Fidel è una cultura

Iroel Sánchez http://www.cubadebate.cu

1682383_fidelcastroDa quando ho l’uso della ragione politica ho sentito parlare di quello che sarebbe successo il giorno che Fidel non fosse a capo di Cuba. Mi ricordo di un documentario della Scuola di Cinema di San Antonio che ho visto anni fa in una delle Fiere del libro che si facevano in Pabexpo: un uomo parla da un telefono pubblico e gli sparano a bruciapelo la domanda di rito, “la debacle”, rispondeva l’interrogato con un’espressione facciale in accordo con quelle due parole.

Neppure vi è stato modo in cui uscissi da Cuba prima del 2006, quando Fidel si ammalò gravemente e delegò le sue responsabilità come capo del paese, in cui non mi facessero la solita domanda che la realtà si è impegnata a rispondere.

Ma … perché si associa il destino di un paese a quello di una persona, sia amico o nemico del segno che questa, indiscutibilmente,ha imposto al destino di Cuba e oltre? Perché detiene il record di essere il leader contro cui più tentativi di assassinio si sono architettati? come è possibile che, nonostante essere stato trattato in modo ostile dai principali media del pianeta dovunque si recò fu accolto con ardore dalle folle?

Cuba fu l’ultima nazione americana a liberarsi dal colonialismo spagnolo. Spagna concentrò contro i patrioti cubani tutta la sua forza in tre guerre in cui il genio militare e politico dei più abili figli dell’isola, benché mise all’angolo uno dei più potenti imperi della storia, fu colpito in momenti critici dalla divisione. I nordamericani approfittarono della morte dei più prestigiosi leader indipendentisti -Antonio Maceo e José Martí- per sottrarre l’indipendenza, dividendo e corrompendo molti cubani con trascorso insurrezionale. Ci sono voluti più di due decenni affinché una nuova generazione riprendesse Marti, riscattasse la sua ideologia anti-imperialista e la proiettasse, insieme al pensiero marxista, come soluzione ai mali di una repubblica dipendente e corrotta.

Il popolo cubano, allora, diede vita a uomini come Julio Antonio Mella, Rubén Martínez Villena ed Antonio Guiteras, che unirono il pensiero di Martí e l’ideologia socialista con l’azione rivoluzionaria, ma che non sopravvissero al processo chiamato Rivoluzione del 30 che, in modo importante, loro contribuirono alla gestazione dagli inizi della decade degli anni venti del secolo scorso ma che, di nuovo, fu colpita da divisioni tra le forze rivoluzionarie. L’ambasciata USA cospirò con quello che sarebbe stato il suo uomo forte a partire da allora, Fulgencio Batista, e con il discorso del “buon vicino” riuscì a ristabilire il controllo della situazione. Si generarono, allora, nuovi inganni e frustrazioni.

Anche se una Costituzione proclamò, nel 1940, diritti molto avanzati per l’epoca, in periodi elettorali successivi le forze politiche che si proclamarono ereditiere della Rivoluzione del 30, una volta giunte al potere, si rivelarono corrotte e servili al dominio USA. Il Partito Comunista si era politicamente dissanguato, obbedendo all’ordine di Mosca di creare Fronti Popolari, e andando alle prime elezioni, disciplinate dalla nuova Costituzione, in alleanza con lo stesso Batista che, al servizio dell’imperialismo, aveva dato il colpo di grazia alla Rivoluzione del 30. Un nuovo Partito politico, con il nome di Ortodosso, nelle cui fila militava il giovane avvocato Fidel Castro, capitalizzò il malcontento popolare con lo slogan “Vergogna contro denaro”, il suo capo intrappolato in una denuncia che non poté provare si suicidò, ed alle porte delle elezioni in cui quel Partito aveva la vittoria certa, un colpo di stato guidato da Batista avrebbe cambiato radicalmente la situazione.

Davanti all’inerzia del Partito a cui apparteneva ed esaurite le vie politiche, Fidel Castro abbraccia la via armata, organizza in segreto un gruppo selezionato di giovani e sorprende la nazione il 26 luglio 1953 assaltando la seconda fortezza militare del paese, con la palpabile dimostrazione che lui, ed il Movimento che guidava, erano disposti a rischiare la vita per realizzare i sogni con cui, tante volte, avevano ingannato i cubani. Il suo discorso di autodifesa, diffuso clandestinamente dal carcere, fu il programma rivoluzionario che gli valse il sostegno popolare, avallato perché questa volta le parole ed i fatti erano senza demagogia. Erano ritornati Martí, Maceo, Guiteras, Mella e Ruben in una sola persona. Fidel era l’organizzatore e l’uomo d’azione, l’intellettuale ed il politico con etica, il leader disposto a rischiare la pelle per provare le sue idee. Il popolo mille volte ingannato vide in lui tutto questo e decise di lanciarsi, un’altra volta, alla Rivoluzione.

