Intervista con Abel Prieto, ex Ministro della Cultura di Cuba

 

 

 “Il concetto di privatizzazione è del tutto

 

escluso come politica a Cuba”

 

 

 

19.08.2013 - di Atilio Boron (*) http://ciptagarelli.jimdo.com traduzione di D.Trollio Centro di Iniziativa Proletaria

 

 

“I cambiamenti a Cuba non implicano il ritorno al capitalismo” sostiene Abel Prieto, una voce importante nel processo politico rivoluzionario. Prieto, attuale deputato ed ex ministro della Cultura di Cuba è stato a Buenos Aires lo scorso mese di luglio, partecipando ad una serie di attività accademiche.

 

Atilio Boron – Vorrei cominciare chiedendoti una riflessione aull’imporanza che la Rivoluzione Cubana ha sempre dato al tema della cultura, un tema che molte volte sparisce per l’accento quasi escludente messo sulle trasformazioni economiche e politiche messe in atto dal trionfo della Rivoluzione.

 

Abel Prieto – Atilio, ricordati quella frase di Fidel quando disse che una rivoluzione può solo essere figlia della cultura e delle idee. Un concetto molto martiano (da José Martì, n.d.t.), e anche molto gramsciano, e che ha molto a che vedere con le idee del Che sulla creazione di un uomo nuovo, che è ciò che definisce veramente la trasformazione socialista dell’essere umano e del suo intorno. Quello che realmente ha portato la Rivoluzione Cubana fin qui – in un modo o nell’altro, con oscillazioni, con passi indietro, con difficoltà, con ostacoli che a volte sembravano insormontabili – è stata l’egemonia in termini culturali delle idee del socialismo. Cosa ha potuto far resistere il popolo cubano in quegli anni terribili, gli anni ’90, se non convinzioni molto forti, una chiarissima coscienza del fatto che dovevamo difendere lo spazio ottenuto per le idee di giustizia, per le idee di democrazia autentica? A me sembra che questo ha avuto molto a che fare con la immediata campagna di alfabetizzazione, la creazione della Tipografia Nazionale, della Casa de las Americas, dell’Istituto del Cinema (ICAIC), cioè tutto l’apparato di protezione del patrimonio culturale, della memoria culturale della nazione dai suoi primi anni  e la democratizzazione dell’accesso alla cultura. Con diverso peso nelle diverse tappe, la cultura è stata sempre una priorità per Fidel, come lo è oggi per Raùl. E questa è una delle conquiste, diciamo definizioni, del nostro socialismo.

 

A.B. – Possiamo dire che è una conquista fondamentale, più irreversibile di qualsiasi altra. Mi ha sempre impressionato il fatto che la Casa de las Americas o l’ICAIC fossero state istituzioni create molto presto dalla Rivoluzione Cubana, persino prima di altre che hanno a che vedere con la vita economica, o persino con la legislazione agraria.

 

A.P. – L’Istituto Nazionale della Riforma Agraria, l’INRA, viene creato all’inizio della rivoluzione, ma la prima legge dell’Assemblea Nazionale, con la rivoluzione già istituzionalizzata, è quella sul patrimonio culturale.

 

A.B. – I Caraibi sono una regione dove l’impatto della cultura nordamericana è tato tradizionalmente molto forte e immediato, e c’è l’impressione che a Cuba sia sempre più difficile sottrarsi al suo influsso. Fino a che punto è vero e, se lo fosse, c’è modo di arrestare questo processo?
 

A.P. – A Rosario, quando parlavo de Il Socialismo e l’Uomo a Cuba del Che, ricordavo che lui diceva che bisognava combattere le tare del passato. Il problema è che oggi le tare del passato fanno parte della battaglia quotidiana e, effettivamente, il messaggio consumista, frivolo, il messaggio... diciamo pro-yankee, con una certa idealizzazione di quel mondo nordamericano, ha influito su alcuni settori della nostra popolazione e io direi che contamina l’ambiente spirituale di Cuba. Ma io ho una fede molto grande nel fatto che, anche nelle peggiori condizioni, l’identità culturale cubana avrà la capacità di resistere. Certo non possiamo affidare questa resistenza ad un processo meramente spontaneo. Bisogna aiutare questi processi, bisogna aiutare a creare nuovi paradigmi.

