  rendendosi conto che erano rivoluzionari e non soldati, anche se erano vestiti con le stesse uniformi, cercarono di salvare loro la vita vestendoli con  i pigiami dei malati, mettendoli  nei letti dell’Ospedale.

 

Abel lo portarono nella sala di oculistica anche de lui voleva continuare a combattere.  Haydé era molto pallida, vestita d nero. “Se vuole può smettere di dichiarare”, disse il Pubblico Ministero, ma lei continuò la sua denuncia con la fronte alta, cercando di controllare la sua emozione. In quella sala il solo suono percettibile era il timbro della sua voce che angosciava tutti.

 

Poi si ascoltarono le dichiarazioni di Melba, che denunciava i crimini e diceva a voce alta: “Fidel non era malato, quando lo hanno portato  via  dalla Sala!”

 

Il giovane avvocato accusato si era trasformato in accusatore. Fu lei che nella sua condizione di avvocata, portò di nascosto dal carcere di Boniato  al tribunale la lettera scritta da Fidel nella prigione, nella quale sosteneva di non essere malato, come si sosteneva per non farlo partecipare al processo in quella sala dove, dato c’erano molte persone, la sua voce risultava “troppo sconveniente”.

 

Sia Haydée che Melba facevano parte del nucleo centrale del Movimento Rivoluzionario da quando Fidel aveva conosciuto Abel,  e di fatto l’appartamento di 25 y O, nel Vedado, dove vivevano Abel e sua sorella, era divenuto il centro della direzione del Movimento.

 

 

Le altre donne

 

 

Sin da quei giorni di preparazione altre donne cubane  parteciparono, a favore di "quel che veniva", in diversi compiti, tra i quali  la confezione delle uniformi, nell’appartamento dei genitori di Melba, e tra queste sua madre, Elena Rodríguez del Rey; Elita Dubois, moglie di José Luis Tasende, Nati Revuelta, Delia Terry e Lolita Pérez  che ricamava i galloni .

 

Prima e dopo il 26 luglio del 1953, fu ben chiara la partecipazione delle donne cubane, che sin dagli albori del centenario dell’ Apostolo avevano organizzato il Fronte Civico delle Donne Martiane.  La professoressa Aida Pelayo, la cui voce non taceva di fronte alla politica, fu coinvolta nel processo, anche se non aveva fatto parte del contingente che irruppe a Santiago e a Bayamo.

 

La relazione delle donne che solidarizzarono con i rivoluzionari fu intensa;  tra loro si distinsero in condizioni di rischio estremo, le alunne  infermiere dell’Ospedale, tra il personale sanitario.

 

L’idea di nascondere i giovani combattenti e di curare i feriti fu loro. Nel suo allegato di difesa, Fidel apprezza il loro comportamento. 

 

“Le infermiere dell’Ospedale Civile caricarono molti fucili dei combattenti, anche loro hanno combattuto e questo non lo dimenticheremo mai!”

 

Nella zona di Bayamo, una catena solidale formata da  Bulica González, Narcisa Rodríguez, Esmeregilda, Inés María e da altre modeste contadine, salvò la vita al combattente torturato Andrés García.

 

Un’altra donna, la rivoluzionaria  Gloria Cuadras, svolse una perenne custodia dei resti degli assaltanti  assassinati, gettati in una fossa comune nel cimitero di Santa Ifigenia, sino a che furono conservati nascostamente nello stesso cimitero da René Guitart, padre di Renato.

 

 

 

I fatti della Moncada:
 

tre voci rivelatrici

 

 

 

 

23 agosto 2013 - Marta Rojas www.granma

 

 

José Villa Romero:

 

Il primo detenuto del 26 di Luglio del 1953, portato nella caserma  Moncada, fu José Villa Romero, “Toitico” per il popolo di Santiago, ex capo della Polizia di Santiago di Cuba durante il governo costituzionale del dottor Carlos Prío Socarrás, sino al colpo di Stato del 10 marzo del 1952.

A Villa Romero avevano posto quel soprannome perchè ogni volta che accadeva un incidente che coinvolgeva persone vincolate a crimini vari, dava l’ordine “toticos van presos”, cioè “tutti  in arresto”.

Dopo il trionfo della Rivoluzione, intervistai Totico che avevo visto tra i politici dell’ opposizione coinvolti nel processo della Moncada - Causa 37 - anche se non avevano avuto niente a che vedere con i fatti rivoluzionari del 26 di luglio a Santiago e a Bayamo.