Il resto è noto. Si poteva fare una Rivoluzione senza l’esercito o con l’esercito ma non contro questo, e Fidel ruppe il dogma. Fresco ancora il crimine della CIA contro la Rivoluzione guatemalteca del 1954, neppure un governo latino-americano poteva sfidare gli USA e meno ancora fare una riforma agraria che colpisse gli interessi nordamericani, Fidel ritornò a rompere il dogma e da allora saltarono in aria gli impossibili a Cuba. Ma non era sufficiente, in Africa erano invincibili i mercenari bianchi e l’esercito razzista del Sudafrica fino a che, i neri ed i meticci guidati da Fidel, dimostrarono il contrario. Come ha scritto lo storico Piero Gleijeses, in Africa, Cuba umiliò una potenza della guerra fredda -USA- e sfidò l’altra -l’Unione Sovietica- agendo per motivazioni proprie a favore dei popoli africani.

Impossibile era anche che la Rivoluzione si mantenesse al potere, a Cuba, dopo la scomparsa dell’URSS, che un paese del Terzo Mondo competesse in prodotti biotecnologici con quelli del primo e vivesse con l’esportare servizi professionali; ma i cubani guidati da Fidel lo resero possibile.

Bisognava ucciderlo perché Fidel è la possibilità che i trascurati, quelli sotto, rendano possibile ciò che gli hanno sempre negato. E non bastava ucciderlo,bisognava screditarlo. “La rivoluzione è non mentire mai”, ha detto l’uomo su cui, forse, si è più mentito.

Da dieci anni Fidel non governa a Cuba e ogni giorno vissuto da allora è stata una giornata di sconfitta per i suoi potenti nemici. Un giorno in cui si ricorda che non poterono batterlo né con la guerra, né con l’assassinio; né con il blocco economico, intensificato dopo la caduta dell’Unione Sovietica.

Quella vittoria non avrebbe senso se la Rivoluzione non continuasse. Fidel non avesse lavorato duramente in tutti questi anni, non avesse dedicato la sua vita alla formazione del suo popolo, se non è perché la Rivoluzione gli sopravvivesse.

Ma con l’eccezione di Cuba, solo i paesi con ampia geografia, lontani dagli USA, con una massa demografica critica, millenaria cultura e propria lingua hanno resistito, in modo prolungato, all’egemonia nordamericana.

“Fidel è un paese” scrisse Juan Gelman, ma questo era all’inizio della Rivoluzione. Oggi Fidel è una cultura, una geografia della giustizia e della sovranità, un linguaggio di solidarietà che accomuna molte persone al di là dei confini di Cuba. La Rivoluzione sopravviverà se si mantiene viva tale cultura.

(Da Al Mayadeen)

Fidel es una cultura

Iroel Sánchez

Desde que tengo uso de razón política estuve oyendo hablar sobre qué pasaría el día que Fidel no estuviera al frente de Cuba. Recuerdo un documental de la Escuela de Cine de San Antonio que vi hace años en una de las Ferias del libro que se hacían en Pabexpo: Un hombre habla por un teléfono público y le disparan a boca de jarro la pregunta de marras, “la debacle”, respondía el interrogado con una expresión facial acorde con esas dos palabras.

Tampoco hubo vez en que saliera de Cuba antes de 2006, cuando Fidel enfermó gravemente y delegó sus responsabilidades al frente del país, en que no me hicieran la consabida pregunta que la realidad se ha encargado de responder.

Pero… ¿por qué se asocia tanto el destino de un país al de una persona, se sea amigo o enemigo del signo que esta, indiscutiblemente, ha impuesto al destino de Cuba y más allá?¿por qué ostenta el récord de ser el líder contra el que más intentos de asesinato se han fraguado?¿cómo es posible que a pesar de haber sido tratado de modo hostil por los principales medios de comunicación del planeta donde quiera que viajó fue acogido fervorosamente por las multitudes?

Cuba fue la última nación americana en liberarse del colonialismo español. España concentró contra los patriotas cubanos toda su fuerza en tres guerras en las que el genio militar y político de los más capaces hijos de la Isla, aunque arrinconó a uno de los imperios más poderosos de la historia, fue golpeado en los momentos críticos por la división. Los norteamericanos aprovecharon la muerte de los más prestigiosos líderes independentistas -Antonio Maceo y José Martí- para escamotear la independencia, dividiendo y corrompiendo a muchos cubanos con trayectoria insurreccional. Tuvieron que pasar más de dos décadas para que una nueva generación retomara a Martí, rescatara su ideario antiimperialista y lo proyectara junto al pensamiento marxista como solución para los males de una república dependiente y corrupta.