 

A.B. – C’é chi dice che con l’attualizzazione del modelo socialista Cuba sta tornando al
capitalismo. E’ una cosa che mi chiedono sempre. Che ne pensi?


A.P. - Io credo che, in primo luogo, bisogna ricordare che i documenti portati al recente congresso del partito sono stati discussi da tutta la popolazione e arricchiti nella discussione dalla gente. E in quel documento si parla di forme di gestione non statali; non si parla di privatizzazione o di proprietà non statale. Si parla di forme di gestione non statale. Stiamo affittando terre a cooperative o a famiglie, a contadini che hanno l’obbligo – oltretutto – di mettere questa terra a produre, ma la proprietà la conserva lo Stato cubano in nome di tutto il popolo. Questo è esattamente il contrario della privatizzazione, e un principio basico è che nessuna persona naturale né alcuna entità che gestisca la produzione o i servizi in forme non statali può concentrare la proprietà. In ogni modo, l’impresa statale socialista, ora con più attribuzioni, più libertà di azione e maggiore efficienza, senza le pastoie burocratiche che la legavano, è essa che ci farà uscire dalla crisi. Non si toccherà. Ad esempio, il concetto di salute universale gratuita per tutti i cubani, che ci ha portato gli indici di mortalità infantile da Primo Mondo che abbiamo oggi. Non si toccherà l’accesso all’educazione universale e gratuita che abbiamo oggi, cioè ogni cubano può, in base al suo sforzo, al suo talento e alla sua capacità, passare dalla scuola primaria all’università senza pagare un centesimo. Tutto questo non è negoziabile, non privatizzeremo alcuna di queste cose e non stiamo privatizzando niente. E’ importante chiarire questo. Il concetto di privatizzazione è assolutamente escluso come politica.
 

A.B. – La stampa di destra ha dato un’enorme diffusione alla versione per cui un milione di persone, impiegati pubblici, saranno licenziati e si è parlato di tagli selvaggi.

A.P. – Questo non è vero. Quello che, sì, abbiamo fatto è stato identificare, con molta serietà e molto rigore, quali persone sono realmente necessarie nell’apparato dell’amministrazione. E’ vero che è stato annunciato che negli organismi eccedeva una massa importante di persone, ma da lì a mettere questa gente sulla strada è qualcosa che non ha nulla a che vedere con le nostre idee e con l’idea su cui Raùl insiste tanto, che è anticapitalista per definizione: non lasceremo nessuno abbandonato, non lasceremo abbandonata una sola famiglia.
 

A.B. – Che succede oggi con la gioventù cubana? C’è stato un processo di de-politicizzazione in vasti settori della gioventù cubana? Non in tutti, perchè c’è n settore fortemente politicizzato. Come la vedi?
 