Verso le sette di mattina di quel giorno, Villa Romero fu condotto detenuto alla Moncada, da un tenente dell’esercito che lo arrestò sulla porta della sua casa, vicino alla caserma, la stessa che abitava quando era a capo della Polizia. Il regime i Batista lo considerava un “luogotenente di  Prío” ed anche  "l’autore –capo" dell’assalto alla caserma. 

Ovviamente nella perquisizione che fecero nella sua residenza all’ora dell’arresto incontrarono uniformi da ufficiale della polizia, ed anche la sua arma di servizio. Lo portarono immediatamente in una delle celle della fortezza. 

I fatti li ha raccontati con le sue parole:

“Il tenete Piña, il macellaio, come lo chiamavano, perchè c’erano due fratelli Piña nell’ esercito, portò altri detenuti nella cella. Nel primo gruppo  di prigionieri c’erano Juan Manuel Ameijeiras, Boris Luis Santa Coloma e altri cinque (devo dire che ho conosciuto i loro nomi molto più tardi). 

Tra i primi portavano anche Abel, con le mani così, dietro al collo. 

Piña vedendomi quando entrò con Abel mi disse un’insolenza e armò il fucile per spararmi dentro la cella”. 

Villa Romero, emozionato, continua  a narrare: “Questa è una delle cose per le quali io dico che considero Abel Santamaría come uno degli uomini più umani che ho conosciuto, perchè quest’uomo, Abel, si mise davanti a me e sulla porta del cella disse  *Come potete assassinare un uomo cosi? Quest’uomo non viene con noi!*

In quel momento Abel si confessava colpevole dell’attacco per non farmi fucilare. 

*Allora tu sì che sei venuto, eh!*, con insulti, gli disse Piña. 

*Sì, io sono venuto qui, ma quest’uomo no! Come potete assassinare un uomo per niente!* rispose energico Abel. 

Questo fatto diede il tempo a  Cándido Wilson (un altro militare) di dire a Piña  che mi avevano arrestato a casa mia e che il mio nome era già registrato nel libro  del corpo di guardia della caserma. 

Io vedevo quel ragazzo per la prima volta e mi restò per sempre inciso nella memoria. Io devo la vita ad Abel Santamaria  e da quando ho trovato un suo ritratto lo tengo in casa mia.

Un soldato di cognome Batista e il sergente González, detto La Tigre bloccarono il collo di Abel e poi il soldato gli ficcò una baionetta in un occhio. Fu una cosa tremenda quella che vidi. Abel non disse niente, nemmeno una parola e questo fu sulla porta della cella. Fu lì dove gli diedero il primo colpo di baionetta  nell’occhio,  poi seppi che il crimine fu consumato nella stalla,  dove c’era una parete grande a fu lì che lo ammazzarono”

Altre atrocità del sergente El Tigre, furono descritte da Fidel durante la sua arringa nella  Sala delle Infermiere dell’Ospedale Civile, il 16 ottobre del 1953.

 

Il vecchio galiziano Ángel Núñez:

 

il rumore che correva che il vecchio galiziano Ángel Núñez era stato la prima persona che aveva visto Fidel Castro intraprendere il cammino verso le montagne era autentico.

Il galiziano Núñez, contrariamente alla sua abitudine, non era andato a letto presto  quel 25 luglio, perchè lui e la moglie erano  andati a passeggiare in macchina per Santiago, invitati da Abel Santamaria,  il loro vicino di fronte. Quando tornarono dalla passeggiata tutto era apparentemente tranquillo nella fattoria La Granjita di Ernesto Tizol e Abel Santamaría.  La sua compagna e lui stesso stavano commentando nell’intimità quell’ avvenimento nella loro vita: erano andati in macchina per Santiago a vedere il carnevale, invitati da Abel.

La mattina del 26 di luglio sentirono alla radio che c’era stata una sorta di rivoluzione nella Moncada e  Núñez  andò  al portone per  chiamare il suo vicino Abel, nel momento in cui vari assaltanti rivoluzionari che ritornavano all’accampamento installato nella Granjita si avviavano per la Sierra. Il giorno prima Abel aveva detto a Núñez che aspettava degli  amici che arrivavano da L’Avana per divertirsi nel carnevale, e niente di più.

Il galiziano Ángel Núñez quando lo visitammo disse che seppe dopo che quello che veniva davanti per primo era Fidel con il suo gruppo. Avevano attraversato la strada ed andavano armati.

Sino a quando Nuñez visse, raccontò sempre con orgoglio: “È qui davanti a casa mia che sono passati loro per andare sulle colline. Fidel andava davanti”. 

