In Venezuela, lezioni di «democrazia partecipata»

di Geraldina Colotti* – Il Manifesto

In Venezuela, lezioni di «democrazia partecipata». La Sala Costituzionale del Tribunal Supremo de Justicia (Tsj) ha soppresso due sentenze – 155 e 156 – emesse il 28 marzo riguardo all’immunità parlamentare e alle funzioni dell’Assemblea nazionale, a maggioranza di opposizione.


Sentenze motivate dal persistere del «desacato» (ribellione) da parte delle destre, che hanno vinto le legislative del dicembre del 2015. Uno stato di insubordinazione che l’Alta corte ha ravvisato dopo l’assunzione d’incarico di tre deputati dello Stato Amazonas, invalidati per frode.

Lo scontro di poteri è proseguito da allora in punta di diritto (e di piazza) e nel costante appello all’intervento internazionale da parte dell’opposizione: fino all’acme accelerato dall’arrivo di Trump alla presidenza USA, a cui le destre hanno fatto ricorso per chiedere sanzioni e «modello libico», votato in Parlamento.

Sollecitato dall’esecutivo in merito a decisioni determinanti per l’economia del paese petrolifero e per la coesistenza pacifica interna, il Tsj ha interpretato più volte l’avanzata costituzione bolivariana, basata sull’equilibrio di cinque poteri di cui è ago della bilancia.

Uno di questi poteri è il Poder Moral, di cui fa parte il Pubblico ministero e la Procura generale. E proprio la Procuratrice generale Luisa Ortega Diaz, nota garantista, ha sollevato apertamente la questione: quegli articoli – ha detto – mettono a rischio l’indipendenza dei poteri.

Un’accusa sostenuta, in modo ben altrimenti strumentale, dalle destre internazionali: in testa il Segretario generale dell’OSA, Luis Almagro che da tempo definisce Maduro un dittatore contro il quale cerca di far attivare la Carta interamericana democratica e le sanzioni. Per lunedì, Almagro ha chiesto nuovamente una riunione d’emergenza all’Osa.

Molti costituzionalisti hanno usato l’intervento di Ortega a comprova che la separazione dei poteri esiste e per questo la Procuratrice generale ha potuto esprimersi così pubblicamente. Maduro ha però convocato d’urgenza una riunione del Consiglio di Sicurezza della Nazione.

Un’istanza a cui partecipano molti vertici delle istituzioni: dal Tsj, al presidente della Sala costituzionale, al vicepresidente esecutivo, al presidente del Poder ciudadano, al Controllore generale della repubblica, alla ministra degli Esteri, al ministro della Pianificazione, al ministro della Difesa. E al presidente del Parlamento, Julio Borges, che però non si è presentato.

«È uno show concordato», hanno affermato le destre che, fino a un momento prima avevano elogiato le dichiarazioni della Procuratrice generale. Intanto, molti leader di opposizione hanno chiamato alla rivolta, e nel paese si sono verificati alcuni blocchi stradali. Poi, sono circolate foto di alcuni di loro in partenza per gli Usa o per la Colombia (Capriles, amico dell’ex presidente Uribe, che ieri ha manifestato contro la pace in Colombia).

Il vicepresidente Tareck El Aissami ha letto un comunicato a nome del Consejo de Defensa de la Nación, nel quale si esortava il Tsj a recedere dalle due controverse sentenze in base alle quali il potere giudiziario avrebbe assunto, seppur momentaneamente, le funzioni di quello legislativo.

Maduro ha ringraziato la Procuratrice generale, che ha espresso le sue preoccupazioni dopo aver respinto ogni «atto di ingerenza straniera» e ribadito la fiducia nel modello bolivariano. Il presidente ha preso atto delle critiche, considerate una «dimostrazione della capacità di dialogo esistente fra i poteri pubblici e del dinamismo costituzionale della repubblica».

Il Venezuela – ha detto il presidente – «è oggetto un linciaggio politico, mediatico e diplomatico, di una persecuzione brutale da parte di forze oscure che vogliono mettere il cappio al nostro paese». Il Tsj ha così deliberato d’urgenza e ieri c’è stata la sentenza. «Non faremo niente che attenti contro la stabilità del paese», aveva detto il presidente del Tsj, Maikel Moreno, intervenendo dopo il vicepresidente El Aissami.

 Maduro ha potuto convocare il Consiglio di difesa in base all’articolo 323 della Costituzione. Nel documento licenziato si ribadisce l’intenzione di proseguire nel «dialogo fecondo» promosso con l’opposizione sotto l’egida della Unasur e del papa Bergoglio.

Si invita inoltre «l’opposizione venezuelana a prendere parte al dialogo» e a rigettare categoricamente ogni «intervento che attenti all’indipendenza, alla sovranità territoriale e all’autodeterminazione. Gli affari dei venezuelani – si legge – devono essere risolti esclusivamente da noi, senza ingerenze né interventi e nel rispetto assoluto della normativa interna dello Stato venezuelano».

In questi giorni, il capo della delegazione degli ex presidenti incaricati del processo di dialogo, lo spagnolo Zapatero, era arrivato nel paese. Un segnale contrario alla politica portata avanti dall’asse Trump-Almagro e dai paesi neoliberisti all’OSA, che vogliono sovvertire l’equilibrio istituzionale, e tornare alla «democrazia rappresentativa» che ha governato la IV Repubblica prima di Chavez. A conclusione del comunicato, il Consiglio di Difesa ha posto una frase di Simon Bolivar: «Solo la democrazia è portatrice di un’assoluta libertà, libertà che si definisce come il potere che ogni uomo ha di fare quel che non è proibito dalla legge».

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