A.P. – Sai che Raùl tratta questo tema con grande crudezza. L’idea è che la generazione che assaltò il Moncada, che lottò nella selva, va sparendo per ragioni biologiche, più prima che poi. Egli ha parlato di questo nell’Assemblea nazionale, dove è stato eletto Miguel Dìaz Canel quale vicepresidente del Consiglio di Stato e dei Ministri. Raùl ha condotto un processo di promozione dei giovani a incarichi essenziali. Oggi molti dei nostri ministri sono molto giovani. Oggi nel nostro Consiglio di Stato c’è anche Bruno Rodrìguez, il nostro cancelliere, che è anch’egli molto giovane, con una lunga esperienza come quadro della gioventù. E nel Comitato Centrale e nella stessa Assemblea Nazionale c’è un sacco di gente giovane con meriti straordinari. Io credo che ci sia un’avanguardia di gente giovane che è molto politicizzata e che è molto impegnata a portare avanti il processo rivoluzionario. Vedo che ci sono molti giovani che vogliono discutere, vogliono partecipare; credo che questi spazi si stiano consolidando, e credo che questa sia una delle più grandi sfide che oggi Cuba rivoluzionaria deve affrontare. Ora ci sarà il congresso dell’Unione dei Giornalisti di Cuba, perchè la nostra stampa non sta giocando il ruolo che le compete. Da molto tempo, in una risoluzione dell’Ufficio Politico, si è parlato della necessità di una stampa critica che aiuti a combattere i problemi, la burocrazia, gli errori. Si sono già fatti alcuni passi: sai che ora il Granma ha una sezione – tutti i venerdì – di lettere dei lettori dove vengono fatte importanti denunce, e si si sta facendo un certo giornalismo di ricerca per affrontare il tema della corruzione e quello della
condotta e della mentalità burocratica, refrattaria a qualsiasi progetto di cambiamento. Raùl sta guidando una battaglia durissima contro la burocrazia.

 

A.B. – Questa gioventù sta chiedendo di poter viaggiare, di conoscere altri paesi .

 

A.P. – Dall’inizio della Rivoluzione abbiamo dato a Cuba tutto il cinema capitalista, il grande cinema europeo, italiano, francese, il cinema nordamericano, quello di più alta qualità e quello di minore qualità. A differenza dell’esperienza sovietica, ad esempio, noi abbiamo sempre lavorato sull’idea che proibendo di conoscere ciò che viene da fuori non si arriva da nessuna parte. E’ un grave errore, che fa semplicemente sì che la gente finisca per idealizzare quel mondo che le è proibito.

 

A.B. – Che cos’ha significato per voi l’arrivo di Obama alla Casa Bianca? Cos’è successo in concreto in relazione al blocco, ai “Cinque”? 

 

A.P. – Il blocco continua. E quello che non viene detto al mondo è che la burocrazia di Obama è stata più efficiente di quella di Bush nel perseguire banche e società che violino il blocco stabilito dalle leggi Helms-Burton e Torricelli. Ci sono imprese a cui hanno dato multe di milioni. E l’Amministrazione Obama è stata terribilmente efficiente in questo senso. Cioè nel molestare Cuba, soprattutto in campo finanziario. Che cos’ha portato di nuovo Obama? Ti direi alcuni visti per artisti e accademici. Ma gli artisti che vanno negli Stati Uniti lo fanno solo in viaggi promozionali; cioè nessuna agenzia cubana che rappresenti questi artisti beneficia di questi giri.
Naturalmente all’artista interessa perchè è un mercato importante dal punto di vista artistico, ma loro non possono neppure ricevere dividendi, come lo fa qualsiasi altro artista che fa un tour negli USA. Gli danno una specie di dieta alimentare. Non possono ricevere dividendi, non possono ricevere denaro per diritti di autore sulle loro opere che altri artisti possono interpretare.

 

A.B. – Ma se danno un concerto e si vendono i biglietti...
 

A.P. – Non possono ricevere un centesimo dell’incasso. E’ proibito dalla legge sul blocco.

 

A.B. – E questo continua....

 

A.P. – Continua, strettamente e crudelmente ....
Obama ha permesso a gruppi di studenti nordamericani, di accademici, di viaggiare con certi permessi. Questo è stato il “grande cambiamento” di cui si parla, che non è un gran cambiamento, direi. Dall’altra parte la Legge di Regolamento Cubano è intatta. Anche la lobby della “gusanera” (verminaio; così sono definiti gli oppositori cubani a Miami, n.d.t.) più radicale è inquieta perche dice che Cuba, con la sua riforma migratoria, può essere che stia preparando una nuova Mariel per riempire Miami di comunisti.

A.B. – Spiega cos’è la Legge di Regolamento Cubano perchè molti non la conoscono.