Non erano andati molto lontano, quando giunse alla casa di Nuñez il  Comandante Andrés Pérez Chaumont -il favorito di Alberto del Río Chaviano - che faceva parte dell’elite dell’esercito, che alternava solo frequentando gli ufficiali  yanquee nella Base Navale di Guantánamo e i clubs  più esclusivi della città.

Pérez Chaumont ordinò: “Portatemi il galiziano”, e Núñez lo senti.   Lo portò in una stanza della sua stessa casa, chiuse la porta e prese la pistola che portava e la mise sul tavolo. Lasciò  Nuñlez in piedi e si sedette a cavalcioni su una sedia per interrogarlo. (Nuñez se lo ricordava così.)

“La gente che è entrata qui da dove veniva ? E dove sono andati ? Dimmelo spagnolo!” 

Il vecchio gli rispose sereno con il suo abituale tono di voce  bassa e  il suo forte accento galiziano.  “Senta, capitano,  prima di tutto per interrogarmi non deve mettere lì la pistola perchè lei non mi ammezzerà, perchè non ha motivi per farlo e stia sicuro che la gente che si era messa in quello andava di là, vede, e gli segnalò una direzione diversa, ma qui non è passato nessuno, glielo assicuro e per questo chi non sa non teme, capitano!”

Raccontando quei fatti Nuñez sorrideva, sapeva che  Chaumont era comandante ma lo chiamava capitano.

Pérez Chaumont continuò :“Ascoltami vecchio, che io non venga a sapere che sono passati di qui e hanno parlato con te, perchè correte pericolo tutti in questa casa, anche la vecchia”. Si era alzato e prima d’andare via lo minacciò passandogli la canna delle pistola sul collo.

“Solo se le vogliono raccontare una storiella, perchè  stando qui io e io stavo qui, davanti ai miei occhi non è passato nessuno, capitano!” replicò Nuñez.

“Capitano no, comandante”,lo rettificò Pérez Chaumont. “Lei sa già che le hanno detto il falso. Saranno andati per di là, dall’altra parte, chissà?” Reiterò  Núñez.

Poi fu condotto alla Moncada dove lo interrogarono più di una volta e proferirono minacce, ma Ángel Núñez, imperterrito, dichiarava lo stesso.

 

Il dottor Juan Martorell:

 

quando la voce accusatrice del giovane avvocato Fidel Castro, fu considerata un pericolo  irreversibile durante le udienze nella sala generale del Palazzo di Giustizia, il regime ordinò  di allontanarlo dal processo.

Per eseguire l’ordine, i medici della reclusione preventiva del carcere di  Boniato dovevano firmare un certificato che sosteneva l’impossibilità di trasferire il detenuto alla sala di giustizia per ragioni di salute. 

In principio i medici del carcere, i dottori  Juan Martorell García e Aurelio Portuondo si rifiutarono di certificare una malattia inesistente, ma prima di prendere una decisione definiva al rispetto, optarono per  informare alcuni dei compagni di Fidel. Il rapporto dei medici giunse al gruppo attraverso Haydée Santamaria,  che esaminava con una certa regolarità.

I compagni stimavano che se i medici civili non firmavano il certificato, potevano dare la missione ad un medico militare e poteva essere peggio. Era in pericolo la vita di Fidel, perchè si sapeva che l’esercito gli poteva applicare la Legge di Fuga, e assassinarlo nel tragitto dal carcere al tribunale.

Fu il dottor Juan Martorell che si propose d’esaminare l’accusato, l’avvocato Fidel Castro. Entrò nella cella e gli spiegò brevemente le circostanze e le possibili conseguenze se non si certificava una presunta malattia, perchè certamente esisteva la minaccia di applicargli la Legge di Fuga nel trasferimento al tribunale.

Chiese all’avvocato Fidel Castro che cosa fare, se firmare il certificato medico per evitare il peggio. La risposta di Fidel lo sorprese: “Dottore, agisca secondo coscienza.”

Fu firmato il certificato medico secondo il quale l’accusato non era in condizioni di salute per partecipare al processo.

Fidel scrisse però un’altra lettera al tribunale  che fu portata dalla dottoressa Melba Hernández, anche lei avvocatessa. Nella lettera Fidel negava d’essere malato, ma il tribunale non diede corso al suo reclamo e procedette in accordo con il certificato  firmato dal medico della prigione, in modo che l’accusato fu di nuovo processato il 16 ottobre, ma nella piccola sala delle infermiere dell’Ospedale Civile Saturnino Lora.

Il dottor Juan Martorell mantenne una franca comunicazione con i rivoluzionari e s’impegnò politicamente, ammettendo di non essersi mai pentito della decisione che aveva preso.