El pueblo cubano entonces parió hombres como Julio Antonio Mella, Rubén Martínez Villena y Antonio Guiteras, que juntaron el pensamiento martiano y el ideario socialista con la acción revolucionaria pero que no sobrevivieron al proceso llamado Revolución del 30 que de manera importante ellos contribuyeron a gestar desde inicios de la década de los años veinte del siglo pasado pero que nuevamente fue golpeado por divisiones entre las fuerzas revolucionarias. La embajada de Estados Unidos conspiró con el que sería su hombre fuerte a partir de entonces, Fulgencio Batista, y con el discurso del “Buen Vecino” logró restablecer el control de la situación. Se generaron entonces nuevos engaños y frustraciones.

Aunque una Constitución proclamó en 1940 derechos muy avanzados para la época, en periodos electorales sucesivos las fuerzas políticas que se proclamaron herederas de la Revolución del 30, una vez llegadas al poder, se revelaron como corruptas y serviles a la dominación norteamericana. El Partido Comunista se había desangrado políticamente, obedeciendo la orden de Moscú de crear Frentes Populares, y acudiendo a las primeras elecciones regidas por la nueva Constitución en alianza con el mismo Batista que al servicio del imperialismo había dado el tiro de gracia a la Revolución del 30. Un nuevo Partido político con el nombre de Ortodoxo, en cuyas filas militaba el joven abogado Fidel Castro, capitalizó el descontento popular bajo el lema “Verguenza contra dinero”, su líder atrapado en una denuncia que no pudo probar se suicidó, y a las puertas de las elecciones donde ese Partido tenía la victoria segura, un golpe de estado encabezado por Batista cambiaría radicalmente la situación.

Ante la inacción del Partido al que pertenecía y agotadas las vías políticas, Fidel Castro abraza la vía armada, organiza en secreto un selecto grupo de jóvenes y sorprende a la nación el 26 de julio de 1953 asaltando la segunda fortaleza militar del país, con la demostración palpable de que él y el Movimiento que encabeza están dispuestos a jugarse la vida por realizar los sueños con que tantas veces habían engañado a los cubanos. Su discurso de autodefensa, difundido clandestinamente desde la prisión, fue el programa revolucionario que le ganó el apoyo popular, avalado porque esta vez la palabra y los hechos se encontraban sin demagogia. Habían regresado Martí, Maceo, Guiteras, Mella y Rubén en una sola persona. Fidel era el organizador y el hombre de acción, el intelectual y el político con ética, el líder dispuesto a jugarse el pellejo para probar sus ideas. El pueblo mil veces engañado vio en él todo eso y decidió lanzarse otra vez a la Revolución.

El resto es conocido. Se podía hacer una revolución sin el ejército o con el ejército pero no contra éste, y Fidel rompió el dogma. Fresco aun el crimen de la CIA contra la Revolución guatemalteca de 1954, tampoco un gobierno latinoamericano podía desafiar a Estados Unidos y menos hacer una Reforma agraria que afectara intereses norteamericanos, Fidel volvió a romper el dogma y desde entonces saltaron por los aires los imposibles en Cuba. Pero no fue suficiente, en África eran invencibles los mercenarios blancos y el ejército racista sudafricano hasta que negros y mestizos dirigidos por Fidel demostraron lo contrario. Como ha escrito el historiador Piero Gleijeses, en África Cuba humilló a una potencia de la Guerra fría –EEUU- y desafió a la otra –la Unión Soviética-, actuando por motivaciones propias a favor de los pueblos africanos.

Imposible era también que la Revolución se mantuviera en el poder en Cuba tras la desaparición de la URSS, que un país del Tercer Mundo compitiera en productos biotecnológicos con los del primero y viviera de exportar servicios profesionales pero los cubanos guiados por Fidel lo posibilitaron.

Había que matarlo porque Fidel es la posibilidad de que los postergados, los de abajo, hagan posible lo que siempre les han negado. Y no bastaba con matarlo, había que desacreditarlo. “Revolución es no mentir jamás”, ha dicho el hombre sobre el que quizás más se haya mentido.

Hace diez años que Fidel no gobierna en Cuba y cada día vivido desde entonces ha sido un día de derrota para sus poderosos enemigos. Un día en que se recuerda que no pudieron vencerlo ni con la guerra, ni con el asesinato; ni con el bloqueo económico, recrudecido después de la caída de la Unión Soviética.

Esa victoria no tendría sentido si la Revolución no continúa. Fidel no hubiera trabajado intensamente todos estos años, no hubiera consagrado su vida a la educación de su pueblo, si no es para que la Revolución lo sobreviva.

Pero con excepción de Cuba, solo países de geografía numerosa, lejanos de EEUU, con masa crítica demográfica, cultura milenaria y lengua propia han resistido de manera prolongada la hegemonía norteamericana.

“Fidel es un país” escribió Juan Gelman pero eso era a inicios de la Revolución. Hoy Fidel es una cultura, una geografía de la justicia y la soberanía, un lenguaje de la solidaridad que une a muchas personas más allá de las fronteras de Cuba. La Revolución sobrevivirá si mantiene viva esa cultura.

(Tomado de Al Mayadeen)

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.