A.P. – E’ una legge incredibile secondo la quale, per il solo fatto di mettere piede negli Stati Uniti, i cubani ricevono un permesso di soggiorno, prima per un anno e poi la residenza definitiva. E’ un caso unico: gli Stati Uniti hanno due politiche migratorie. Una per il resto del mondo e l’altra solo per i cubani.
Immagina: possono uccidere i messicani o i centroamericani appena attraversano la frontiera, ma se sei cubano hai questa possibilità, il che permette al governo nordamericano di approfittare del lato propagandistico del fatto. Ma oggi hanno un argomento in meno. Anche prima i cubani potevano viaggiare; prima c’era una cosa chiamata “permesso di uscita”, che è una misura che viene da molti anni indietro, dall’epoca in cui cominciarono ad andarsene dal paese negli anni ‘59/60 i batistiani, gente accusata di crimini, torturatori, malversatori dei fondi pubblici. In seguito la gente se ne andava da Cuba ma doveva rispettare determinati requisiti: una lettera di invito dall’estero, il famoso permesso di uscita. Questi requisiti sono stati tolti. Oggi per partire dall’isola al cubano bastano il suo passaporto e il visto corrispondente. E non c’è stato un esodo da quando è in atto questa riforma, proprio per niente.
Fidel disse una volta che “il socialismo dev’essere un’opera di uomini e donne libere”; cioè non può essere costruito sentendo che ti tengono incatenato.
 

A.B. – E per quel che riguarda i Cinque? René è tornato a Cuba...
 

A.P. René è tornato, ho avuto il piacere di stare con lui e vedere le reazioni della gente. Alicia Alonso ha organizzato uno spettacolo di balletto per i Cinque al Teatro Mella e René c’è andato. E mi ha impressionato, alla fine dello spettacolo, la massa di gente che attorniava René, per farsi fotografare con lui, per abbracciarlo. Ma Obama non ha fatto quello che avrebbe dovuto fare.

 

A.B. – Si, perchè lui può concedere l’indulto ai Cinque.
 

A.P. – Non lo ha fatto, anche se poteva farlo. Sì, ricordati di cosa ha detto Fidel: “Clinton poté restituire Eliàn perché le inchieste dicevano che più del 60% degli statunitensi riteneva che il bambino dovesse essere restituito a suo padre a Cuba”. E Fidel ha anche detto che “quando otterremo che l’opinione pubblica negli Stati Uniti sia favorevole all’indulto, gli daranno l’indulto”. Perchè i presidenti statunitensi funzionano così: non riferendosi a principi etici ma secondo quello che dicono le inchieste. Siamo davanti ad un uomo – Obama – che se tu lo paragoni a Bush è un uomo intelligente, che si esprime bene. Bush è un mostro di ignoranza e di cattiveria. Obama, sicuramente, è una persona con più capacità. Ma questa è una trama di potere. Se sei a capo dell’impero lo sei solo per applicare la politica imperiale alla lettera.
 

A.B. – Obama ha confermato la qualificazione di Cuba come paese che aiuta il terrorismo.
 

A.P. – E’ una vergogna! Cuba è la grande vittima del terrorismo generato dagli Stati Uniti: guerra biologica, attentati negli hotels, bombe sabotaggi. Cuba ha patito tutto. E loro hanno un terrorista provato e confesso come Posada Carriles a Miami libero, e Orlando Bosch, che pur essendo un grande criminale, è morto nel suo letto.


A.B. – Un grande criminale. Da poco è stata inaugurata la biblioteca Bush nell’Università Metodista del Sud (a Dallas, Texas), e vi hanno partecipato tutti gli ex presidenti degli Stati Uniti viventi: Bush padre, Bush figlio, Carter, Clinton e, naturalmente, Obama. Qualcuno ha chiesto a Chomsky cosa gli pareva di quello spettacolo e lui ha detto: “Bé, lì ci sono un mucchio di criminali di guerra”. Tutti insieme, sorridenti; sembrano brave persone ma sono criminali di guerra.
 

A.P. – Sì, sono grandi criminali di guerra..

 

(*) Politologo argentino; da: pagina12.com.ar; 8.8.2013