Ricardo Alarcón de Quesada
Dato che mi manca il dono dell’ubiquità non ho potuto vedere direttamente il singolare spettacolo. Quando il Presidente Obama ha visitato Cuba io ero a Merida, nello Yucatan, a celebrare un avvenimento che, senza esagerare, merita di essere qualificato storico: il XXV anniversario del giornale “Por Esto!” (Per Questo!).
Dire la verità giorno dopo giorno, smascherare l’inganno e la menzogna, sfidare le minacce e le pressioni, sconfiggere l’assedio e la censura che gli impongono le corporazioni mediatiche e i gruppi mafiosi, e farlo senza pausa per venticinque anni, è un’impresa. Così è, letteralmente, il lavoro dei suoi giornalisti e dei suoi lavoratori, come eroica è stata tutta la carriera del suo direttore Mario Renato Menéndez.
Grazie a Por Esto! ho potuto seguire passo passo la visita presidenziale e leggere il testo integrale del discorso che Obama ha fatto nel Gran Teatro Alicia Alonso e che tutti coloro che erano a Cuba hanno ascoltato dal vivo e in diretta sulla televisione nazionale.
Tanto quello che ha detto come quello che ha evitato di dire e il modo di fare entrambe le cose, la sua “performance”, richiederebbero molto più che un commento. In questo momento vorrei concentrarmi solo su un aspetto che ha a che fare con il suo impegno per ignorare il passato e presentarsi come un ragazzo innocente che non è responsabile di nulla, anche adesso che conclude il suo secondo e ultimo mandato come Presidente.
Non risalirò a tempi remoti ma a un momento che certamente egli non ha dimenticato: novembre 2008 quando fu eletto per la prima volta in una giornata che risvegliò illusioni e speranze in milioni di nordamericani.
Aníbal Acevedo Vila, allora Governatore dello “stato libero associato” di Portorico, gli inviò una lettera aperta chiedendogli qualcosa di elementare, a portata dei suoi poteri amministrative e allo stesso tempo necessario per adempiere al suo obbligo costituzionale. Acevedo gli spiegava che l’FBI aveva ammesso possedere prove che manteneva nascoste sugli assassini di due giovani – Santiago “Chagui” Mari Pesquera e Carlos Muñiz Varela – in due incidenti che nel 1976 e nel 1979 scossero, e ancora commuovono, la società portoricana. Nella sua lettera il Governatore rendeva conto dei suoi infruttuosi tentativi affinché l’Agenzia Federale nordamericana consegnasse quelle prove ai tribunali.
Portorico è un territorio coloniale, soggetto alle decisioni di Washington, il Presidente è il Capo Supremo del FBI e appena eletto non si stancava di annunciare cambiamenti fondamentali e assicurava che Sì, si potevano realizzare. Magari adesso si mettesse fine all’occultamento.
Uguale richiamo fecero i familiari e gli amici dei due martiri e l’hanno fatto anche organizzazioni politiche e sociali, istituzioni religiose e culturali e i principali mezzi di comunicazione.
Nessuno ha mai ricevuto alcuna risposta dalla Casa Bianca. Tempo dopo Obama è andato a Portorico alla ricerca di soldi per la sua rielezione, ma non ha neanche menzionato l’argomento, né si è incontrato con nessun rappresentante della società civile. In quell’occasione, sicuramente, gli è stato chiesto della liberazione di Óscar López Rivera, richiesta unanime di tutta Portorico, e la sua risposta, disinteressandosi della questione, è stato un insulto all’intelligenza umana.
Chagui e Carlos erano molto giovani quando furono assassinati e ancora reclamano giustizia.
Obama è un appassionato delle nuove tecnologie della comunicazione. Ma non risponde a una petizione che l’ha accompagnato durante tutto il suo mandato alla Casa Bianca.
Preferisce il silenzio complice.
Traduzione: Redazione di El Moncada
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