Obama, gli amici e il baseball

Ariel Montenegro https://eltoque.com

6561411325_8f615382b8_zIl baseball per cubani è una questione di amici. Cresciamo giocando a baseball, nel quartiere, con la gente che ricorderemo tutta la vita. Una discussione su questo argomento crea affinità, anche se non si è d’accordo.

Così, da piccoli i bambini in questo paese imparano ad essere esseri sociali. Non importa se si tratta di una mazza e una palla originali o con un manico di scopa e il tappo di una bottiglia di plastica, l’essenziale è che ti scelgano per la squadra.

Quello che scelgono per ultimo, è quello che nessuno vuole, per mancanza di talento o, semplicemente, per pesantezza. Se non piace agli altri, non importa che il campo è nel cortile di casa sua: nessuno ti chiederà per appartenere ai nove della squadra.

E va da sé che chi esige giocare per essere il padrone della mazza e della palla è perduto. A noi non sono mai importate le attrezzature sportive, la cosa più importante era il divertimento e la fraternità del gioco.

Detto tutto questo, mi ha richiamato potentemente l’attenzione la voce che il presidente USA, Barack Obama, lancerà il primo tiro nella partita tra la selezione nazionale cubana ed i Tampa Bay Rays, che si terrà durante la sua visita a L’ Avana.

Il baseball per cubani è una questione di amici. E anche se Obama passerà alla storia come il presidente USA che ha ristabilito le relazioni diplomatiche con Cuba, ancora è lontano dall’essere quello che noi chiamiamo un amico.

Che non si animi l’estrema destra né prenda le torce l’estrema sinistra: non sono contro il fatto che Obama venga a Cuba. Di fatto, mi rallegra.

Credo che lo si debba ricevere con tutti gli onori degni della sua carica, e probabilmente, di lui. Credo che gli USA stiano facendo il tentativo di imparare a vivere nel modo più sano possibile in un mondo in cui Cuba esiste. Credo che una delle migliori cose che possono accadere a questo paese sia la normalizzazione delle relazioni con quel paese, ma la reale normalizzazione.

Non la normalizzazione che include la confessione da parte di Washington che quello che fallì fu la strategia e non l’obiettivo di abbattere il governo cubano. Non la normalizzazione che non garantisce l’eliminazione del blocco, o il riconoscimento della responsabilità per tutte le vittime che causò, per decenni, la politica di gettare il sasso e nascondere la mano contro il mio paese. Non la normalizzazione che prevede nel bilancio annuale, di quel paese, l’uso di milioni di dollari per finanziare attività contro l’economia e l’ordine interno.

Il baseball per cubani è una questione di amici. L’ultimo presidente straniero che ricordo giocando a baseball a Cuba è Hugo Chavez. Lui, il governo cubano lo considerava un amico e quello USA un nemico. L’ultima volta che controllai, il governo di Cuba e quello USA continuavano ad essere gli stessi.

Che venga Obama! E più, che venga una volta al mese e che ogni volta arrivi con un nuovo pacchetto di flessibilizzazioni di misure che complicano la già di per sé molto complicata economia del mio paese.

E’ probabile che la prima palla sia un onore che gli viene dato in anticipo, in vista di ciò che potrebbe accadere. Obama, sembra, abbia talento per questo, gli diedero un premio Nobel per la Pace affinché la facesse finita con le guerre a cui mai pose termine.

Magari, grazie a quello che lui e Raul Castro hanno incominciato, un giorno il presidente USA avrà il diritto di lanciare il primo tiro in una partita di baseball a Cuba, ma quel giorno non è oggi. Il baseball per i cubani è una questione di amici. E non credo che Obama si meriti ancora tale riconoscimento. Un presidente del paese che ha gettato la prima pietra nell’ostilità e la costante aggressione contro Cuba, ancora non può essere quello che lancia la prima palla in una gara del suo sport nazionale e uno dei più apprezzati simboli della sua cultura; nemmeno se è il padrone della mazza e della palla.

