Cuba e la guerra mediatica
 

 

 

 

 

El País: silenzio e disinformazione

 

sul dialogo migratorio Cuba-USA

 

 

 

 

 

Il quotidiano spagnolo El País, in passato progressista, è oggi un fervente propagandista delle posizioni del governo degli Stati Uniti. E forse non a caso: dal 2010, il 57,7% del suo azionariato appartiene al fondo di investimento statunitense Liberty Acquisition Holding (1).
 

Un esempio è riscontrabile nella notizia sull’imminente dialogo tra i governi di Stati Uniti e Cuba in materia di migrazione. El Pais ha riconosciuto al governo degli Stati Uniti tutto il merito di questo incontro, che ha definito come una “prova inequivocabile della volontà di (...) Obama di avvicinarsi al governo di Cuba” (2).

 

E ha sentenziato -né più né meno- che “il principale ostacolo alla normalizzazione delle relazioni” tra i due Paesi è la “condanna a 15 anni di carcere (sull'Isola) del cittadino statunitense Alan Gross”, che –ricordiamo- era parte di un programma segreto degli Stati Uniti per equipaggiare la cosiddetta “dissidenza” cubana (3). Questo significa che “il principale ostacolo” nelle relazioni USA-Cuba non sono 52 anni di blocco economico condannato dalle Nazioni Unite (4); il sostegno di Washington a terroristi di estrema destra responsabili della morte di centinaia di cubani e cubane (5); gli oltre 20 milioni di dollari l'anno con i quali intervengono nella politica interna di Cuba attraverso i cosiddetti “dissidenti” (6); o l’aberrante caso giudiziario dei cinque antiterroristi cubani che hanno scontato già 13 anni nelle carceri degli Stati Uniti (7).


A dimostrazione di ciò che El País intende per “pluralità di fonti”, la notizia include -oltre alle dichiarazioni ufficiali del governo statunitense- altre tre fonti provenienti dagli Stati Uniti: una, il rappresentante del Cuban Study Group, un centro di ricerca su questioni cubane che appoggia Obama nella sua strategia di “cambio di regime” a Cuba (8); un’altra, di “gruppi di esiliati cubani” che -ci dice- “si aspettano importanti iniziative per accelerare la transizione politica dell’Isola”; e una terza, quella di un membro del Latin America Working Group. La notizia riflette la soddisfazione di questo gruppo per le prossime conversazioni USA-Cuba, che definisce come una “svolta” e “un passo nella giusta direzione”. Ma El Pais non dice nulla sulle costanti denuncie contro il blocco economico a Cuba e contro il divieto di viaggiare all’Isola per la popolazione degli Stati Uniti (9). E, naturalmente, il giornale non si preoccupa di chiedere il parere dei gruppi di solidarietà con Cuba negli Stati Uniti, come Pastores por la Paz (10), o dell’emigrazione cubana progressista di Miami, come Alianza Martiana (11).

 

Alcuni giorni dopo questa notizia de El País, la stampa cubana ha pubblicato un’inchiesta sulla corruzione esistente presso la Sezione di Interessi degli Stati Uniti a L’Avana -la famosa SINA- nell’ambito della consegna dei visti per i cubani che desiderano viaggiare o emigrare negli Stati Uniti (12). E ha denunciato gli introiti incassati per questa via dal governo di Washington: se ogni persona paga 195 dollari per una richiesta di visto, la sede diplomatica starebbe guadagnando mezzo milione di dollari ogni giorno.


El País, ovviamente, non ha pubblicato nulla su questo argomento. E neanche su un’altra recente denuncia legata alla SINA. Adriana Núñez Pascual, una delle 19 donne espulse dal gruppo conosciuto come le Damas de Blanco, ha affermato che la loro dirigente Berta Soler telefonò -in sua presenza- alla sede diplomatica statunitense chiedendogli di non concedere il visto d’ingresso negli Stati Uniti a queste donne espulse (13). Un’ulteriore prova del rapporto diretto tra “dissidenza” cubana e governo degli Stati Uniti, così come la motivazione meramente migratoria ed economica di coloro che oggi fanno parte delle Damas de Blanco (14)

 

El País -come i grandi media in generale- mette da parte i dati essenziali per la comprensione della questione migratoria Cuba-Stati Uniti. Ad esempio, l’esistenza della legge (statunitense) di Ajuste Cubano, in vigore dal 1966 (15). Questa legge fa sì che la popolazione cubana sia l’unica al mondo ad ottenere la residenza negli Stati Uniti solamente toccando suolo americano.

 

Negli ultimi anni si è manifestato il paradosso che migliaia di queste persone –che gli Stati Uniti hanno accolto come rifugiati- tornino successivamente a Cuba per le vacanze (16). Ma ora, dopo la legge migratoria che è appena entrata in vigore a Cuba, il paradosso è ancora più evidente, dal momento che coloro che hanno viaggiato negli Stati Uniti e si sono beneficiati della Ley de Ajuste -cioè, presunti “perseguitati politici”- potrebbero continuare a mantenere la loro residenza sull’Isola (17). Nessuna di queste assurdità della politica statunitense è stata, ovviamente, rilevata da El Pais.
 

L’annuncio di nuovi dialoghi USA-Cuba in materia di immigrazione è certamente una buona notizia per migliaia di famiglie cubane. Il governo degli Stati Uniti si impegnò, nel 1994, dopo la cosiddetta Crisi dei Balseros, a concedere almeno 20.000 visti ogni anno per i cubani. Per anni -specialmente durante l'amministrazione Bush- non ha rispettato il suo impegno, e ha continuato a utilizzare la migrazione come arma di propaganda contro il governo cubano: mentre concedeva appena un migliaio di visti all’anno, stimolava i viaggi dei balseros che erano poi accolti sulle loro coste come persone “fuggite dal comunismo” (18).
 

Se sono veri i dati che ora fornisce il governo di Washington, questa situazione sarebbe cambiata. Sostiene che nel 2012 ha concesso 29.000 visti, il che significherebbe che sta adempiendo agli accordi sottoscritti nel 1994: senza dubbio una buona notizia, che si spera sia confermata (19). Così come si spera che il quotidiano El Pais, un giorno, possa recuperare un minimo di quel rigore giornalistico che lo caratterizzò in passato.