Cinema indipendente solo in un paese indipendente

J. Garcia Espinosa https://lapupilainsomne.wordpress.com

julio-garcia-espinosa11Julio Garcia Espinosa fu uno dei principali fondatori dell’Istituto Cubano d’Arte ed Industria Cinematografica (ICAIC), di cui è giunto ad essere presidente. Inoltre, dal 2004 al 2007, fu a capo della prestigiosa Scuola Internazionale di Cinema e Televisione di San Antonio de los Baños. È morto a L’Avana il 13 aprile scorso, ad 89 anni. Ha ricevuto il Premio Nazionale del Cinema nel 2004, e queste furono le sue parole che, oggi, ricordiamo come un tributo alla sua memoria.


Grazie. Molte grazie per questo riconoscimento, per farmi sentire che sono nell’ICAIC come l’ICAIC è in me. Come è in voi siate o meno, fondatori siate o meno lavoratori dell’ICAIC. Perché l’ICAIC è un atteggiamento, un atteggiamento verso il cinema, verso la cultura, verso la vita.

Il mondo è oggi come un pendolo che si muove tra troppe tenebre e poche luci. La lunga strada verso la luce è più che mai la nostra stessa strada. Quella dei cineasti cubani, dei cineasti latino-americani, dei cinesti ogni dove.

L’ICAIC approfittò del pensiero progressista generato dalla stessa Rivoluzione, per sviluppare l’individualità dei registi. Anche per non confondere coscienza con auto-censura. Sappiamo tutti che la realtà non è solo l’atteggiamento che divulgano le transnazionali. Come sappiamo che la critica non è critica rivelatrice se non è supportata da un pensiero aperto ed emancipatore.

L’ICAIC ci integrò nella nostra Cultura. Ci fece sentire che da essa venivamo, che ad essa ritorniamo, che ci retro-alimentiamo con essa, che con essa cresciamo. Non c’era altro modo per aprirci al mondo, di resistere al mimetismo, di propiziare la diversità, di rifiutare il mercato che uniforma e chiuso.

L’ICAIC unì il nostro destino al destino del cinema latinoamericano e caraibico. Il Progetto della grande patria comune si fece molteplice ed indivisibile. L’avanguardia artistica e l’avanguardia politica mai furono più unite che in quei primi anni. Chiudere il ciclo coloniale, che abbiamo sofferto per più di cinque secoli, segnò il respiro alla migliore delle nostre cinematografie.

L’ICAIC pose barriere alla promozione del populismo, del pensiero magico, della semicultura che è sempre stata peggiore dell’ignoranza. Aprì porte e finestre a tutte le informazioni feconde, all’indispensabile dibattito, alla circolazione delle idee, al confronto delle nostre stesse contraddizioni. Di fronte al disprezzo si noi stessi, a cui siamo stati educati, propugnò l’autostima senza smettere di promuovere l’autocritica, riscattò la nostra storia, spazzò via la falsa dicotomia tra tema storico e tema contemporaneo, dimostrò che si poteva avere più contemporaneità in un tema storico che in uno di attualità.

L’ICAIC è stato coerente con il principio che non esiste una vera libertà del creatore se non c’è libertà per lo spettatore. Portare il cinema sino all’ultimo angolo del paese, decolonizzare gli schermi, garantire allo spettatore il suo diritto a vedere film di tutto il mondo, il suo diritto a scegliere, a disporre di un maggiore esigenza per misurare la nostra produzione, è stata la politica di punta dell’ICAIC, che lo distinse da qualsiasi altra cinematografia del mondo.

L’ICAIC, del resto, non ha smesso di avere i suoi momenti di follia come si addice a qualsiasi istituzione artistica che si rispetti. Quando mi vengono in mente le opere d’arte che ha realizzato l’ICAIC, la persistenza nella ricerca di altri modi per raccontare storie, non riesco a smettere di pensare a quelle altre opere che sono state prodotti di sforzi colossali, di impegni smisurati, non possono smettere di venire alla mia mente quelle produzioni che misero in tensione tutta l’ICAIC, che furono vere sfide per tutti i lavoratori dell’ICAIC. Nei primi tempi, sforzi titanici furono, “Sono Cuba” e “L’altro Christofero”. Come furono sforzi fuori dal comune “Una lotta cubana contro i demoni” e “I Giorni dell’acqua” e, eseguendosi, praticamente, allo stesso tempo, “Il secolo dei lumi” e “Mi affitto per sognare”. Anche nell’arte come nel cinema che, allo stesso tempo, è industria che esige molta organizzazione e molta disciplina, il carattere eccessivo non deve essere escluso. Una goccia di follia richiede qualsiasi progetto artistico. Ciò lo sanno molto bene i produttori, tecnici, lavoratori in generale, che sono riusciti ad affrontare ogni tipo di difficoltà, che hanno realizzato prove che non ripaga nessun sistema salariale.

Tutto questa eredità della quale fa parte la mia vita, voglio dedicarla, naturalmente, a Lola che tanto integra la mia vita, ai miei figli e le mie bambine dell’anima. Anche alle nuove generazioni, che si formano oggi nell’ISA ed in San Antonio.

Che altro posso dire? Che tutto è iniziato mezzo secolo fa, quando Titon ed io siamo arrivati dall’Europa e ci uniamo ad Alfredo. Tre caratteri diversi, una sola passione: il Cinema Cubano. Un Cinema che si voleva plurale, un Cinema convinto che non vi cinema indipendente se non c’è un paese indipendente.

Mi sento molto orgoglioso di essere un contemporaneo di Alfredo e Titon.