Obama, los amigos y la pelota

La pelota para los cubanos es un asunto de amigos. Crecemos jugando al béisbol, en el barrio, con la gente que recordaremos toda la vida. Una discusión sobre ese tema crea afinidades, incluso si se difiere.

Desde pequeños los niños en este país aprenden a ser seres sociales así. No importa si es con un bate y una pelota originales o con el palo de una escoba y la tapa de un pomo plástico, lo esencial es que te escojan para el equipo.

Por: Ariel Montenegro

Ese, al que escogen de último, es al que nadie quiere, por falta de talento o, sencillamente, por pesáo. Si no les caes bien a los demás, no importa que el terreno esté en el patio de tu casa: nadie te pedirá para su novena.

Y de más está decir que ese que exige jugar por ser el dueño del bate y la pelota está perdido. A nosotros nunca nos importaron los implementos deportivos, lo importante era la diversión y lo fraternal del juego.

Dicho todo esto, me llama poderosamente la atención el rumor de que el presidente de Estados Unidos, Barack Obama, vaya a lanzar la primera bola en el juego entre la selección nacional cubana y los Tampa Bay Rays, que se celebrará durante su visita a La Habana.

La pelota para los cubanos es un asunto de amigos. Y aunque Obama pase a la historia como el mandatario estadounidense que reestableció las relaciones diplomáticas con Cuba, aún dista mucho de ser lo que aquí llamamos un amigo.

Que no se embulle la ultraderecha ni saque las antorchas la ultraizquierda: no estoy en contra de que Obama venga a Cuba. De hecho me alegra.

Creo que se le debe recibir con todos los honores dignos de su cargo, y probablemente, de él. Creo que Estados Unidos está haciendo el intento de aprender a vivir lo más sanamente posible en un mundo en que Cuba existe. Creo que de las mejores cosas que les pueden pasar a este país es la normalización de las relaciones con ese país, pero la normalización de verdad.

No la normalización que incluye la confesión por parte de Washington de que lo que falló fue la estrategia y no el objetivo de derrumbar al gobierno cubano. No la normalización que no garantice el levantamiento del bloqueo, ni el reconocimiento de la responsabilidad con todas las víctimas que causó durante décadas la política de tirar la piedra y esconder la mano contra mi país. No la normalización que prevé dentro del presupuesto anual de ese país el uso de millones de dólares para financiar actividades contra la economía y el orden interno.

La pelota para los cubanos es un asunto de amigos. Al último presidente extranjero que recuerdo jugando béisbol en Cuba es a Hugo Chávez. A ese, el gobierno cubano lo consideraba un amigo y el de Estados Unidos un enemigo. La última vez que revisé, el gobierno de Cuba y el de Estados Unidos seguían siendo los mismos.

¡Qué venga Obama! Es más, que venga una vez el mes y que en cada ocasión llegue con un nuevo paquete flexibilización de medidas que complican la ya de por sí muy complicada economía de mi país.

Es probable que esa primera bola sea un honor que se le está dando por anticipado, en vistas de lo que pueda pasar. Obama, al parecer, tiene talento para eso, ya le dieron un Nobel de la Paz para que acabara con las guerras que nunca acabó.

Tal vez, gracias a lo que él y Raúl Castro empezaron, algún día el presidente de Estados Unidos tenga el derecho de lanzar la primera bola en un partido de béisbol en Cuba, pero ese día no es hoy. La pelota para los cubanos es un asunto de amigos. Y no creo que Obama se merezca todavía ese reconocimiento. Un presidente del país que tiró la primera piedra en la hostilidad y la agresión constante contra Cuba, aún no puede ser el que tire la primera bola en un partido de su deporte nacional y uno de los más preciados símbolos de su cultura, ni siquiera porque sea el dueño del bate y la pelota.

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