Ay, Nicaragua, Nicaragüita

Alessandra Riccio – https://nostramerica.wordpress.com

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Ho talmente presente il momento in cui leggevo, un sacco di anni fa, La montagna es algo más que una estepa verde, che ritrovarmelo fra le mani adesso ha cancellato in un attimo il tanto tempo e le tante cose passate. Per mia grande sorpresa, il libro di memorie del combattente sandinista Omar Cabezas è stato tradotto e pubblicato in Italia a più di trent’anni dalla sua prima edizione del 1982.

Nello stesso periodo, ho ricevuto anche Perché non mi dai un bacio, la straordinario storia di Zelinda Roccia, raccolta da Francesca Caminoli per Jaca Book, una donna che dalla natia Sardegna si è trasferita in Nicaragua dove ha messo su il Progetto Los Quinchos di assistenza e cura per bambini e adolescenti nicaraguensi.

Il Nicaragua è tornato così, prepotentemente, alla mia attenzione attraverso questi due libri molto più che attraverso le notizie della politica e della cronaca. Ero rimasta bloccata al mio ricordo di un’alba nel Centro Olof Palme di Managua, nel lontano 25 aprile del 1990, dopo una nottata in attesa degli esiti elettorali che si era conclusa con la sorprendete notizia della sconfitta del Fronte Sandinista. Ricorderò sempre il discorso di Daniel Ortega, l’espressione sconfortata e sorpresa di Eduardo Galeano, lo sconcerto generale e la fine del grande sogno di una rivoluzione pluralista e aperta. Troppo aperta –come si è poi constatato- alla critica, alle alleanze, al gioco democratico condotto e diretto da forze assai più potenti di quella dei comandanti sandinisti, coraggiosi, a volte eroici, ma forse impreparati all’impari lotta scatenata dall’opposizione e dagli Stati Uniti d’America alla cui guida c’era l’accanito Roland Reagan, determinato a non permettere un’altra Cuba nel “cortile di casa”.

Il Nicaragua rivoluzionario aveva acceso le speranze di un altro mondo possibile ed era piaciuto ai progressisti di ogni latitudine. Si faceva a gomitate per andare a vedere di persona il fenomeno di una rivoluzione pluralista, aperta, né diffidente né occhiuta, dove si entrava e si usciva dai ministeri senza particolari controlli.

Io sono stata fra quelli che volevano andare a vedere. Ci sono arrivata uno o due anni dopo il 1979, anno della cacciata di Somoza e della vittoria sandinista, ed ho avuto la fortuna di vivere in casa di due donne generose e straordinarie. La prima Stella Calloni, giornalista argentina molto nota e rispettata, che era a Managua per mettere su un valido ufficio stampa che informasse il mondo sugli straordinari avvenimenti di quel piccolo paese dell’America centrale; l’altra era la scrittrice, poetessa e militante femminista Rosamaria Roffiel, volontaria a Managua per aiutare alla pubblicazione del quotidiano del sindacato, El Trabajador.

Con loro ho visto e conosciuto un paese pieno di ottimismo e di fermenti, giovani guerriglieri pronti alla sfida di costruire un paese nuovo, lì ho visto la disperazione di chi non poteva dimenticare l’orrore della guerra e della dittatura, la miseria dei tanti bambini randagi in un paese in cui la repressione, la povertà e la guerra avevano segnato profondamente soprattutto i giovani e i giovanissimi. Sono tornata molte altre volte in Nicaragua nei dieci anni di governo rivoluzionario, ma l’esperienza di quei primi momenti è indimenticabile. Poi ci sono stati decenni di opacità, i comandanti sandinisti si erano presi la loro fetta di ricchezza e di potere, le rivalità e le invidie si moltiplicavano, vi furono sdegnosi allontanamenti da quell’esperienza di potere. Lo scrittore Sergio Ramírez, ex vice primo ministro, prendeva le distanze e accusava Ortega di molte, motivate colpe. Altrettando faceva Ernesto Cardenal, grande poeta, ex ministro della cultura i cui strali colpivano per prima la moglie di Ortega, Rosario Murrillo. L’accusa di una figlia della Murrillo di aver subito abusi sessuali ripetuti dal padrastro, Daniel Ortega, gettava ombre cupissime su un’esperienza che aveva acceso grandi speranze. La rielezione di Ortega, appoggiato fortemente da Monsignor Obando y Bravo, vescovo di Managua e un tempo acerrimo nemico dei sandinisti, mi lasciava sconcertata e molto scettica. L’ultima notizia è la recente ricandidatura del tiket Ortega-Murillo alla presidenza. Quel Nicaragua che avevo conosciuto e che avevo vissuto insieme ad altre donne coraggiose e rivoluzionarie era ormai lontanissimo.

