Venezuela, Maduro nel mirino di Tillerson (e di Casini)

di Geraldina Colotti – Il Manifesto

fbe403b77ef000bac8f51de530be7926Cannoniere puntate contro il Venezuela, che non si piega ai poteri forti. La prima bordata arriva, ovviamente, dagli USA. La seconda, da un suo vassallo storico, l’Italia.

Nel primo caso, ad annunciare i colpi che stanno per abbattersi sul paese bolivariano, è stato il segretario di Stato Rex Tillerson. L’ex capo della Exxon Mobil ha un contenzioso aperto con Caracas fin dai tempi di Chavez. La sua compagnia è una delle poche ad aver rifiutato le condizioni poste dal governo per continuare a far affari in Venezuela senza portarsi via tutta la torta, come avveniva nella Quarta repubblica. Da qui una vertenza multimilionaria aperta nei tribunali di arbitraggio, manco a dirlo basati negli Usa.

Intanto, la Exxon mobil ha deciso di procedere arbitrariamente all’estrazione di petrolio nelle acque contese dell’Esequibo, entrando in questo modo nella storica disputa tra Venezuela e Guyana, di competenza internazionale. I presidenti dell’America latina progressista hanno invitato Trump a impostare relazioni di rispetto con l’ex cortile di casa. Tillerson ha però indicato che intende procedere in direzione contraria. La sua intenzione è quella di favorire “una transizione alla democrazia in Venezuela”: la “democrazia” che piace agli Usa, ovviamente, non quella “partecipata e protagonista” che vige in quel paese, certificata da una ventina di elezioni, l’ultima delle quali ha dato all’opposizione la maggioranza in Parlamento.

Una maggioranza che però non basta a sovvertire il sistema di equilibrio dei cinque poteri previsti dalla costituzione bolivariana. E questo non piace agli Usa, che promettono di attizzare l’ossessione antichavista del segretario dell’OSA, Luis Almagro, e di applicare la Carta democratica interamericana al governo Maduro: un sistema di sanzioni, economico e politico, sul modello di quello tutt’ora in vigore contro Cuba.

Su questo, Tillerson ha promesso continuità con le decisioni di Obama, che prima di lasciare l’incarico ha rinnovato per un altro anno le sanzioni al Venezuela, considerato addirittura “una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati Uniti”. Sanzioni richieste da gran parte dell’opposizione venezuelana che auspica il ritorno al modello FMI.

Per questo, il segretario di Stato “trumpista” ha detto di contare su un’alleanza tra Brasile, Colombia e OSA, onde moltiplicare nel continente il modello dei golpe istituzionali, degno correlato delle “rivoluzioni colorate”.

Sulla stessa linea si situa la mozione presentata in Senato da Pierferdinando Casini, presidente della Commissione affari esteri e condivisa anche dal Pd. Un testo discusso con procedura d’urgenza per assumere in toto la posizione della destra venezuelana, e per chiedere all’Italia e all’Europa di intervenire: per “ripristinare la separazione dei poteri e salvaguardare le attribuzioni dei diversi organi costituzionali” in Venezuela…

La mozione è stata rinviata per l’opposizione dei 5 Stelle, di Sinistra italiana e anche della Lega nord (non per motivi di merito, ma di priorità). Verrà però votata oggi (in concomitanza a quella presentata alla Commissione analoga in Parlamento da Cicchitto) insieme a una mozione alternativa, presentata dalla senatrice Ornella Bertorotta, capogruppo dei pentastellati. Il testo del M5S impegna il governo italiano ad avviare un dialogo con quello venezuelano, sottolineando che la situazione descritta da Casini non corrisponde a quella reale.

A sostenerlo sono infatti diversi organismi internazionali – Fao, Cepal, Unesco, G77, Mnoal, Unasur… – i cui dati non indicano affatto la “crisi umanitaria” pretesa dalle destre per giustificare le ingerenze esterne. E, d’altro canto, che certi politici fautori dei tagli sociali e delle spese militari in Italia diventino paladini dei “diritti economici” in un paese che a tutelarli dedica oltre il 70% delle sue entrate, dovrebbe pur far nascere qualche sospetto.

Ma tant’è. Molti di quelli che parlano del Venezuela non sanno neanche dove si situi sull’atlante, tanto meno ne conoscono la storia. Ieri, il Venezuela ha ricordato il “23 enero”: la cacciata del dittatore Marco Perez Jimenez, partita dal quartiere che poi prenderà il nome da quella storica data, il 23 gennaio. Una resistenza guidata dal Partito comunista e dagli ufficiali progressisti in un’alleanza tra forze di sinistra e nazionalisti (la Junta Patriotica).

Una resistenza “tradita” perché, in seguito, Washington ha cercato di tutelarsi contro “il pericolo rosso” governando un’alleanza tra centrodestra e centrosinistra che ha escluso i comunisti dal potere fino all’arrivo di Chavez, il 6 dicembre del 1989. La sinistra venezuelana, allora, si spaccò fino alla lotta armata contro il “patto di Punto Fijo”. Il giovane giornalista deputato, Frabricio Ojeda, leader della Junta Patriotica, era stato eletto nel Partito Union Republicana Democratica (Urd), una delle formazioni incluse nel Patto di Punto Fijo.

Scelse, però, di dimettersi e organizzò la guerriglia nel solco della rivoluzione cubana. Condannato in seguito a 18 anni di carcere, verrà trovato impiccato in cella. Ieri, le sue ceneri sono state trasferite dal Pantheon nazionale di Caracas.