Come mi sento molto orgoglioso di essere contemporaneo di artisti come Silvio e Pablo.

E, naturalmente, mi sento orgoglioso, molto orgoglioso, di essere un contemporaneo di Raul, Camilo, del Che e di Fidel.

“No hay cine independiente si no hay país independiente”

Por Julio García Espinosa

Julio García Espinosa fue uno de los principales fundadores del Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos (ICAIC), del que llegó a ser presidente. También, de 2004 a 2007, estuvo al frente de la prestigiosa Escuela Internacional de Cine y Televisión de San Antonio de los Baños. Murió en La Habana el pasado 13 de abril, a los 89 años. Recibió el Premio Nacional de Cine en el 2004, y estas fueron sus palabras, que hoy recordamos como homenaje a su memoria.

Gracias. Muchas gracias por este reconocimiento, por hacerme sentir que estoy en el ICAIC como el ICAIC está en mí. Como está en ustedes sean o no fundadores, sean o no trabajadores del ICAIC. Por que el ICAIC es una actitud, una actitud ante el cine, ante la cultura, ante la vida.

El mundo es hoy como un péndulo que se mueve entre demasiadas tinieblas y pocas luces. El largo camino hacia la luz es más que nunca nuestro propio camino. El de los cineastas cubanos, el de los cineastas latinoamericanos, el de los cineastas de todas partes.

El ICAIC aprovechó el pensamiento de avanzada, generado por la propia Revolución, para desarrollar la individualidad de los cineastas. También para no confundir conciencia con autocensura. Todos sabemos que la realidad no es solo la actualidad que divulgan las transnacionales. Como sabemos que la crítica no es crítica reveladora si no está sustentada por un pensamiento abierto y emancipador.

El ICAIC nos integró a nuestra Cultura. Nos hizo sentir que de ella venimos, que a ella volvemos, que nos retroalimentamos con ella, que con ella crecemos. No ha sido otra la manera de abrirnos al mundo, de resistir al mimetismo, de propiciar la diversidad, de rechazar el mercado que uniforma y estanca.

El ICAIC unió nuestro destino al destino del cine latinoamericano y caribeño. El Proyecto de la gran patria común se hizo múltiple e indivisible. La vanguardia artística y la vanguardia política nunca estuvieron más unidas que en esos primeros años. Cerrar el ciclo colonial, que padecemos desde hace más de cinco siglos, marcó el aliento a lo mejor de nuestras cinematografías.

El ICAIC puso barreras al fomento del populismo, del pensamiento mágico, de la semicultura que siempre ha sido peor que la ignorancia. Abrió puertas y ventanas a toda la información fecunda, al debate indispensable, a la circulación de ideas, a la confrontación de nuestras propias contradicciones. Ante el desprecio a nosotros mismos, en el que habíamos sido educados, propugnó la autoestima sin dejar de promover la autocrítica, rescató nuestra historia, borró la falsa dicotomía entre tema histórico y tema contemporáneo, demostró que podía haber más contemporaneidad en un tema histórico que en uno de la actualidad.

El ICAIC ha sido consecuente con el principio de que no hay verdadera libertad del creador si no hay libertad para el espectador. Llevar el cine hasta el último rincón del país, descolonizar las pantallas, garantizar al espectador su derecho a ver cine de todas partes, su derecho a elegir, a disponer de una mayor exigencia para medir nuestra propia producción, ha sido política cimera del ICAIC, la que lo diferenció de cualquier otra cinematografía del mundo.

El ICAIC , por otra parte, no ha dejado de tener sus momentos de locura como corresponde a cualquier institución artística que se respete. Cuando vienen a mi mente las obras de arte que ha realizado el ICAIC, la persistencia en buscar otras formas de narrar historias, no puedo dejar de pensar en aquellas otras obras que han sido productos de esfuerzos colosales, de empeños desmesurados, no pueden dejar de venir a mi mente aquellas producciones que pusieron en tensión a todo el ICAIC, que fueron verdaderos desafíos para todos los trabajadores del ICAIC. En épocas tempranas, esfuerzos titánicos lo fueron, “Soy Cuba” y “El Otro Cristóbal”. Como fueron esfuerzos descomunales “Una pelea cubana contra los demonios” y “Los Días del Agua”, y, realizándose prácticamente al mismo tiempo, “El Siglo de las Luces” y “Me Alquilo para soñar”. Aún en un arte como el cine que al mismo tiempo es industria, que exige mucha organización y mucha disciplina, la desmesura no tiene por que estar excluida. Una gota de locura requiere todo proyecto artístico. Eso lo saben muy bien productores, técnicos, trabajadores en general, que han sabido afrontar todo tipo de dificultades, que han realizado proezas que no paga ningún sistema salarial.

Toda esta herencia de la cual forma parte mi vida, quiero dedicársela, desde luego, a Lola que tanto complementa mi vida, a mis hijos y a mis niñas del alma. También a las nuevas generaciones, a los que se forman hoy en el ISA y en San Antonio.

¿Que más puedo decir? Que todo comenzó hace medio siglo cuando Titón y yo llegamos de Europa y nos unimos a Alfredo. Tres caracteres distintos, una sola pasión: el Cine Cubano. Un Cine que se quería plural, un Cine convencido de que no hay cine independiente si no hay país independiente.

Me siento muy orgulloso de ser contemporáneo de Alfredo y de Titón.

Como me siento muy orgulloso de ser contemporáneo de artistas como Silvio y Pablo.

Y, por supuesto, me siento orgulloso, muy orgulloso, de ser contemporáneo de Raúl, de Camilo, del Che y de Fidel.

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