Alfredo Lopez, maestro di rivoluzionari

Pedro Antonio García http://www.granma.cu

alfredo lpezNarrano che Alfredo Lopez  (2  agosto 1894 Sagua La Grande – 20 luglio  1926 Avana)  era duro e secco. Julio Antonio Mella lo giustificava: «Così era necessario che fosse. Per dirigere le folle che lui diresse, per incanalarle per la via rivoluzionaria”. Piccolo di statura, il loro valore raggiungeva vette inimmaginabili. Al funerale di un amico, che aveva visto morire, dicono, accompagnò la processione al cimitero, revolver in mano, guidando una folla inferocita, accerchiato da una doppia colonna di polizia.

Nacque il 2 agosto 1894. Da bambino soffrì la discriminazione in una società che lo disprezzava per essere figlio naturale e povero. Data la mancanza di risorse a casa, andò in cerca di un’occupazione, all’età in cui altri solo pensano agli studi e al baseball. Con difficoltà giunse a L’Avana. Divenne linotipista a forza di dedizione e talento. Avrebbe potuto godere di un buon salario, ma decise essere sindacalista e condividere la sorte dei poveri della terra.

Organizzò sindacati e scioperi. Al momento del trionfo della Rivoluzione russa di Lenin, si solidarizzò con lei. Nel Congresso Operaio, del 1920, sostenne che l’evento salutasse i bolscevichi. La sua mozione fu accettata. Sostenitore della creazione di una centrale sindacale nazionale ed unica partecipò attivamente alla fondazione della Federazione Operaia di L’Avana (FOH) nel 1921 (che poi diresse), importante ed essenziale primo passo verso l’unità del proletariato per l’ indiscutibile peso specifico che aveva la provincia capitale all’interno del movimento operaio.

03Marzo25_Mella“Aveva un grande talento pratico” era solito dire Mella. Quando il fondatore della FEU ideò l’Università Popolare José Martí per elevare il livello culturale degli operai e dei loro figli, ebbe in Alfredo un collaboratore entusiasta che prestò i locali del Centro Operaio e anche le sedi di alcuni sindacati perché servissero come aule.

In un’occasione, narra Julio Antonio, un compagno spagnolo esclamò: “Che vengano gli americani e la facciano finita con la repubblica. Sarà lo stesso. Siamo operai e niente di più”. Alfredo mostrò il suo disaccordo. “No, ragazzo, non essere sciocco. La nostra repubblica è da scherzo. La nostra borghesia è come tutte. Ma così stiamo meglio. Se vengono gli yankee, vedrete cosa ci succede. Finisce tutto”. E ciò nonostante, il leader sindacale, abbracciò la lotta sociale, la nazionalità cubana.

Alla fine del 1925 Alfredo e Mella furono presi dalla polizia di Machado. Quella notte il sindacalista dormì nelle segrete di una caserma della polizia, il dirigente studentesco lo tirarono fuori dalla cella “per portarlo in prigione”. In realtà avevano intenzione di assassinarlo, ma alla fine non ebbero il coraggio. Al contrario, al leader della FOH ed a coloro che rimasero nelle segrete, i loro carcerieri assicurarono che Mella era morto cercando di fuggire.

Il giorno successivo, quando il giovane studente fu riportato nella sua cella, Alfredo non nascose la sua soddisfazione; “Ragazzo, che notte ci hai fatto passare. Ti credevamo morto. I cani lo dissero”. In quel volto indurito dalla discriminazione di una società ingiusta e la lotta contro la storia della neocolonia, Mella scoprì “un’espressione paterna e negli occhi un candore e allegria di bambino”.

Il fondatore della FEU, in quell’occasione, era accusato senza prove di un crimine che, a tutta evidenza, non aveva potuto commettere. Per commuovere il paese, Mella iniziò uno sciopero della fame, incompreso da molti. Alfredo, anche se disapprovava questo metodo, continuò al suo fianco come suo mentore e compagno.

Quando Mella, già in gravi condizioni, fu trasferito in un ospedale, il leader della FOH stringeva la sua mano e accanto al veicolo, anche se rispettava la decisione del suo più giovane amico, gli disse: “Non essere stupido, non lasciarti morire, abbiamo molto da fare e ancora molto da pulire per vincere. Mangia, ragazzo”. E nel suo viso Mella di nuovo vide l’espressione paterna.

Machado dovette ripiegare davanti al clamore popolare e sospendere l’arbitraria causa legale contro Mella, per questo Mella si vide costretto ad andare all’estero, nel gennaio 1926. Alfredo rimase a Cuba ed il 20 luglio dello stesso anno, mentre si dirigeva al Centro Operaio fu intercettato da un branco  di poliziotti armati di bastoni. Questa volta i pugni del valoroso sindacalista cedettero alla superiorità numerica. I suoi resti si trovarono, dopo il rovesciamento della tirannia di Machado, alle pendici del castello di Atarés.

Presentendo la tragica fine del suo amico, nell’agosto 1926, Mella scrisse su Alfredo Mella Lopez: “Guerriero, non ho parole per te. L’autore di queste righe oggi si sente orfano. Principiante nella lotta, fu con il tuo esempio, con la tua azione, che maturai esperienza […] Nessuno sa dove ti trovi, per caso è dato ai rivoluzionari scegliere la forma della nostra morte? Cadiamo come soldati, dove la pallottola nemica ci trova”.

“Maestro, fratello e compagno: le opere che tu facesti sono muti monumenti alla tua memoria. Quando giunga alla classe oppressa l’ora del nostro trionfo, la otterremo in gran parte per ciò che tu iniziasti. Non avrai viali delle città borghesi né statue nei parchi pubblici.

