Jesús Suárez Gayol

Nel  50º anniversario dell’assassinio  del Che e la morte dei suoi compagni della guerriglia, Granma  ricorda questi valorosi uomini che andarono a lottare per la vera indipendenza dell’America Latina.

10 aprile 1967 – Un altro giorno per la guerriglia, e sembrava che quella mattina  avrebbe presentato pochi avvenimenti. Restarono sorpresi quando avvisarono la truppa che 15  soldati erano arrivati al fiume, più in basso. Non restava altra cosa che prepararsi. E aspettare.

«Presto giunsero le prime notizie con un saldo sgradevole: il Rubio, Jesús Suárez Gayol, era ferito a morte. E giunse morto al nostro accampamento», racconta il Che nel suo diario in Bolivia.

Le cose andarono cosi. Informando dell’arrivo dei 15 soldati, il boliviano Guido Peredo Leigue (Inti) passò dove stava il Rubio e osservò che era una cattiva posizione perché era chiaramente visibile dal fiume.

I soldati avanzavano senza maggiori precauzioni, esplorando i margini alla ricerca di sentieri e in uno di questi si scontrarono con Israel Reyes Zayas (Braulio) e Antonio Jiménez Tardío (Pedro), prima di penetrare nell’imboscata. «Il fuoco durò pochi secondi e restarono sul terreno un morto e tre feriti, più sei prigionieri.  Poi morì anche un sottufficiale e scapparono in quattro».

Rubio era già agonizzante.

Jesús Suárez Gayol era nato a L’Avana il 24 maggio del 1936. La sua gioventù fu marcata dalla partecipazione alla lotta clandestina  dove aveva meritato il titolo di capo delle brigate giovanili del Movimento 26 di luglio a Camagüey  e successivamente in tutta Cuba, ragione per cui non fece parte della spedizione con lo yacht Granma.

Per via delle sue attività rivoluzionarie  dovette andarsene dal paese e si rifugiò in Messico.

Il 9 aprile del 1958 tornò in territorio cubano e lo nominarono capo di Azione e Sabotaggio del M-26-7 nella provincia di Pinar del Río. Poi si unì alla colonna del Che nell’allora provincia di Las Villas.

Dopo il trionfo della Rivoluzione, il 1º gennaio del 1959, occupò altre responsabilità nel Governo e fu membro del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba. I suoi desideri di libertà, d’aiutare gli altri, superavano i limiti di Cuba e il 19 dicembre del 1966 entrò nella guerriglia di Che Guevara in Bolivia.

«Caro figlio, sono molti i motivi che mi spingono a scriverti queste righe e lo faccio in circostanze molto simili e che dovrai leggere quando il tempo sarà trascorso, quando sarai più grande e potrai capire bene la decisione che ho preso…
«(…) il dovere di un rivoluzionario cubano in questa tappa s’estende al di là dei limiti fisici del nostro paese e sta lì dove esiste lo sfruttamento, dove l’imperialismo pone le sue grinfie per succhiare il sangue dei popoli.  È questa interpretazione del mio dovere come rivoluzionario quello che mi spinge a marciare fuori dalla mia Patria con le armi nelle mani (…).
«Avrei amato molto stare al tuo fianco in tutto il processo della tua formazione e vederti crescere come uomo e rivoluzionario. Questo sarà molto difficile data la decisione che ho preso  (…).
«Voglio che tu sia un degno figlio della Patria, che tu sia un rivoluzionario, un comunista…

Questi sono alcuni frammenti della lettera che Gayol lasciò a suo figlio di quattro anni, prima di partire per la Bolivia, e sembra che avesse previsto l’azzardo del destino.

Lui è l’unico cubano morto in queste gesta i cui resti non sono ancora stati incontrati.

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