Ed ecco che arriva, in italiano, Fuoco sulla montagna, la testimonianza di Omar Cabezas della sua esperienza di studente di León, giovane, allegro e sfrontato, che sa che il peso di una dittatura sanguinosa soffoca una popolazione votata all’allegria. Lo spettacolo, in diretta, della morte di Julio Buitrago, intrappolato –solo- in una casa assediata e crivellata di colpi dall’esercito di Somoza, l’esempio del giovane poeta Lionel Rugama, l’orgoglio di sentirsi segretamente parte di un’avanguardia, lo convincono ad entrare in clandestinità prima e a salire in montagna poco più tardi. Il suo è un vero e proprio “camino de perfección” che lo condurrà ad uno straordinario affinamento dei sensi, a controllare e perfezionare il suo temperamento, a superare paure, solitudine, bisogni materiali per riuscire ad aggregare sempre nuove forze alla causa rivoluzionaria con l’esempio. Il suo ritorno in città dopo la terribile e definitiva esperienza della selva, è come un viaggio nel tempo, il ritorno ai libri, alla sua funzione di insegnamento alla lotta, fino alla vittoria. Omar Cabezas ha poi rivestito incarichi importanti nel governo sandinista. Ma quello che ha voluto testimoniare nel suo libro –la cruda realtà della vita nella selva, il ritorno a forme di vita animalesche, la grande forza di volontà necessaria a superare sofferenze e abbattimenti- è stata la speranza di poter servire alle cause rivoluzionaria in ogni parte del mondo. In questo seguendo le indicazioni del Che Guevara che per primo ha scritto dell’esperienza della lotta rivoluzionaria e per primo ha stimolato i guerriglieri a raccontare la propria esperienza per non farne perdere la memoria.

E’ arrivato poi Perché non mi dai un bacio, dove Francesca Caminoli racconta in prima persona la vita di una ragazza sarda nata e cresciuta in un ambiente circense, nutrita di nomadismo e acrobazie ma poi insegnante, giovane donna sempre preoccupata del sociale, viaggiatrice avventurosa, addirittura temeraria, affascinata dal Terzo Mondo e dall’America Latina. Quando capita nel Nicaragua sandinista si innamora ma non della rivoluzione quanto di quella gente, di quei ragazzini privi di tutto, forse neanche orfani, ma randagi fra le rovine di una città mai ricostruita dopo il terremoto. Fin da quando uno di quegli scugnizzi le chiede: “Perché non mi dai un bacio?”, il suo cuore, la sua volontà, la sua tenacia sono al servizio di questi ragazzini, in un primo tempo solo maschi, ma via via che il progetto cresce, anche delle ragazze. Ma Zelinda non è una dama benefica, il suo progetto Los Quinchos ha poco a che vedere con simili, più importanti e più famose iniziative di assistenza o adozione a distanza, Zelinda ha i piedi per terra, conosce il mondo e sa quel che serve alla crescita “umana” di un’infanzia privata di tutto. Intervistata dalla Caminoli, in modo sbrigativo e chiaro, descrive la sua strategia: “Ho sempre percorso la strada dei piccoli passi, dei microprogetti, non per seguire una morale o una linea politica, ma perché penso che i grandi finanziamenti governativi, di tutti i paesi, e delle grandi Ong sono pericolosi. Sono finanziamenti molto ricchi che obbligano perciò a seguire la linea di chi te li dà, modificano e snaturano il tuo progetto, partono dalle esigenze a tavolino del paese finanziatore e se ne infischiano della realtà dove questi soldi vanno a finire”.

Omar Cabezas, Fuoco dalla montagna, Milieu edizioni, pp. 250. €15.90.

Francesca Caminoli, Perché non mi dai un bacio? Una donna accanto ai bambini di strada, Jaca Book, pp. 111, € 12.00.

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