Ma ogni proletario saprà che le organizzazioni che tu fondasti sono i migliori monumenti alla tua memoria”.

Alfredo López, maestro de revolucionarios

Pedro Antonio García

Cuentan que Alfredo López era duro y se­co. Julio Antonio Mella lo justificaba: “Así era necesario que fuese. Para dirigir las multitudes que él dirigió, para encauzarlas por la senda revolucionaria”. Pequeño de estatura, su valor alcanzaba alturas inimaginables. En el sepelio de un amigo, a quien había visto morir, dicen, acompañó el cortejo al cementerio, revólver en mano, encabezando una muchedumbre enardecida, acechados por una doble columna de policías.

Nació el 2 de agosto de 1894. Desde niño padeció la discriminación de una sociedad que lo despreciaba por ser hijo natural y po­bre. Ante la falta de recursos en su hogar, marchó en busca de un empleo, a la edad en que otros solo piensan en los estudios y en el béisbol. Dando tumbos llegó a La Habana. Se hizo linotipista a fuerza de dedicación y talento. Pudo haber disfrutado de buenos salarios, pero decidió ser sindicalista y compartir la suerte de los pobres de la tierra.

Organizó gremios y huelgas. Cuando triunfó la Revolución Rusa de Lenin, se solidarizó con ella. En el Congreso Obrero de 1920 abogó por que el evento saludara a los bolcheviques. Su moción fue aceptada. Partidario de la creación de una central sindical nacional y única, participó activamente en la fundación de la Federación Obrera de La Habana (FOH) en 1921 (la cual luego lideró), importante e imprescindible primer paso hacia la unidad del proletariado por el indiscutible peso específico que tenía la provincia capital dentro del movimiento obrero.

“Tenía un gran talento práctico”, solía decir Mella. Cuando el fundador de la FEU ideó la Universidad Popular José Martí para elevar el nivel cultural de los obreros y sus hijos, tuvo en Alfredo un entusiasta colaborador que prestó los locales del Centro Obrero e incluso las sedes de algunos sindicatos para que sirvieran como aulas.

En una ocasión, narra Julio Antonio, un camarada español exclamó: “Que vengan los americanos y acaben con la república. Es­ta­remos igual. Somos obreros y nada más”. Al­fre­do mostró su desacuerdo. “No, chico, no seas tonto. Nuestra república es de choteo. Nuestra burguesía es como todas. Pero así estamos mejor. Si viene el yanqui, ya verás lo que nos pasa. Se acaba todo”. Y con todo, el líder sindical abarcaba la lucha social, la nacionalidad cubana.

A finales de 1925 a Alfredo y a Mella los detuvo la policía machadista. Esa noche el sindicalista durmió en las mazmorras de un cuartel de la policía, al dirigente estudiantil lo sacaron de la celda “para llevarlo a la cárcel”. En realidad tenían intenciones de asesinarlo pero al final no se atrevieron. En cambio, al líder de la FOH y a los que se quedaron en las mazmorras, sus carceleros les aseguraron que Mella había muerto tratando de fugarse.

Al otro día, cuando el joven estudiante fue devuelto a su celda, Alfredo no ocultaba su satisfacción; “Muchacho, que noche nos has hecho pasar. Te creíamos muerto. Los perros lo dijeron”. Y en aquel rostro endurecido por la discriminación de una sociedad injusta y la lucha contra los anales de la neocolonia, Mella descubrió “una expresión paternal y en los ojos, una candidez y alegría de niño”.

Al fundador de la FEU, en aquella ocasión, le acusaban sin pruebas de un delito que, a todas luces, no había podido cometer. Para conmocionar al país, Mella inició una huelga de hambre, incomprendida por muchos. Alfredo, aunque desaprobaba ese método, continuó a su lado como su mentor y camarada.

Cuando a Mella, ya en estado grave, lo trasladaban a un centro hospitalario, el líder de la FOH apresaba su mano y ya junto al vehículo, aunque respetaba la decisión de su más joven amigo, le dijo: “No seas bobo, no te dejes morir, tenemos mucho que hacer y aún mucho que limpiar para triunfar. Come, chico”. Y en su cara vio Mella otra vez la expresión paternal.

Machado tuvo que replegarse ante el clamor popular y suspender la arbitraria causa judicial contra Mella, pero este se vio obligado a marchar al extranjero en enero de 1926. Alfredo permaneció en Cuba y el 20 de julio de ese año, mientras se dirigía al Centro Obrero, fue interceptado por una jauría policiaca ar­mada de bastonazos. Esta vez los puños del recio sindicalista sucumbieron ante la superioridad numérica. Sus restos se hallaron tras el derrocamiento de la tiranía machadista en las faldas del castillo de Atarés.

Presintiendo el fin trágico de su amigo, en agosto de 1926, Mella escribió sobre Alfredo López: “Guerrero, no tengo palabras para ti. El autor de estas líneas se siente hoy huérfano. Bisoño en la lucha, fue con tu ejemplo, con tu acción, que él adquirió experiencia […] Nadie conoce tu paradero, ¿acaso nos es dado a los revolucionarios escoger la forma de nuestra muerte? Caemos como soldados, donde la bala enemiga nos encuentre”.

“Maestro, hermano y compañero: las obras que tú hiciste son mudos monumentos a tu memoria. Cuando nos llegue a la clase oprimida la hora de nuestro triunfo, la obtendremos en gran parte por lo que tú iniciaste. No tendrás avenidas de ciudades burguesas ni estatuas en los parques públicos.

Pero cada proletario sabrá que las organizaciones que tú fundaste son los mejores monumentos a tu memoria”.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.