L’opposizione ha deciso di abbandonare il dialogo sostenuto dalla UNASUR e dal papa Bergoglio. Ieri è tornata a manifestare per chiedere la caduta di Maduro: “Questa – ha detto l’ex candidato presidenziale Henrique Capriles – è l’ultima manifestazione annunciata. Le altre saranno a sorpresa”. Nel 2014, le manifestazioni violente per far cadere il governo (le “guarimbas”) hanno provocato 43 morti e oltre 850 feriti.

Fonte: Il Manifesto

Sen. Ornella Bertorotta (M5S): «Basta attacchi al Venezuela»

di Geraldina Colotti – Il Manifesto

Sul voto in Senato contro il Venezuela bolivariano, abbiamo sentito la senatrice Ornella Bertorotta, che ha presentato una mozione alternativa insieme a Peppe De Cristofaro, di Sinistra Italiana.

Casini torna dal Venezuela e chiede che l’Italia intervenga per cambiare l’ordinamento democratico di quel paese. Qual è la posizione del Movimento 5 Stelle al riguardo?

Il M5S agisce in politica estera guardando agli interessi degli italiani, dalla ratifica dei trattati in commissione affari esteri, fino all’analisi della situazione geopolitica. Un altro elemento che contraddistingue la nostra politica estera è la ricerca del dialogo e della pace. La mozione di Casini porterebbe a un peggioramento dei rapporti tra il Venezuela e l’Italia, aumentando la tensione interna e metterebbe a rischio gli interessi dei nostri connazionali nel Paese. C’è poi un aspetto peculiare che riguarda gli impegni di questa mozione: ovvero la pesante ingerenza negli affari interni e nell’equilibrio democratico del Paese. Non possiamo chiedere a nessuno di cambiare l’equilibrio di poteri di un altro Paese, non lo abbiamo tollerato durante la campagna referendaria sulla nostra costituzione, non vedo perché dovremmo promuovere questa ingerenza per altri Paesi.

Quali sono i passaggi e le conseguenze della mozione?

Le mozioni di solito hanno un effetto di indirizzo verso il Governo. In questo caso, siamo rimasti sconcertati dalla velocità con la quale la mozione di Casini è stata calendarizzata. In un momento in cui la burocrazia blocca i soccorsi nelle zone terremotate colpite da una prevedibile ondata di freddo, il Senato, invece di lavorare su provvedimenti necessari ai terremotati, è stato impegnato per l’esigenza personale di Casini, che solo lunedì scorso ha presentato la mozione per chiedere la firma ai vari gruppi politici e già mercoledì ha ottenuto la discussione in aula, senza un confronto preliminare in Commissione Affari Esteri e ad appena qualche settimana dalla visita lampo del presidente della Commissione Affari Esteri in Venezuela a fine dicembre. E’ chiaro che tra le due cose c’è una relazione, legittima per carità, ma è assurdo che con mozioni presentate l’anno scorso e ancora in attesa di discussione e l’emergenza terremoto che chiede risposte immediate, si discuta di altro; questa fretta risulta quantomeno inopportuna.

 La nostra mozione guardava in maniera concreta agli interessi degli italiani in Venezuela. Riteniamo che aumentare ulteriormente lo scontro politico non sia un bene per i nostri connazionali, per questo abbiamo chiesto di avviare un dialogo con il Governo venezuelano, nel pieno rispetto del principio di non ingerenza negli affari interni di altri stati al fine di tutelare la sicurezza dei nostri concittadini, condannare qualsiasi violenza anche da parte di gruppi di opposizione, supportare il processo di pace promosso dalla Santa Sede, stabilire forme di cooperazione finalizzate anche a pagare quanto prima le nostre aziende che esigono pagamento dei crediti con lo Stato venezuelano.

In questi giorni,il dipartimento di Stato Usa ha reso nota la sua posizione verso il Venezuela, per bocca di Tillerson, che ha i suoi interessi nella Exxon Mobil. Come si sa, la compagnia sta estraendo petrolio nelle acque contese dell’Esequibo tra Venezuela e Guyana e ha contenziosi miliardari con il Venezuela, dopo le nazionalizzazioni volute da Chavez. La posizione di Trump sulla “transizione democratica” da imporre al Venezuela coincide con quella del Pd. Qual è la posizione dei 5S?

Credo sempre abbastanza poco agli annunci, ma se così fosse, la posizione di Trump sarebbe identica a quella di Obama da cui il Pd trae ispirazione.

Che pensate dell’arrivo di Trump e del suo “protezionismo” imperialista?

Ricordo la prima elezione di Obama, le aspettative furono così alte che venne persino premiato con il Nobel per la Pace sulla fiducia. A distanza di otto anni, Obama non ha segnato una differenza né in politica estera, né in politica interna. Durante la sua presidenza, non è passato un giorno in cui gli Stati uniti non fossero in guerra con qualcuno. Credo che Trump non potrà far peggio.
Gli americani alle scorse elezioni lo hanno democraticamente scelto, in discontinuità con Obama. Credo che questa scelta vada rispettata e che occorra aspettare che il nuovo presidente cominci a lavorare. A noi interessano le pratiche ragionevoli, il dialogo e la concordia tra gli stati e le comunità. Se la politica estera di Trump andrà in questa direzione, saremo i primi a riconoscerlo e a supportare gli sforzi per la pace e la cooperazione. Viceversa, come con Obama, non risparmieremo critiche, ove necessarie.

Fonte: Il Manifesto
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